La vocazione cinefila e anticonvenzionale di Goddard brillava già nel film d’esordio, l’horror "Quella casa nel bosco", assurto in brevissimo tempo allo status di cult. Un timbro analogo, anche nelle intenzioni, anima il presente "7 sconosciuti a El Royale", che su un piano narrativo ed estetico recupera alcuni stilemi distintivi del noir, si appropria del genere e lo rimastica in chiave eminentemente postmoderna, offrendo una mise en scène costellata di giocosi riferimenti (filmici e non).
I sette estranei arrivati all’El Royale, squallido motel di frontiera che sorge sul confine tra California e Nevada, sono figure liminali che simboleggiano forze divergenti, talvolta contrapposte, nella società americana fra 1959 e 1969: un agente dell’Fbi, un rapinatore, una cantante afroamericana, il leader di un culto, due giovani hippie e un concierge subordinato a una loggia clandestina – forse paragovernativa. In un modesto albergo è dunque racchiuso lo spaccato storico dei tumultuosi Sixties americani, dalla Beat Generation al Vietnam, da Nixon a Robert Kennedy (il plausibile protagonista dei misteriosi nastri). Siamo tuttavia lontani da un contesto di critica sociale o di denuncia: la Storia è nella storia poco più di un saporito contorno, un colorito sfondo, come le hit di Motown e Brill Building che costituiscono la componente diegetica di una colonna sonora stranamente assortita e un poco invadente.
Più intriganti sono certo le modalità della rappresentazione. La regia privilegia una messa in quadro semi-statica che abbonda in piani medi e primi piani; grande risalto hanno dunque le interpretazioni, fra le quali spiccano Cynthia Erivo e un gigioneggiante Jeff Bridges. È tuttavia il tempo del racconto a costituire la peculiarità più netta di "7 sconosciuti a El Royale", costruito (o meglio, de-costruito) secondo una logica anacronica, che ai numerosi flashback affianca la ripetizione di singoli episodi tramite diversi punti prospettici – alla "Rashomon" (Akira Kurosawa 1950), per intenderci. Proprio in tale ostinata complessità si riconosce lo spirito postmoderno del film, che ai riferimenti storici aggiunge numerosi rimandi intertestuali (i fondamentali, "Rapina a mano armata", Stanley Kubrick, 1956; "Le iene", Quentin Tarantino, 1992; ma ce ne sono altri). A questo riguardo, l’esuberante dovizia di temi, azioni, citazioni, allusioni suscita l’impressione di assistere a un elaborato esercizio di stile - non pienamente padroneggiato - che procede a ritmi alterni, frettoloso nella parte centrale e lento agli estremi. La martellante serie di sorprese e colpi di scena da un lato avvince, dall’altro però, scansando ogni parvenza di linearità, scoraggia ogni coinvolgimento empatico; il talento di Goddard nel rendere l’intreccio assolutamente imprevedibile è in questo senso un’arma a doppio taglio.
"7 sconosciuti a El Royale" è insomma un chiassoso pastiche audiovisivo, divertente e prolisso, un noir che comincia come una dark-comedy, prosegue come un thriller e finisce come un western, giocando con tutti i generi senza mai prendersi troppo sul serio – un pregio che è anche il suo più grande limite.
cast:
Cailee Spaeny, Lewis Pullman, Dakota Johnson, Jon Hamm, Chris Hemsworth, Cynthia Erivo, Jeff Bridges
regia:
Drew Goddard
titolo originale:
Bad Times at the El Royale
distribuzione:
20th Century Fox
durata:
141'
produzione:
20th Century Fox
sceneggiatura:
Drew Goddard
fotografia:
Seamus McGarvey
scenografie:
Hamish Purdy
montaggio:
Lisa Lassek
costumi:
Danny Glicker
musiche:
Michael Giacchino