LOCARNO 69 - In occasione del Festival abbiamo partecipato all'incontro con il pubblico tenuto dall'attore americano premiato con l'Excellence Award Moet & Chandon. Un momento per ascoltare l'esperienza del cinema direttamente da uno dei protagonisti di film d'autore e di tanti blockbuster
A dispetto della tranquillità e dei modi poco appariscenti con cui Bill Pullman ricorda i momenti più importanti della sua carriera sono le parole pronunciate dall'attore americano a rivelarci la presenza di una personalità tutt'altro che scontata e capace di scelte impreviste a cominciare da quando, giovanissimo, comunicò al padre la decisione di volere andare all'università per studiare carpenteria. "Ero il penultimo di sette figli e questo ha fatto si che i miei genitori mi lasciassero più libero di scegliere. Mio padre era un medico e forse avrebbe voluto per me qualcosa di meglio ma non ostacolò la mia volontà".
Arrivato al cinema attraverso il teatro, dove negli anni 70 interpretò e diresse pièce molto serie e impregnate, come quelle di Ionesco, che allora era tra gli autori più in voga del momento, Pullman non nasconde le difficoltà iniziali: "Con mia moglie arrivammo a Los Angeles agli inizi degli anni 80 e nonostante l'insuccesso delle prime audizioni decisi che non mi sarei fatto scoraggiare da chi mi consigliava di cambiare mestiere. D'altronde, se ripenso al fatto che la mia prima parte la ottenni perché il colore biondo con cui mi ero tinto i capelli era così posticcio da suscitare le risate della produzione, capisco come tutto sia dominato dal caos e dalle coincidenze".
Dopo aver preso parte a "Per favore ammazzatemi mia moglie" di Jim Abrahams e dei fratelli Zucker e "Balle spaziali" di Mel Brooks, che lo ingaggiò dopo averlo visto recitare "in una scurissima opera teatrale di un regista belga", Pullman cambia completamente genere ritrovandosi protagonista de "Il serpente e l'arcobaleno" diretto dal maestro dell'horror Wes Craven che per farlo entrare nel ruolo lo porta con sé nella Repubblica Dominicana, dove i due assistono a molti riti Voodoo.
"Più che fiction mi sembrò di prendere parte a un documentario e alla fine della preparazione avevo imparato a rispettare cose a cui prima non davo molta importanza" ricorda l'attore che, grazie al suo eclettismo, negli anni 90 diventa una presenza fissa in molte delle commedie romantiche prodotte in quel periodo, "ruoli per cui non mi sembravo adatto e che invece mi diedero parecchie soddisfazioni". "La cosa buffa", continua Pullman "era il fatto che io ero sempre quello che veniva lasciato dalla ragazza. Solo in "Un amore tutto suo" di Jon Turteltaub riuscivo a conquistarne una, ma lì era facile visto che il compagno di Sandra Bullock era in coma (ride, ndr)".
Del cinema commerciale e di un blockbuster come "Indipendence Day" - del quale ha appena girato il seguito - dichiara di non sentirsi attratto dalla celebrità e di aver amato, del film di Emmerich, la percezione di essere parte di un gruppo in cui ognuno era indispensabile all'altro e in cui tutti erano considerati necessari per il raggiungimento del risultato. "Eravamo, io e gli altri attori, in una fase di carriera in cui ognuno di noi aveva raggiunto una certa notorietà e per questo ci sentivamo predisposti a lavorare senza egoismo e con spirito di condivisione. Certamente a chiunque avrebbe fatto piacere avere la parte che fa da traino al film, ma col senno del poi penso che se fossi stato il protagonista principale non mi sarebbe stato permesso di interpretare un presidente americano così fuori dagli schemi. A volte stare in secondo piano ti permette margini di creatività superiori".
È invece il cinema d'autore ad avergli lasciato le esperienze più stimolanti e la voglia di rimettersi in discussione. A questo proposito si parla di Wim Wenders e del suo "Crimini invisibili", in cui Pullman ebbe un ruolo di primo piano e soprattutto di David Lynch, che lo chiamò a recitare in "Strade perdute" su segnalazione della figlia Jennifer con cui l'attore avrebbe dovuto fare "Boxing Helena".
"Lynch" dice Pullman "è uno che vive nell'arte e che ha studiato come artista visivo. Quando sul set qualcuno gli chiedeva di essere ragguagliato sui pensieri del personaggio soffriva perché la psicologia, che gli attori ritengono fondamentale per capire i propri ruoli, è per Lynch un mezzo sopravvalutato e secondario. Mi ricordo che dovevo girare una scena in cui camminavo verso il buio fino a scomparire dall'immagine. Lynch mi disse che dovevo fare qualche passo per poi girarmi e diventare teatro Kabuki. Così mi disse, testuali parole (ride, ndr)".
Parlando del suo esordio alla regia con il western "The Virginian" (2000), remake di una serie tv assai nota negli Stati Uniti, Pullman ammette che fu proprio l'esperienza sul set di Lynch a determinare questa decisione. "Ognuno di noi rimase colpito da come lui riuscisse a fare grandi cose con così pochi mezzi. La sua immaginazione fu talmente stimolante e contagiosa che al termine della lavorazione in parecchi abbiamo sentito il bisogno di cimentarci in qualcosa di personale". A chi gli chiede il nome di un regista con cui gli sarebbe piaciuto lavorare Pullman fa il nome di Lars von Trier e si congeda raccontando di quando, sul set di un film prodotto dal regista danese ("Dear Wendy") si trovò a faccia a faccia con l'autore di "Nymphomaniac" il quale, dopo averlo scrutato per un paio di minuti gli disse: "È un peccato che io abbia già Stellan (Skarsgard) perché la tua faccia sarebbe stata perfetta per i miei film".
Alcuni suggerimenti di film per vedere l'attore all'opera.
Balle spaziali (Spaceballs) di Mel Brooks (1987)
In questa parodia del geniaccio della commedia demenziale Mel Brooks di "Guerre Stellari" e di tanti altri film di fantascienza, Bill Pullman interpreta Stella Solitaria, un incrocio tra i personaggi di Han Solo e Luke Skywalker. L'attore americano si muove con non chalance nella pazza messa in scena di Brooks, divertendo e divertendosi e facendo il verso ad attori ben più popolari, con un sorriso sardonico dipinto sulla faccia e un grande senso di (auto)ironia, lui attore che proveniva dal teatro Off Brodway.
Il serpente e l'arcobaleno (The Serpent and the Rainbow) di Wes Craven (1988)
Horror politico ambientato ad Haiti, il Nostro ricopre il ruolo di protagonista come Denis Alan antropologo dell'Università di Harvard. Sulle tracce del mistero di una pozione che rende morti viventi, riesce a diventare determinante a scalzare la dittatura di Chevalier, con l'uccisione del capo della polizia segreta. Alan si ritrova inviaschiato in riti voo-doo e lotte politiche, assassini premeditati e interessi economici. Pullman dà vita a un personaggio credibile, sensibile, empatico, vicino allo spettatore, con la sua faccia da bravo ragazzo idealista, rendendo la pellicola di Wes Craven ancora più godibile per l'apporto in una delle sue interpretazioni più riuscite.
Malice - Il sospetto (Malice), regia di Harold Becker (1993)
Pullman interpreta il rettore di un'università americana con una moglie fedifraga e omicida (Nicole Kidman). Ingenuo fino all'ultimo, avrà uno scatto di orgoglio e di presa di coscienza degli inganni subiti e riuscirà contemporaneamente a catturare un serial killer, che uccide le sue studentesse, e a mettere in scacco l'ex-moglie che vuole eliminarlo. Tra Hitchcock e atmosfere noir anni 50, Pulmann si destreggia bene in un ruolo che gli calza a pennello per le sue caratteristiche fisiche e interpretative, dando credibilità a un personaggio che in mano ad altri sarebbe potuto cadere nel ridicolo.
Un amore tutto suo (While You Were Sleeping), regia di Jon Turteltaub (1995)
Commedia nel puro classico stile hollywoodiano, Bill Pullman interpreta il fratello di un uomo caduto in coma a causa di un incidente. Per un equivoco Sandra Bullock, la "fidanzata d'america" viene creduta come la vera "fidanzata" dell'uomo. In lunghi dialoghi brillanti, Pullman dà sfogo a tutta la capacità di rappresentare il volto del bravo ragazzo, un po' sfigato, ma dal cuore tenero e che alla fine riuscirà a raggiungere il lieto fine. Se non ci fosse il Nostro in un'interpretazione degna, dove per la prima volta esce dal cliché di uomo abbandonato, il film cadrebbe nel dimenticatoio della prevedibilità e dei luoghi comuni.
Independence Day, regia di Roland Emmerich (1996)
Nel film di fantascienza tonitruante ed ecumenico della resistenza dell'umanità contro l'invasione degli alieni cattivi, il Nostro interpreta un giovane e combattivo Presidente degli Stati Uniti d'America che si mette a capo della coalizione mondiale per combattere il grande nemico venuto dallo Spazio profondo. Ecologista, politically correct, prevedibile, americanocentrico, Pullman dona al personaggio una coté messianica che ricorda un Mosè modernista, un gesuita laico combattente che ha fede nel destino del proprio Paese. Il fatto di essere all'interno di un collettivo di personaggi co-protagonisti gli permette una recitazione di un personaggio fuori dalle righe e tutto sommato interessante. E comunque quello che si ricorda meglio di tutta la pellicola.
Strade perdute (Lost Highway), regia di David Lynch (1997)
Niente psicologia, ma interpretazione alla Kabuki come chiedeva il genio del Montana a un Pullman straniante (e stranito). Il musicista, nel giallo psichedelico, con lo sguardo fisso ed enigmatico, tutto giocato sulle espressioni del volto e il controllo del gesto, è forse la miglior interpretazione di Pullman (insieme all'antropologo di Wes Craven). Se dovete riscoprirlo come attore iniziate da qui. E poi proseguite a ritroso.