Nuri Bilge Ceylan torna al Festival di Cannes e vince la Palma d'Oro. Il grande autore turco, da sempre molto amato dal festival francese, era già reduce dal riconoscimento come miglior regista per "
Le tre scimmie" (2008) e dal Gran Premio della Giuria per "
C'era una volta in Anatolia" (2011).
Diciamo subito che "Winter Sleep" è un'esperienza cinematografica unica. Il titolo tradotto suona come "sonno d'inverno" e ci fa capire che si tratta di un film ipnotico, quasi un racconto di una lunga notte senza sonno. Ceylan gira un film sul quotidiano, sulle piccole pene di uomini e donne addormentati, forse sonnambuli, che vogliono o non vogliono reagire al corso degli eventi.
Lo sfondo è una Cappadocia invernale dove le nebbie e la neve si mischiano dolcemente. Sembra un idillio l'Hotel Othello, scavato nella pietra dell'altopiano anatolico. Ci vive Aydin, un ricco attore teatrale a riposo insieme alla bella moglie molto più giovane Nihal e alla sorella Necla. Qualche turista si avventura nelle settimane invernali, presto arriva la neve. È un'ambientazione fuori dal tempo che rimanda al romanzo ottocentesco, i personaggi che affermano "ci rivediamo in primavera", il fuoco nel camino, le pareti di pietra, la luce fioca delle candele... Un mondo che sembra non appartenerci, come in un sogno, ma che in realtà dice molte cose a noi vicine.
Ceyaln racconta che durante la scrittura del film si sono verificate continue discussioni con la moglie co-sceneggiatrice, è un particolare molto interessante poiché il film abbonda di contrasti uomo-donna, contrasti che si esprimono in fiumi di parole, a volte estenuanti, in dialoghi fittissimi, in parole che scorrono apparentemente di poco significato. In molte occasioni, racconta il regista, i dialoghi sono stati improvvisati, si "sentono" così i tempi morti e gli spazi necessari per lasciare agli attori il tempo necessario per esprimersi.
Così facendo Ceylan scava in profondità e ci mostra l'essere umano con tutte le sue contraddizioni, arriva all'anima dei suoi personaggi e arriva anche a noi perché in quei discorsi pieni e vuoti spesso ci ritroviamo. È un film sulla solitudine, su un quieto vivere sotto il quale si nascondono miserabili vite, l'insoddisfazione è palese ma non va mai oltre alla spietatezza dei giudizi che i personaggi si scambiano. L'unico punto di contraddizione è sul finale, in una scena che è meglio non raccontare, quando un personaggio finalmente compie un'azione che fa cambiare traiettoria alla propria vita.
È un film dove le sfumature sono tutto, e dove ognuno è un po' vittima e un po' carnefice. Parole, parole, parole e lo spettatore sembra assistere così a una seduta psicanalitica. Si percepiscono attraverso la parola tutti i non detti e le verità sopite. Ne esce un ritratto spietato eppure molto umano, le paure che logorano e il tempo che inevitabilmente cambia tutti noi e il nostro rapporto con chi amiamo.
I possibili rimandi sono infiniti, chi scrive di Antonioni, chi di
Bergman (soprattutto "Fanny e Alexander"), Dostojevski, le citazioni di Shakespeare e soprattutto Cechov. L'autore russo è ovviamente da più parti ripreso come principale fonte di ispirazione, soprattutto per quelle riflessioni, apparentemente casuali, ma a ben vedere precise e feroci.
In generale è un film troppo parlato, spesso verboso e respingente, alla fine si arriva provati e forse per questo non giustifica del tutto la sua lunga durata (tre ore e quindici minuti) ma è comunque capace di convincere per la sua inesorabilità. Un cinema fuori dal comune e per questo necessario.
Il film fortunatamente sarà distribuito da Parthénos e Lucky Red. La prima casa di distribuzione conferma così l'attenzione per la filmografia di Ceylan, di cui aveva portato in Italia il precedente "C'era una volta in Anatolia", mentre per Lucky Red si tratta della seconda Palma d'oro consecutiva, dopo il trionfo l'anno scorso de "
La vita di Adele" di Kechiche.
23/06/2014