Il regista americano e lo straordinario protagonista, già in odore di Oscar, raccontano il film sulla vita di Abramo Lincoln
ROMA. È un'ossessione lunga una vita. Ha un nome e una storia gigante. Si chiama Abramo Lincoln e non è solo il sedicesimo presidente americano. È quello che ha tenuto unita l'Unione, ha evitato la secessione, ha lavorato con tutte le sue forze per fare approvare l'emendamento costituzionale che di fatto aboliva la schiavitù e ha attraversato i secoli come emblema di un'onestà incorruttibile e inattaccabile. Per Spielberg una figura che si porta dentro da sempre: "È come se fossi ossessionato da Lincoln sin da quando, e avevo solo 6 anni, mio zio mi portò a vedere la sua statua a Washington, mi sembrò enorme, mi impaurì ma poi gli occhi di marmo mi restarono impressi nella memoria e me ne sentii rassicurato".
Ci pensa da allora, al gigante Lincoln, e da 11 anni lavora a questo film, a questo "Lincoln" (dal 24 nei nostri cinema) candidato a 12 premi Oscar e per il quale lo straordinario protagonista Daniel Day-Lewis ha già ricevuto il Golden Globe. Un film finalmente realizzato partendo da almeno un paio di coordinate precise che Spielberg spiega così: "Intanto volevo assolutamente evitare l'adorazione del personaggio e rimandare un'immagine realistica e intima di un uomo fondamentale per l'America. E poi volevo circoscrivere, non parlare di tutta la vita di Lincoln, evitare il biopic e zoomare solo sugli ultimi mesi della sua esistenza, sul fondamentale momento in cui si deve far passare il XIII emendamento".
Non una vita da raccontare ma l'essenza, insomma. Come ha capito , da subito, Daniel Day-Lewis il miglior Lincoln di sempre: "Per prepararmi al ruolo ho letto di tutto per oltre un anno, ho studiato anche sulle fotografie, ho lavorato moltissimo sulla lingua ma, appunto, non ci interessava una biografia a capitoli per mostrare la sua vita, ma un film che riuscisse a dare allo spettatore l'essenza dell'uomo anche al di là della sua vita materiale e delle sue scelte politiche. Ed è l'essenza dell'uomo che spero di aver trovato e che mi resterà dentro per sempre, oltre che qualcosa che ci avvicina, come la paternità e il senso dell'umorismo che Lincoln aveva oltre la facciata fredda e impenetrabile, insieme a un'enorme carica di umanità". Così l'attore londinese un solo problema ha avuto sul set : "Le interminabili sedute di trucco, ma il fatto che poi io sembri vecchio ma non truccato vuol dire che ne valeva davvero la pena. Per me cambiava ben poco, io al di là del trucco, finché lavoro su un set, resto nel personaggio, parlo come lui, sto sotto la sua pelle e non esco dal ruolo finché il film non è finito. Anche con Spielberg parlavamo poco, l'importante era capire dall'inizio che cosa l'uno poteva fare per l'altro".
E l'essenza si afferra a partire dai sogni. Da una nave che va troppo veloce... un sogno con tratti da incubo. Non è una battaglia, però, quello che sogna Lincoln è un emendamento, appunto il XIII, quello che abolisce la schiavitù stabilendo di fatto che tutti gli uomini sono uguali davanti alla legge. "In questo momento puoi avere tutto, non sprecare la tua popolarità con una proposta che verrà senz'altro respinta", gli ripete accorata la moglie. E il segretario di Stato: "Tra poco lei inizierà il suo secondo mandato con una levatura quasi divina... perché appannare tutto con una lotta in Parlamento?". Ma Lincoln ha già deciso tutto. E da molto tempo. E sa che il punto, in piena guerra civile, non era "o l'emendamento o la pace...", ma che "l'emendamento è la cura. Abolire la schiavitù dalla costituzione stabilisce il destino per tutti i tempi a venire... anche per quelli che devono ancora nascere!".
Dovette accettare dei compromessi? Risponde Sally Fields, moglie di Lincoln nel film, distrutta dalla perdita del figlio: "Ma fu sempre onesto anche quando c'erano dei compromessi da fare. In politica ci sono compromessi e compromessi, e a volte utilizzarli è essere la cosa migliore da fare. Purché lo si faccia in nome del progresso per governare con giustizia". Così eccolo il "Lincoln" che segue una linea d'azione complessa, che incastra obiettivi giganti - far finire la guerra, unire la nazione e abolire la schiavitù - fino all'epilogo noto, quando venne assassinato da un attore sudista al Ford's Theatre di Washington.
Tirato fuori dal bestseller "Team of Rivals", scritto dal drammaturgo premio Pulitzer Tony Kushner (Spielberg ha impiegato anni per convincerlo, e poi Daniel Day-Lewis ha chiesto, appunto, un anno di tempo per prepararsi), "Lincoln" ci restituisce un regista tornato in sé dopo il dimenticabile "War Horse", teso, duro e toccante insieme, pronto a dire e ridire, insegnare e sottrarre, aiutato dal gigante Day-Lewis e dalla fotografia carica di ombre e luci di candela dell'ottimo Janusz Kaminski.
Film imperdibile e protagonista indimenticabile che oggi confessa: "Non essendo americano, avevo altri eroi. Nelson era il mio eroe, sin da quando vidi da bambino al Royal Naval College l'uniforme che indossava quando venne ucciso nella battaglia di Trafalgar con i buchi dei proiettili e le macchie di sangue. Poi Gagarin è stato un altro eroe per me. E adesso, dopo averlo conosciuto bene, anche Lincoln è uno dei miei grandi eroi. Per sempre".