"I tuoi genitori ti avranno insegnato quanto sei speciale,
che sei qui per un motivo. I miei invece mi hanno insegnato
un'altra cosa, morendo nei bassifondi senza motivo.
Che il mondo ha senso solo se lo costringi ad averlo."
Per chi come il sottoscritto è entrato nella sala credendo di trovarsi di fronte ad un blockbuster fracassone e superficiale come il predecessore, anche per merito del trailer ai limiti (oltre) del trash, il prologo appare, almeno in parte, inaspettato. Snyder si districa fra i richiami a
"Batman Begins" e i propri, a tratti irritanti, vezzi stilistici in maniera quasi ammirevole, recuperando le medesime meccaniche della sequenza del film di Nolan ma rinunciando alla rappresentazione realistica per la quale aveva optato il regista inglese ed invece rielaborandola secondo il suo stile fracassone e patinato. Allo stesso modo l'ampissima ellissi che porta alla distruzione di Metropolis proveniente dal finale del precedente film, vista però dal punto di vista di un ostile Bruce Wayne, serve (in maniera un po' dozzinale, si deve ammettere) a confermare la presenza del film nell'alveo del cinema snyderiano e a porre ulteriormente le distanze da quello di Christopher Nolan (il cui nome, comunque, svetta tronfio nei titoli di testa assieme a quello della moglie, in qualità di produttori esecutivi), come anche i copiosi primi piani di Ben Affleck e la ripetuta esibizione della sua dirompente fisicità mostrano la differenza da Christian Bale. Le prime sequenze del film hanno anche l'ulteriore funzione di assegnare all'umano Batman il ruolo di fulcro morale e narrativo, a discapito di Superman, il cui carattere praticamente divino rende ridicolo (Snyder se n'è finalmente accorto) ogni tentativo serio di problematizzazione, ed inoltre sottolineano la pluralità di punti di vista che sostanzia questo film e che, con la sua riuscita galleria di personaggi secondari, rende l'opus n°7 di Zack Snyder un inatteso turbinio dialettico, il cui vero dinamismo non sta nelle sequenze di combattimento ma nei numerosi (per fortuna) confronti verbali che costellano il film. In questo modo il regista americano dimostra di essere riuscito ad apprendere un elemento fondamentale della lezione nolaniana e ad inserirlo, seppur con risultati alterni, nel proprio ipertrofico cinema.
Perché è sempre di Zack Snyder che si parla e fin dall'inizio ciò viene ricordato tramite il solito stile visivamente fastoso quanto irritantemente ridondante, tramite il didascalismo col quale vengono trattate alcune tematiche (si pensi alla continua insistenza sul concetto dell'incomprensibilità del divino), tramite le gradevoli fisicità femminili frequentemente esibite (di ogni etnia, pure) e soprattutto tramite le lunghe e scenografiche sequenze di combattimento. Tuttavia è anche in questi momenti che si nota un approccio rinnovato alla materia, più interessato alla concretezza (degli scontri, in tal caso) che al puro spettacolarismo. Alla riuscita di ciò giova, ancora, la presenza del Batman di Affleck, il quale dona alle abbondanti scazzottate una fisicità considerevolmente "sporca" e realistica e francamente inaspettata in un prodotto di quest'autore, regalando alcuni dei migliori e più crudi (soprattutto nella Ultimate Edition) combattimenti visti in un blockbuster negli ultimi anni. Non è un caso che in questi momenti l'utilizzo di filtri ottici ed effetti speciali, onnipresenti in quasi tutta la pellicola, sia molto meno marcato e invece si badi molto alle decadenti scenografie e a come i personaggi si relazionano con esse.
Al contrario ogni intervento di Superman, e di ogni altra figura "superumana", si caratterizza per l'abbondanza di CGI e per il ricorso ad ogni genere di artifizio visivo che il cinema concede (
ralenti, i famigerati zoom snyderiani,
long-take digitali, etc...). Questa scelta appare come un'ennesima via per sottolineare quello che sono (dovrebbero essere) i temi centrali dell'opera, ovvero il contrasto fra umano e divino e le responsabilità dell'agire che la superiorità implica. Temi già presenti in
"Man of Steel" e già ivi ampiamente (perlomeno per quanto riguarda il primo) trattati, che tuttavia in "Batman v Superman" conservano parte del loro interesse in quanto il primo si configura come contrasto esemplare e quindi come fulcro di tutta quella serie (già accennata) di opposizioni, la cui dialettica, alimentata poi principalmente dalla seconda tematica, è il vero motore del film. Se infatti la coppia divino-umano giunge a qualche sviluppo degno di particolare interesse non è certo in virtù del ben poco tridimensionale personaggio interpretato da Henry Cavill (che comunque si deve ammettere riceve un trattamento migliore nell'edizione espansa) ma grazie alla totalità di personaggi e ambienti che gli sono attorno. Pertanto sono le sofferte infanzie dello psicopatico Lex Luthor, un istrionico (ma poteva essere altrimenti ?) Jesse Eisenberg, o di un cinico Bruce Wayne a contrapporsi alla nonostante tutto idillica giovinezza di Clark Kent, il quale anche di fronte a momenti drammatici (si ricordi la morte del padre ne "L'uomo d'acciaio") sopporta seraficamente (ad eccezione di una singola scena di questo film), mentre invece le vite dei suoi rivali si tingono continuamente di note tragiche, esplicitando ciò che separa realmente dei e uomini.
Il riferimento fatto da Lex Luthor alla figura del triangolo durante una sua divagazione assume quindi un valore simbolico e rende evidente quanto gli unici motori dell'azione siano questi tre protagonisti maschili che, in effetti, sono i soli ad agire in tutta la durata monstre del film, determinando l'andamento della vicenda. Allora sarebbero prevedibili (altre) accuse di misoginia a Zack Snyder se non fosse che, prima del gran finale, anche l'avvenente Wonderwoman di Gal Gadot col suo intervento determini lo sviluppo della fabula. Per quanto ella sia un'altra creatura divina. Similmente vi sarà chi punterà il dito contro il carattere retorico di alcune sequenze, come uno dei numerosi ed interminabili prefinali, non considerando però né la figura del regista che le ha girate (il medesimo di
"300", se qualcuno non se ne ricordasse), né il genere di riferimento e soprattutto il supereroe che è al centro della vicenda, l'eroe americano per antonomasia (credo che i colori del costume siano abbastanza chiari). Invece è una nota a favore dell'opera proprio il tono relativamente problematico con cui il regista (e la buona coppia di sceneggiatori Terrio-Goyer) tratta la politica, estera ma non solo, americana, dando l'idea di un paese contraddittorio, sempre pronto ad utilizzare i muscoli e a gloriarsi di ciò per poi rivendicare maggiore controllo e sicurezza quando si rende conto che ogni azione ha delle conseguenze, aggiungendo un fondamentale (e più esplicito) tassello alla già citata tematica della "responsabilità". Emblematica è da questo punto di vista la sequenza ambientata in Africa, in cui si permette al nemico (caratterizzato chissà come mai da lunghi abiti neri) di esprimere le proprie opinioni solamente per poterlo ingannare e avvantaggiarsene, per poi biasimare chi ha in fin dei conti solo fatto il "lavoro sporco".
Questi tratti allontanano di molto il film di Snyder dal modello di "cinefumetto" ora imperante, l'ironico e colorato
film Marvel, gettando lo spettatore in un mondo cupo, realmente violento e terribilmente serio (con sole poche perle di ironia "nolaniana" a fare da contraltare) la cui efficacia viene solo in parte ridotta dal gargantuesco stile di Snyder e dalla patina videoludica che ne consegue, ovvero i principali difetti di un'opera che avrebbe comunque meritato un'ulteriore sfrondatura dello script (e la Ultimate Edition non scioglie tutti i nodi) e un protagonista di ben maggior spessore. Ciononostante "Batman v Superman" riesce a divenire un'eccellente pietra d'angolo per il nascente DC Extended Universe e a configurarsi, grazie alla sorprendente (per quanto a tratti confusa) ricchezza tematica, all'intelligenza di alcune intuizioni (l'ambiguità di battute come "a nessuno interessa Clark Kent contro Batman" o "lo onorano nell'unico modo che sanno fare: come soldato" può valere da sola il prezzo del biglietto), all'efficacia dell'ambientazione (a cui giova la OST di Hans Zimmer e Junkie XL più originale del previsto) e all'intelligente
ringkomposition, come il film, se non migliore, di certo più maturo di Zack Snyder. Date le premesse direi che è un risultato più che soddisfacente.
Post Scriptum o Considerazioni sulla Ultimate Edition
Annunciata con toni trionfali come definitiva apologia dell'operato di Zack Snyder e dimostrazione della vera qualità di "Batman v Superman" la "Ultimate Edition" in realtà conferma buona parte delle opinioni e dei dubbi espressi dal sottoscritto mesi fa. Per quanto sia indiscutibile che tale versione faccia chiarezza su alcuni punti (apparentemente) oscuri della sceneggiatura (e infatti sezioni come la preparazione del piano di Luthor assumono ora un senso pieno) e che approfondisca o addirittura introduca personaggi secondari di anche considerevole valore, la maggior parte delle aggiunte si rivelano brevi sequenze-ponte che esplicitano elementi del racconto molto spesso già intuibili oppure brevi frammenti eliminati perché ritenuti inadeguati ad un PG-13. Se quindi la tenuta narrativa del film non può che giovarsi dei 30 minuti aggiunti l'approfondimento dei personaggi (con l'eccezioni di un paio di comprimari e, come già detto, di Clark Kent) e dei temi (se si esclude l'esplicitazione della volontà di problematizzare Batman come il suo rivale) viene condotto in maniera troppo parziale per poter affermare di essere di fronte ad "un film completamente nuovo".
Certo, la durata di oltre 3 ore rende il presente
cinecomic probabilmente il più lungo della Storia, pure più del quasi altrettanto smisurato e irresoluto
"The Dark Knight Rises", tratto che, assieme all'espansione del concetto di decostruzione del superomismo portato avanti nei primi due terzi del film (salvo venire sostanzialmente ribaltato nella parte finale), può far pensare che tale proposito sia rivolto da Snyder all'intero genere. Probabilmente è presto per parlare di "Batman v Superman" come vera e propria sfida al genere di cui fa parte ma la possibilità mantiene il suo fascino e apre spiragli di interesse sullo sviluppo della poetica del cineasta americano. Confidando che "Justice League" non ne sia invece il tramonto definitivo.
25/03/2016