Al di là di ogni possibile intenzionalità dell'autore, il titolo, "Wild", evoca diretto e senza fronzoli due suggestioni audiovisive del XXI secolo. Da una parte l'"Into the Wild" di Sean Penn che, tranne sporadiche eccezioni, ha saputo ravvivare e reinventare la percezione, da parte di appassionati cinefili, di quel rapporto uomo-natura che resta un punto focale di un cinema che cerca tattile comunicabilità con lo spettatore. Dall'altra una serie di documentari - quasi sempre fruibili grazie a canali tematici satellitari - incentrati sull'imperituro rapporto tra uomo e natura.
Uomo e natura, imbevuti in filmati dove la lotta per la sopravvivenza alterna squarci di sfavillanti aperture realistiche a fittizie ricostruzioni, nel peggiore dei casi anche effettistiche.
Il film è tratto dall'omonimo e fortunato libro-diario di Cheryl Strayed che, zaino in spalla, all'età di 26 anni percorse in tre mesi e non senza difficoltà 1600 Km del Pacific Crest Trail (Pct), lunghissimo sentiero escursionistico con partenza dal confine Messico-California e arrivo in Canada.
Quella del libro è una storia metaforica, un modo di gettarsi a capofitto in zone che sottintendono una indole avventurosa prendendo coscienza di sé, della propria vita, della possibilità di continuare a vivere attraverso il superamento del lutto, del dolore, di uno spettro meglio noto come sconfitta da aggirare e vincere.
Difatti questo lungo viaggio risulta esser nato dopo una serie di disgrazie che hanno indotto la protagonista sull'orlo di un baratro emotivo. Le schegge del passato fluiscono durante l'intera durata del film in una alternanza tra il presente e il passato, talvolta evocato tramite una discutibile associazioni in sede di montaggio (da una caduta si va a un rapporto sessuale, da un urlo disperato della madre a un urlo liberatorio della figlia). Per lunghi tratti il presente si mescola a flashback del passato che prendono forma attraverso i ricordi, i rimpianti, le luci e le ombre proiettate dalla mente di Cheryl.
"Wild" risulta così essere un viaggio dagli intenti quasi psicanalitici dove la digressione dal titolo parte con l'inizio del viaggio e giunge fino al capolinea finale. Non c'è natura ferina, una incombente ostilità stipata tra alberi e bestiari, una visione paesaggistica - tra l'altro limitata a poche e piatte inquadrature - selvaggia, carnale. Sul grande schermo si ha dunque il dubbio che questo percorso per "diventare la donna che la madre Bobbi ha cresciuto" poteva essere intrapreso dalla protagonista su ogni tragitto possibile. Le ferite, le ambiguità, le abiettezze morali faticano non soltanto a comunicare con le strade calpestate ma con lo spettatore stesso. La confusione mentale della protagonista resta prigioniera di una struttura soffocante e il concetto di libertà resta racchiuso in un premeditato schema, incapace di contagiare il film; che penalizza anche quel che resta senza alcun dubbio uno dei pochi (l'unico?) motivi di interesse della pellicola: quel rapporto tormentato, irrisolto eppur luminoso tra l'errante figlia Reese Witherspoon e la mamma Laura Dern. Il film - voluto fortemente dalla prima, anche produttrice - appartiene a loro più che all'impersonale regista Jea-Marc Vallée o allo sceneggiatore Nick Hornby (alzi la mano chi riesce a scorgere traccia dello scrittore britannico).
E i graffi che citano esplicitamente il film di Sean Penn (le citazioni che si materializzano direttamente sulle immagini) danno la netta impressione del classico "vorrei ma non posso".
cast:
Reese Witherspoon, Gaby Hoffmann, Laura Dern, Michiel Huisman, Kevin Rankin, Charles Baker, W. Earl Brown, Brian Van Holt
regia:
Jean-Marc Vallée
titolo originale:
Wild
distribuzione:
20th Century Fox
durata:
119'
produzione:
Fox Searchlight Pictures, Pacific Standard, River Road Entertainment
sceneggiatura:
Nick Hornby
fotografia:
Yves Bélanger
scenografie:
Robert Covelman, John Paino
montaggio:
Martin Pensa, Jean-Marc Vallée
costumi:
Melissa Bruning