Irlanda, primi anni 50. La vita non sembra offrire molte prospettive alla giovane e mite Eilis, che trascorre le sue giornate tra casa, chiesa e bottega. Per questo l'adorata e intraprendente sorella maggiore, non senza rammarico, la spinge a partire in cerca di fortuna: emigrare in America, la terra dalle infinite opportunità. Grazie alla complicità di un prete cattolico di stanza a Brooklyn, Eilis si ritrova così da sola oltreoceano: ha un lavoro dignitoso, frequenta i corsi serali per diventare contabile, occupa un alloggio più che decoroso, è bene inserita nella comunità irlandese che anima il quartiere. Eppure continua a sentirsi fuori posto e a piangere le verdi scogliere del suo passato. Una sera però incontra Tony, un giovanotto italoamericano romantico e ammodo, che la colma di attenzioni e premure fino a farla innamorare e, soprattutto, a farla sentire a casa. Sembrerebbe finalmente l'epilogo rosa che Eilis ha lungamente sospirato nei suoi giorni solitari e cupi, ma un lutto tanto repentino quanto penoso la costringerà a tornare in Irlanda. Il richiamo delle radici e degli affetti porterà la ragazza a mettere in discussione, ancora una volta, le proprie priorità e le proprie aspettative, tormentosamente indecisa tra due luoghi, due uomini, due vite.
Passato in anteprima a Toronto, Torino e Sundance, "Brooklyn" è una freschissima sorpresa di fine stagione, a patto però che non se ne fraintenda la specificità ontologica. È cruciale, infatti, capire di quale tipo di operazione cinematografica si tratta, senza inciampare nell'errore, magari forviati dai copiosi premi riscossi dalla pellicola, di sopravvalutarne o equivocarne la natura.
Tratto dal romanzo omonimo di Colm Tóibín, "Brooklyn" mette diversa carne al fuoco e si presta dunque a diverse letture, non tutte altrettanto soddisfacenti.
Nonostante i precisi riferimenti storici, infatti, rimarrà deluso chi pensa di avere a che fare con un period movie sull'Irlanda povera e piagata di metà Novecento. Le poche sagaci scene con cui si apre il film tratteggiano benissimo la vita di una cittadina provinciale irlandese tra messe ferventi, miseri svaghi giovanili, pettegolezzi di quartiere e angherie di vecchie beghine, ma il tono è, con tutta evidenza, superficiale e bozzettistico, tanto drammaturgicamente efficace quanto storicamente approssimativo.
Parimenti, "Brooklyn" non è nemmeno un dramma sociale sull'emigrazione. La descrizione a tinte pastello della nuova vita americana della protagonista non conosce ombre né incrinature, ma solo la struggente malinconia di un'acuta homesickness. Non c'è traccia, ad esempio, della crudeltà feroce e impietosa di "C'era una volta a New York", delle asprezze e delle ristrettezze de "Le ceneri di Angela" o delle difficoltà di un'esistenza da emarginati in quartieri-ghetto tante volte vista al cinema, da "C'era una volta in America" in poi. Niente di tutto ciò: pur nella malinconia, la vita di Eilis trascorre placida e serena, sostenuta da una fitta rete sociale che ne alleggerisce pene e tormenti.
Infine, non si tratta nemmeno un melodramma romantico, nonostante la componente sentimentale occupi un ruolo centrale nella narrazione e sembri condizionarne lo svolgimento in maniera decisiva. L'innamoramento, anzi gli innamoramenti, di Eilis sono in effetti grimaldelli essenziali all'evoluzione del plot nel suo insieme. Ma, a ben vedere, non sono elementi preponderanti in se stessi, perché acquistano valore unicamente in relazione alla crescita e alla trasformazione della protagonista: al centro del film c'è infatti sempre ed esclusivamente la luminosa Eilis, occhi limpidi e pelle di porcellana, cui la talentuosa Saoirse Ronan (meritatissima nomination all'Oscar) dona armonica compostezza.
Si svela così inequivocabilmente la vera natura di "Brooklyn", favola di formazione delicata e sottile, irresistibile nella sua semplicità. Il merito è soprattutto della penna brillante e puntuale di Nick Hornby, scrittore sempre più attivo al cinema dopo "Wild" e "An Education", cui la regia morbida e lineare di John Crowley si mette docilmente al servizio (da segnalare anche la fotografia pastosa e intensa di Yves Bélanger). Autore di consumato mestiere, Hornby rimodella il romanzo di Tóibín per farne una sorta di racconto archetipico sull'emancipazione e sulla affermazione di sé, salvando così il film dalle pericolose derive da soap opera in cui, a tratti, sembra inciampare. "Brooklyn" è dunque un coming of age in piena regola, che riesce ad assurgere a valore universale (la condizione assai attuale del "cervello in fuga", dell'esule che diventa apolide) e a ripercorrere, aggiornandoli, i principali tòpoi del genere (si pensi alla traversata in mare, vero e proprio rito d'iniziazione, come suggerisce anche la struttura ciclica della narrazione).
Protagonista assoluta della pellicola è Eilis, eroina dalle mille sfaccettature che si segnala per profondità e maturità in mezzo a un manipolo di personaggi spesso solo macchiettisticamente abbozzati. Apparentemente passiva e troppo arrendevole, Eilis dimostrerà di saper affrontare le sfide del proprio percorso di formazione con ammirevole grazia e pudore, imparando a compiere scelte anche dolorose, a disattendere le pressanti aspettative altrui, a recidere i legami di dipendenza e, in definitiva, ad autodeterminarsi. È lei il cuore caldo e vibrante di "Brooklyn", un film piacevolmente riuscito nella sua incantevole leggerezza.
cast:
Saoirse Ronan, Emory Cohen, Domnhall Gleeson, Jim Broadbent, Julie Walters
regia:
John Crowley
distribuzione:
20th Century Fox
durata:
111'
produzione:
Wildgaze Films, Parallel Film Productions, Irish Film Board, Item 7
sceneggiatura:
Nick Hornby
fotografia:
Yves Bélanger
montaggio:
Jake Roberts
musiche:
Michael Brook