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Intervista a Ben Affleck - Speciale Argo

Ben Affleck racconta il suo ultimo film, "Argo", tra storia americana, aneddoti e impressioni sulla collaborazione con George Clooney

ROMA - "Ciò che conta è attenersi alla verità della storia. Diciamo che ho cercato di rendere omaggio a questi personaggi e restare fedele alla storia, ma al cinema hai anche bisogno della costante attenzione del pubblico. Bisogna cercare di mantenere questo equilibrio. Ho raccontato tutti i fatti centrali, ma ho lavorato un po' sulla tensione nel terzo atto. Devo però dire che è merito degli attori. Sono stati convincenti: se guardate la bellissima scena di inseguimento ne ‘Il braccio violento della legge', non credo vi stupiate solo per lo spettacolo. Quello che lo rende adrenalinico è vedere Hackman dietro il volante. Una cosa fantastica. Qualcuno a Hollywood può non essere d'accordo, ma per me gli attori sono quello che contano di più. E poi nel mio ufficio avevo le foto dei veri protagonisti della storia e nella scelta degli attori mi hanno ispirato molto le somiglianze, proprio perché cercavo anche un'adesione alla realtà". Ecco a voi Ben Affleck, interprete, regista e produttore di "Argo", (nelle sale dall'8 novembre distribuito dalla Warner) centrato sulla fuga, grazie all'intervento dell'esperto Cia di infiltrazioni Tony Mendez, di sei americani scampati ai rivoluzionari iraniani nella Teheran in fiamme del 1979 , fuga avvenuta grazie a un improbabile film da girare. Più inverosimile di così si muore ma, signori, è la realtà. Quella fuga avvenne davvero. Quella fuga e quel finto film. E salvarono vite umane. Come ricorda Affleck, a Roma per la presentazione del film: "La crisi degli ostaggi creò molti problemi a Carter, anche se Reagan avrebbe vinto lo stesso le elezioni probabilmente. Io comunque non volevo fare un film politico, ma cementare questa storia forte nella mente delle persone. Non volevo parlare della presidenza Carter, volevo solo raccontare una storia incredibile e reale e rendere omaggio ai protagonisti di allora. Detto ciò, è ovvio che mi interessa e non ho difficoltà a dire che voterò per Obama. Non aggiungo altro perché o apriamo un dibattito politico oppure basta che sappiate che sono un democratico".

Ma questa è la prova che il cinema può anche salvare la vita, letteralmente? "Credo che l'obiettivo del cinema non sia salvare le persone. È una forma d'arte e le persone si esprimono appieno attraverso questo mezzo. Con questo film volevo rendere omaggio a chi si sacrifica per il proprio paese e, in seconda battuta, fare riflettere le persone, senza però suggerire loro che cosa pensare". Ma da dove è partito? Dall'amore per il cinema o per il suo paese? "Dall'amore per il cinema e sono partito da una sceneggiatura che mi ha sorpreso. Ma , certo, amo anche il mio paese e in modo pragmatico riconosco le sue cose positive". Cosa pensa dell'oggi? "Quando anni fa cominciai a riflettere su questo film, immaginavo similitudini tra sostegni non voluti dati ai dittatori e primavere arabe, e oggi sono davvero intristito dalla tragedia di Bengasi e da ciò che è successo al Cairo,questo mai avrei potuto prevederlo. Mi ha reso triste il fatto che la storia si sia ripetuta. Guardi i girati di trenta'anni fa, e capisci che non ci si è allontanati poi tanto da quella situazione".

Ma, alla sua terza regia dopo "Gone Baby Gone" e "The Town", com'è stare dietro la macchina da presa? "Faticoso, e mi vedo sempre pieno di errori. Ci è voluto un po' per rilassarmi, calmarmi, e passare alla regia. Ma non è solo questione di trovare il materiale giusto e la fiducia per intraprendere questa avventura. È sempre una pura questione di fortuna: da attore ho lottato tanto per trovare dei ruoli. C'erano periodi in cui facevo i provini, ma non ottenevo le parti. Poi d'un tratto è arrivato il successo e continuavano a inviarmi copioni. È una questione un po' pericolosa, perché puoi diventare bulimico e accettare tutto. Devi calmarti un po' e ricordarti quali sono i tuoi sogni".
Com'è stata la collaborazione con George Clooney, impegnato anche lui in produzione? "George è fantastico, aiuta molto averlo come partner produttore, perché è una persona che ha fatto il regista e tu ti senti protetto, hai la sensazione che si prenda a cuore i tuoi interessi invece che dirti soltanto se hai sforato o meno il budget. È una persona con molto cervello, è stata una grande opportunità lavorare con lui".

E della Hollywood strapazzata dai personaggi del film che pensa? "Hollywood è un luogo in cui tutti cercano di arrivare avanti agli altri, sfruttare ogni cosa, è un prodotto delle competizione perché ci sono troppe persone che vogliono farne parte, ma è anche un luogo in cui ho amici e in cui ci sono persone che non mentono. E mi piace la parte di Hollywood che lavora, quelli che non vengono pagati tanto, lavorano molto e sono invisibili".
E, dopo tutto questo, è facile tornare davanti alla macchina da presa? "Lavorare con grandi registi mi offre un sacco di opportunità. Scopro le soluzioni che trovano e sono più in grado di digerirle che di rubarle .Dopo aver lavorato come regista, non discuto più con i registi con cui lavoro, li capisco. Capisco anche che un attore debba cercare di prendere la direzione della barca del regista e non un'altra".





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