Matteo Garrone racconta il suo nuovo film, Grand Prix a Cannes, che esce il 28 settembre, a 4 anni da "Gomorra"
ROMA - "Continua a crederci... crederci sempre". Così grida l'imbonitore televisivo all'uomo convinto che nel reality del momento non stiano aspettando che lui. E così grida Matteo Garrone, che riesce di nuovo a reinventarsi, tagliando il cordone avvolgente di "Gomorra". Riesce in nome di "un nuovo film con cui andare oltre "Gomorra", un film sulla percezione del reale più che sul Grande Fratello, sul pubblico e su chi guarda più che sulla tv, un film con protagonista un uomo che esce dalla realtà ed entra nel proprio immaginario che è quello di chi sogna il Grande Fratello. Una sorta di moderno Pinocchio, un uomo con un'innocenza e un candore infantile che io ho seguito come se stesse vivendo un'avventura fantastica".
E così sia, con un film che da subito, dal primo magnifico piano sequenza iniziale, ci grida (non si limita a dirci) che, anche se si parla di tv, si sta facendo cinema, fiaba, sogno e che esce adesso (il 28, in 350 copie) con premessa del produttore Domenico Procacci: "In un sistema come il nostro, pretendere che degli autori che fanno un film ogni quattro anni, magari faticosamente, giochino a questo gioco di 'allungare la stagione' mi sembra assurdo. Per allungare la stagione bisognerebbe puntare sui registi che fanno uno o anche due film l'anno, non sugli autori. E la compattezza con cui tutti ci hanno accusato - noi e Bertolucci - per non aver fatto uscire il film in estate mi sembrano inaccettabili".
Detto ciò, nell'affollatissima presentazione romana del film Grand Prix a Cannes, si zooma sulla genesi del film che non può non far pensare a "Bellissima" di Visconti: "Certo che ci ho pensato, ma così come ho pensato all'atmosfera di Eduardo De Filippo o di "Matrimonio all'italiana" di De Sica, cioè a certo cinema dei Sessanta e dei Settanta. La storia ci consentiva quei riferimenti, essendo ispirata alla realtà".
I pericoli da circumnavigare? "La retorica e poi, per ciò che riguarda i rapporti con la tv, rispetto a una volta oggi il sogno è legato anche a un contagio, per molti il fatto di entrare in tv è una certificazione della propria esistenza e le cose che appaiono in tv sembrano più vere della realtà".
E andare oltre "Gomorra" che cosa significava? "Volevo ritrovare il piacere del divertimento dopo il peso di 'Gomorra', e questa storia mi è sembrata perfetta. Doveva essere un piccolo film, poi ha preso un altro spessore ed è diventato un romanzo breve. Mi ha permesso di affrancarmi da 'Gomorra' e sono sicuro che i miei prossimi film non verranno più agganciati a 'Gomorra' e mi sentirò più libero. Anche perché dopo 'Gomorra' tutti mi proponevano film del genere, io avevo il desiderio e l'esigenza di spingermi in un territorio che non conosco, ritrovare una leggerezza che avevo nei primi film. Certo che potevo essere sedotto da altre proposte, ma magari andavo a Los Angeles e mi perdevo...".
Ma quanto il protagonista è vicino a Matteo Garrone o a tutti noi? "Il mio personaggio cade in certe trappole di un sistema in cui tutti potremmo cadere. Anche io da un momento all'altro. Significa che non c'è moralismo, che riguarda tutti, che nei sogni e in certe trappole tutti possono restare impigliati. Significa che nelle trappole del consumismo tutti restiamo imbrigliati. E oggi, se certa tv è in crisi, non lo sono i gusti del pubblico, che ancora fa la fila per entrare nei reality o per andare in tv. Come sempre. Ho ricostruito tutto, il film si muove tra realismo e fiaba: per noi è difficile riuscire a raccontare il mondo della tv senza cadere nelle sue trappole e sfracellarci. Abbiamo cercato di trasfigurare quel mondo senza tradirlo".
Come ha lavorato con l'efficacissimo protagonista Aniello Arena, detenuto-attore, scoperto nella sua Compagnia della Fortezza? "Con un dialogo sempre aperto a tutti gli stadi emotivi, ci si sposta dalla commedia all'italiana a 'L'inquilino del terzo piano' e lui mi ha seguito. Arena lo volevo già in 'Gomorra' e non ha potuto esserci, per 'Reality' sono riuscito a ingaggiarlo".
E Arena racconta: "Arrivavamo sul set e di volta in volta cercavamo la giusta emotività del personaggio, lavorando sequenza per sequenza, il personaggio vive e cresce dentro di te. Io sentivo emotivamente il personaggio, anche con la sua allegria, e di me gli ho dato tanto. Non amo i reality, il Grande Fratello l'ho visto solo i primi anni perché era una novità. Ma, nonostante il carcere, la tv la seguo poco, più film e documentari. Io amo il teatro". E, se gli si domanda, che cosa pensano gli altri detenuti degli attori in carcere come lui , risponde: "Il teatro non mi ha formato solo come attore, ma come uomo. Ogni sera, dopo il corso di teatro, rientravo in cella e mi mettevo in discussione. Noi non siamo solo detenuti, siamo anche altro. Questo amo del teatro e ho cercato di farlo capire agli altri. Spero sempre di riuscirci, almeno un po'".