Ogni generazione ha il suo "Guerre Stellari". A giudicare da questo primo episodio, la saga di "Avatar" che parte con "La via dell'acqua" può ambire a questo traguardo.
In primo luogo perché si tratta davvero di un nuovo inizio. Suona strano, ma almeno a livello di informazioni non c'è bisogno di aver visto il primo "Avatar" per godersi questo. In modo elegante il film precedente viene riassunto e contemporaneamente resettato dalla prima mezzora di "La via dell'acqua". Soprattutto, vengono presentati i nuovi personaggi che sono la chiave di tutto il progetto e che probabilmente ne decreteranno il successo. Nel film precedente al posto dei personaggi c'erano tre archetipi – l'invasore cattivo, la principessa buona e l'invasore scettico che si converte e diventa principe. Non c'è niente di sbagliato in questo, i blockbuster devono essere delle fiabe, ma è anche difficile far evolvere, far vivere davvero personaggi così monolitici. La protagonista di "La via dell'acqua" è invece una famiglia, questo è sottolineato più volte e non è che sia il massimo dell'anticonformismo, ma la cosa interessante è la composizione di questa famiglia. Abbiamo la principessa nativa che sarà costretta a rinunciare al suo ruolo, il principe che in fondo è un ibrido tra umano e nativo, i loro tre figli biologici che sono quindi meticci, e ben due figli adottati, un umano orfano di guerra e una creatura solo apparentemente nativa ma in realtà ben più complessa: Kiri. A rendere bene la stratificazione del personaggio di Kiri, questa tormentata aliena adolescente è interpretata (magistralmente) da Sigourney Weaver, in un uso decisamente originale della tecnica motion capture. Ma anche il figlio cadetto e l'orfano di guerra nascono come personaggi con conflitti, fratture, in una parola vivi, in grado di affascinarci. Zoe Saldana nel ruolo della principessa che deve abbandonare il suo popolo e della madre braccata è intensa, ma decisamente i riflettori sono su queste nuove generazioni, quelle che già sappiamo vedremo crescere nella saga. Anche il cattivo (ricordiamoci sempre che stiamo parlando di un blockbuster) è un ulteriore tipo di ibrido attraversato da desideri contrastanti; ovviamente non lo amiamo ma almeno "lo vediamo", come direbbero i nativi. L'idea di base della nuova epica di Cameron, volendo semplificare, è: non esiste interazione che sia semplicemente scontro. L'incontro tra mondi ha cambiato per sempre tanto i nativi di Pandora quanto "il popolo delle stelle" (gli umani) e questo apre la porta al nuovo[1].
In secondo luogo il film è visivamente magnifico. Nei film di fantascienza quando il protagonista arriva su un nuovo pianeta ne vede alla fine quasi sempre una sola città e dintorni, come se i pianeti fossero entità senza variazioni. Grazie anche al budget colossale a disposizione Pandora è invece un vero pianeta, con diverse etnie di nativi e soprattutto diversi ecosistemi. E a Cameron ne interessa uno in particolare: l'oceano. Forse l'aspetto meno commerciale ma più stimolante del film è che buona parte del secondo atto sia sostanzialmente un bellissimo documentario su un ecosistema che non esiste. Non si tratta di esposizione, al contrario, la trama quasi si ferma per dedicarsi alla pura contemplazione visiva. Balene ("Tulkun") che danzano. Scogliere immense. Luminescenze sottomarine. Con il vantaggio rispetto al vero documentario di poter inquadrare queste immagini ogni volta con il miglior angolo e il miglior movimento di macchina, la migliore luce e i migliori colori. Circa un secolo fa il cinema è nato perché la frequenza temporale delle immagini ha superato una certa soglia consentendo l'illusione del movimento. Nel suo piccolo questo Avatar supera per le immagini virtuali la soglia della densità spaziale di informazione (di ricchezza dei dettagli) tale da creare l'illusione della realtà e porta davvero a compimento la rivoluzione della computer graphics. Ne approfitta quindi per dilatare i tempi perché il risultato merita di essere ammirato, e in questi mari ci si perde con stupore.
Tutta questa contemplazione è indubbiamente ripagata da un terzo atto di grande azione, epica, drammatica, un terzo atto pieno di adrenalina, scontri tra navi, scontri tra draghi, guerriglie nella notte, tradimenti e infine una spettacolare sequenza che cita e rinnova il finale di un altro grande successo di Cameron – di più non possiamo dire.
L'ambizione d'altro canto è evidentemente grandissima. Ci eravamo dimenticati del 3D ed ecco che Cameron ce lo ripropone come se non fosse mai andato via – talvolta in modo esibizionista ma efficace (proiettili e frecce che volano verso di noi) – ma più spesso in modo elegante (mante da accarezzare, la sensazione che ci sia davvero una superficie dell'acqua). Rimane comunque un elemento decorativo apprezzabile ma non essenziale. Fa parte della ricerca del consenso anche il fatto che film sia ahimè molto meno politico del precedente: siamo passati da una condanna esplicita del colonialismo europeo e del capitalismo estrattivista alla condanna della caccia alle balene – opinione condivisibilissima ma non proprio coraggiosa a meno di discuterla in una casa di riposo per vecchi pescatori giapponesi. E al netto dei personaggi molto ben disegnati, la trama procede in modo convenzionale, così come convenzionale è la colonna sonora. Ma non si può negare che le immagini, la gestione dei tempi, i comportamenti delle creature aliene creino un'atmosfera unica, che respiriamo solo su Pandora. Attendiamo quindi il seguito come si attende di tornare in vacanza nella natura facendo snorkeling tra gli scogli per tre ore, anche se nella realtà è un piovoso pomeriggio di dicembre.
[1] Interessante che anche "Blade Runner 2049" abbia seguito la stessa strada dell'ibridazione e del meticciato (nel caso, tra umani e replicanti) per aggiornare la propria storia.
cast:
Zoe Saldana, Sam Huntington, Sigourney Weaver, Kate Winslet
regia:
James Cameron
titolo originale:
Avatar: the way of water
distribuzione:
20th Century Studios
durata:
192'
produzione:
20th Century Studios
sceneggiatura:
James Cameron
fotografia:
Russell Carpenter
scenografie:
Ben Procter
montaggio:
David Brenner
costumi:
Deborah Lynn Scott
musiche:
Simon Franglen