Alberto Barbera ne aveva fatto uno dei suoi fiori all’occhiello, parlando di come la selezione dell’81ma Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica avesse tra gli altri vanti quello di riportare sugli schermi il sesso proponendo una serie di titoli in cui l’eros l’avrebbe fatta da padrone dopo anni di forte autocensura. Non è questa la sede per approfondire i motivi che hanno portato a questo impasse a cui forse hanno contribuito le vicende del #METOO prima e quelle della pandemia poi. Vale invece la pena constatare in che termini si sta compiendo la presunta rivoluzione e in questo caso quale contributo porti alla causa un film come “Babygirl” che la scabrosità del tema, incentrato su una sessualità vissuta dapprima come peccato e poi forse come piacere, e la fama dell’attrice protagonista, Nicole Kidman, avevano generato molte aspettative già in sede di presentazione del programma ufficiale.
Selezionato nel concorso ufficiale, del lungometraggio dell’olandese Halina Reijn a conti fatti si può dire che “la montagna ha partorito un topolino”, tanto l’idea del sesso come generatore del caos e strumento di emancipazione femminile non viene corrisposta da immagini che neanche per un momento riescono a trasformare l’incontro dei corpi in uno spazio d’anarchia capace di annullare i limiti imposti dalle regole sociali. A rovinare la festa infatti ci pensa una messa in scena che nel pensare la deviazione dalle regole - non solo il comportamento fedifrago di Romy, manager di successo interpretata da Nicole Kidman ma anche la particolarità delle sue preferenze sessuali - lo fa con un immaginario talmente convenzionale e omologato da sconfessare la premesse sovversive del film e tale da non andare oltre quello che si può trovare in una delle tante serie a tema proposte da Netflix.
Tutto questo a fronte di un inizio che faceva ben sperare allorché il personaggio interpretato dalla Kidman per contesto altoborghese e tendenze caratteriali sembrava proseguire laddove si era fermato Stanley Kubrick in “Eyes Wide Shut”, apparendo la stanchezza matrimoniale tra la professionista di grido e l’affermato autore teatrale la continuazione di quella che aveva a suo tempo colto l’esistenza dei coniugi Harford. La possibilità di scoperchiare le fantasie sessuali della coppia borghese soffocate dal perbenismo e dalla routine della pratica quotidiana si ferma infatti sulla soglia del già visto, sia in termini di Eros e Thanatos che nella proposta della schermaglia tra vittima e carnefice, non riuscendo “Babygirl” ad andare oltre alla riproduzione stilizzata e patinata tanto criticata ai tempi dell’uscita di “Nove settimane e mezzo” e ancora, per citare modelli più recenti a quelle messa in campo da “Cinquanta sfumature di grigio”.
Poco felice è pure il tentativo di elevare il livello del discorso - che di per sé non ne avrebbe bisogno - chiamando in causa istanze di matrice femminista e, dunque, collegando il percorso di consapevolezza sessuale e di liberazione dei costumi con quello relativo alla promozione della donna in ambito famigliare e lavorativo. Ché la maniera per liberarsi di nevrosi e ossessioni sia quello di accettarle vivendole fino in fondo non è scoperta dell’ultima ora e neppure le limitazioni dovute all’esposizione dei corpi giustificano la normalizzazione del contesto, ricordando che, sottoposta agli stessi vincoli, una miniserie come “Normal People” - peraltro esemplare nel raccontare l’amore di coppia - riesce, laddove “Babygirl” fallisce, nel trasfigurare la realtà attraverso l’unione dei corpi. Lo scandalo di “Babygirl” rimane nella superficie della forma, aggrappato al corpo seminudo della Kidman mani e ginocchia a carponi pronta a ubbidire al suo dominatore. Troppo poco per invocare la rivoluzione.
cast:
Nicole Kidman, Antonio Banderas, Harris Dickinson, Sophie Wilde, Esther McGregor, Anoop Desai, Leslie Silva
regia:
Halina Reijn
distribuzione:
Eagle Pictures
durata:
114'
produzione:
A24, 2AM, Man Up Films
sceneggiatura:
Halina Reijn
fotografia:
Jasper Wolf
scenografie:
Stephen Carter
montaggio:
Matt Hannam
costumi:
Kurt Swanson, Bart Mueller
musiche:
Meghan Currier