"I giovani vogliono invecchiare, i vecchi dimenticare"
(Sarah Pratt in Brève traversée, 1991)
Possiamo considerare "Ancora un’estate" il rovescio della medaglia del recente "Saltburn"? Quest’ultimo ostenta una manifesta provocazione per distogliere l’attenzione dal vuoto dei suoi contenuti; della sua presunta dimensione "scandalistica" il nuovo film di Catherine Breillat non sembra invece neanche interessarsi. La regista francese infatti non provoca solo per il gusto di provocare: nel suo cinema le situazioni esplicite sono il modo, scrive Austin [1], per "sviscerare il discorso sessuale e arrivare al corpo stesso" dei personaggi. E alla loro interiorità, aggiungiamo noi. Il film ha come protagonista Anne, stimata avvocata specializzata in casi di violenza su minori. La donna vive a Parigi con il marito Pierre e due figlie adottate. Un giorno, Théo, figlio di prime nozze dell’uomo, viene a stare a casa loro, e i due iniziano una relazione clandestina.
"Ancora un’estate" riprende molte delle coordinate tipiche del cinema della regista, che allo stesso tempo in parte supera e aggiorna all’attuale contesto sociale, risultando come una delle sue migliori prove. In primis, ritroviamo l’accostamento di una attrice matura con lunga carriera alle spalle (qui Léa Drucker, vista recentemente in "Close") e un giovane attore alle prime armi (qui Samuel Kircher, fratello del più noto Paul, protagonista di "Le Lycéen"). Poi il risveglio del desiderio di una donna frustrata da una relazione non appagante, come in "Romance" (1999). Nelle lunghe scene di sesso, Breillat si sofferma sui primi piani della protagonista, in un ribaltamento delle dinamiche consolidate. L’effetto è però lontano dall’evocare il piacere sessuale tipico dei film porno: nelle precedenti opere la regista utilizzava "una serie di tecniche che problematizzano la schietta apprensione dello spettacolo sessuale, inclusa una voice over costante e lenti movimenti di macchina" [2]. Soluzione assenti in "Ancora un’estate", ma con eguale risultato. La relazione al centro del film, lontano da qualsiasi effetto pruriginoso, è sempre connotata da dolore e sofferenza per entrambe le parti, non c’è mai spazio per la gioia o l’euforia.
Tra i due protagonisti c’è infatti una notevole differenza d’età, che getta fin da subito un’ombra sulla nascente passione. Il film di Breillat più vicino è in questo senso "Brève traversée" (1991), racconto dell’incontro tra Thomas, adolescente francese, e Alice, trentenne inglese, sul battello che da Saint Malo li porta in Inghilterra. In un dialogo a metà di quest’ultimo film, la donna dichiara tutta la sua disillusione nei confronti dell’amore e degli uomini. In un momento simile in "Ancora un’estate", Anne dice che certe cose è meglio non ricordarle più, non tirarle fuori. Su di lei incombe un passato difficile, a livello personale e sociale, e anche il presente è segnato dalla preoccupazione di non mettere a repentaglio la propria famiglia. In una significativa inquadratura, in primo piano vediamo Anne e Pierre parlare in giardino, mentre nella casa alle loro spalle appare Théo che li scorge attraverso la finestra, ponendosi perfettamente a metà tra i due, come un’ombra incombente sul loro matrimonio. Allo stesso modo, Breillat non ritrae la passione della protagonista e il suo rapporto intimo con il giovan come qualcosa di dannoso o sbagliato, ma come qualcosa di naturale e candido, in una dimensione quasi eterea. Visivamente, lo rende chiaro tramite l’enfasi sul bianco. In una scena all’inizio del film, Théo, vestito interamente di bianco, come spesso è Anne, si confonde tra i muri e le porte della casa, dipinti dello stesso colore. Nei dialoghi, la parola chiave è "normopatia", della quale la protagonista taccia il marito: la tendenza a conformarsi eccessivamente alle norme sociali di comportamento, che la regista rifiuta.
In questo orizzonte, si colloca anche il lavoro che l’autrice compie sul filone d’appartenenza. In "Ancora un’estate" si susseguono pranzi all’aperto, gite al fiume, momenti di relax sull’erba: tappe fisse di quel "cinema estivo europeo" (da "Monica e il desiderio" a "Il cielo brucia") che la regista riprende facendolo suo. In particolare, qui arriva a perfezionarsi quel legame con Eric Rohmer a cui da tempo è associata [3]. Allo stesso tempo, in "Ancora un’estate" la cinesta modifica leggermente il suo stile abituale (piani sequenza, montaggio minimale) in favore di un ritmo narrativo più scorrevole e un’attenzione maggiore ai volti dei personaggi, su cui spesso il montaggio stacca improvvisamente e si sofferma, kechichinamente.
Ma "Ancora un estate" mette anche in primo piano tutte le questioni legate alla professione di Anne, soprattutto con un twist dell’ultima parte, su cui cerchiamo di non svelare troppo. Il film si apre come si chiudeva il precedente di Breillat, "Abuse de faiblesse" (2013): un intenso sguardo di sfida della protagonista rivolto al suo interlocutore quanto agli spettatori stessi. A legare i due film riscontriamo anche l’influenza di "Elle" di Paul Verhoeven, con le espressioni imperturbabili di Léa Drucker che richiamano quelle di Isabelle Huppert (protagonista proprio di "Abuse de faiblesse"), segnale di un’ambiguità senza compromessi e volutamente non risolta. Anne userà il proprio ruolo per un’inversione dei rapporti di forza e una manipolazione del proprio marito e di Théo, facendo leva sui concetti di mentire, di storie "inventate", di rimanere in silenzio. Si potrebbe leggere il tutto alla luce delle discusse dichiarazioni della regista sul #metoo risalenti al 2018, un modo (inconsapevole o meno) di proporre una figura femminile non conforme a quelle che oggi dominano il cinema mainstream (da "Barbie" a "Povere creature"). D’altro canto, però, la caratterizzazione di Anne attesta soprattutto la volontà di creare personaggi complessi senza mai giudicarli, lasciando intatta il mistero della loro più profonda interiorità (rispetto ad altri film della Breillat, viene meno l’uso della voice over con cui la protagonista si apriva allo spettatore, mezzo fin troppo esplicativo). Così, a emergere nel finale sarà il dramma della donna e di tutti gli altri personaggi: una dissolvenza, tecnica ormai in disuso, chiude il film, lasciando la storia in un equilibrio fragilissimo.
[1] Austin G., Contemporary French Cinema –An introduction, Manchester University Press, Manchester, 2008.
[2] Downig L., French Cinema new sexual revolution, postmodern porn and troubled genre, French Cultural Studies, New Direction in Cinema, 265-80, 2004, cit. in Austin G., op.cit.
[3] Amiel V., A ma soeur!, Ces Corps au risque de tempête, Paris, Positif, 481, 24-5, 2001, cit.in Austin G., op.cit.
cast:
Léa Drucker, Samuel Kircher, Olivier Rabourdin, Clotilde Courau
regia:
Catherine Breillat
titolo originale:
L'Été dernier
distribuzione:
Teodora Film
durata:
103'
produzione:
SBS Productions
sceneggiatura:
Catherine Breillat, Pascal Bonitzer
fotografia:
Jeanne Lapoirie
scenografie:
Sébastien Danos
montaggio:
François Quiqueré
costumi:
Khadija Zeggaï