Ondacinema

recensione di Ossydiana Speri
9.0/10

Titoli di testa come biglietto da visita. Con Ceylan non puoi sbagliarti: sempre lo stesso font, spartano ma elegante, a mo' di firma. Solo Woody Allen ha dimostrato altrettanta pervicacia calligrafica. Un fan comfort, indubbiamente, ma anche una dichiarazione artistica: faccio sempre lo stesso film. Sarà vero? Sì e no. La filmografia del bardo turco è senz'altro unitaria, ma non per questo uniforme.

Di sicuro, la strategia non passa inosservata: prendere di mira le contraddizioni di un'istituzione per indagare quelle di un'intera società. Un approccio che tende al documentario più che alla fiction, e ciò non deve sorprendere: al netto della densità narrativa e del rigore stilistico, non è forse un occhio da documentarista quello con cui Ceylan esplora gli ambienti e scruta i personaggi? E così, dopo la polizia ("C'era una volta in Anatolia"), la coppia ("Il regno d'inverno") e la famiglia ("L'albero dei frutti selvatici"), a questo giro tocca alla scuola.

Oltre tre ore di metraggio e tre film in uno, seppur non dichiarati. Il primo, a sua volta, ne contiene (almeno) altri tre: "Il sospetto", "Leviathan" e "Dov’è la casa del mio amico?". Da Vinterberg riprende il confronto impari tra l'innocenza garantita delle vittime e l'ineludibile subalternità dei carnefici (cfr. la convocazione dal preside); da Zvjagincev la trasfigurazione degli arbitrii del potere attraverso una storia che procede per allusioni (cfr. la perquisizione in classe); da Kiarostami la figura del maestro come autorità assoluta, sabotabile solo dandolo in pasto a un linciaggio morale (cfr. il confronto con la studentessa ribelle). La profondità del tocco, però, è tutta di Ceylan.

Il secondo mette da parte le sottigliezze per tuffarsi nella melma. In una campagna abbrutita, che ricorda l'ultimo capitolo di "Viaggio al termine della notte", personaggi di spregevole grettezza si palleggiano invidie e ricatti. Sfruttando a vicenda le loro debolezze, tutti fottono tutti per rivalse personali che non apportano vantaggi materiali, se non la soddisfazione di ghignare alla sventura del prossimo. Dal canto suo, la dilatata sequenza della cena tira in ballo un altro spietato cronista della meschinità rurale: Thomas Bernhard. Eppure, il Male non trionfa: rispedendo al mittente disfattismi e apocalissi, Ceylan scorge luce anche nelle tenebre più fosche, e dove non la scorge la accende.

Il terzo si apre con un ménage à trois stile "Jules et Jim" e si chiude riscrivendo il finale de "La dolce vita". Ancora una volta, un silente manto di neve si posa sui destini delle anime inquiete. È in questo inverno dell'anima che il protagonista trova il suo riscatto: la lettera non spedita all'alunna che ha voluto rovinarlo si fa messaggio di speranza per le nuove generazioni, affinché riescano dove lui ha fallito. Ecco allora che le erbe avvizzite del titolo, come i frutti selvatici di cinque Croisette fa, altro non sono che una metafora della fragilità umana, indagata con pietà più che condanna.

Val la pena spendere due parole su questo sconsolato Oblomov, interprerato da un indimenticabile Deniz Celiloğlu. Nichilista passivo, imbevuto di quella malinconia contemplativa in cui Orhan Pamuk intravede un tratto tutto turco, finisce con l'essere l'unico vero progressista della partita, scavalcando a sinistra lo sterile patetismo woke del personaggio di Merve Dizdar (che ha incassato a sorpresa il Prix d'interprétation féminine).

C'è forse bisogno di elogiare per l'ennesima volta la perizia registica dell'autore (al solito responsabile pure dell'impeccabile montaggio)? Ebbene sì, se è vero che dal mazzo viene pescata una nuova carta: ai consueti campi larghi, scenografati/coreografati al millimetro, si alternano carrelli chirurgici e sinuosi, a spezzare la tensione quando meno te lo aspetteresti. Non solo: bando alle amate sequenze oniriche squisitamente levantine, privilegiando un realismo schietto come una sberla in faccia. Per raccontare l'invisibile è necessario strappare il sipario e portarsi al di là della finzione: spettacolare, dunque, la trovata metacinematografica alla Apichatpong, in cui Samet evade dalla rappresentazione pur di celare il suo punto debole, braccato da una camera che non può ammettere dietro le quinte. Al contrario, il suo personaggio può significare il mondo solo rappresentandolo: da qui l'ossessione fotografica, presa in prestito da una generazione cui non appartiene.

È il suo film più stratificato, rischioso, politico. Difficile non scorgere un'implacabile accusa al sultanato di Erdogan, ma anche a una società civile che ha rinnegato la propria storia in cambio di un gruzzolo di sicurezza. Non verrà censurato in patria solo perché, verosimilmente, non verrà capito. Render conto della complessità del reale è privilegio di pochi miracolati: Ceylan, antropologo senza pedigree accademico, si conferma iscritto all'esclusivissimo club.


30/07/2023

Cast e credits

cast:
Deniz Celiloğlu, Merve Dizdar, Musab Ekici, Ece Bağcı


regia:
Nuri Bilge Ceylan


titolo originale:
Kuru otlar üstüne


distribuzione:
Memento Distribution


durata:
197'


produzione:
NBC Film, Memento Production, Komplizen Film


sceneggiatura:
Nuri Bilge Ceylan, Ebru Ceylan, Akın Aksu


fotografia:
Cevahir Şahin, Kürşat Üresin


scenografie:
Meral Aktan


montaggio:
Nuri Bilge Ceylan, Oğuz Atabaş


costumi:
Gülşah Yüksel


musiche:
Philip Timofeyev


Trama
Le peripezie di un rassegnato insegnante di campagna, accusato di molestie da un'alunna vendicativa e invischiato in un triangolo amoroso che include il suo migliore amico.