Giunge alla Settantesima edizione la rassegna cannense dedicata alla Settima Arte e Ondacinema è in prima fila per raccontarvela passo per passo. Con brevi flash dalla Croisette, vi terremo aggiornati sull'andamento del Festival, in cui l'Italia, seppure assente dal concorso ufficiale, vanta più presenze nelle sezioni collaterali. In giuria, tra gli altri, i registi Park Chan-wook e Paolo Sorrentino, guidati dal cineasta spagnolo Pedro Almodóvar
Fuori concorso
How to Talk to Girls at Parties di John Cameron Mitchell
Cosa si può dire del film di John Cameron Mitchell, icona del ciinema queer ed anticonformista americano che avevo apprezzato anche nel classico e compatto "Rabbit hole" sulla perdita di un figlio, anch'esso interpretato da Nicole Kidman?
Che forse Mitchell farebbe bene a non pensare di essere il più grande cineasta vivente, ma piuttosto bravo ed abile ad abbattere tabù, sessuali, di costume, di pensiero. Quindi ci si trova davvero a disagio nel parlare di un film che parte dal fenomeno punk inglese degli anni '70, Ramones e Sex Pistols e si incarta ben presto in una parabola su una differente forma vivente caduta sulla terra. Forse Mitchell ha visto "The neon demon", il film di Refn che ha suscitato tante polemiche riflettendo su etica ed estetica, corpi astratti, paranoie. Qui si mescolano diversi livelli che cozzano uno contro l'altro senza nessuna logica, ma anche volendo evitare una logica. Solo un esercizio imbarazzante per un regista che sa emozionare e sorprendere, come aveva fatto proprio qui a Cannes nel 2006 con "Shortbus".
Proiezioni speciali
The Venerable W. di Barbet Schroder
Inserito fuori concorso all'ultimo minuto, come il film di Roman Polanski, "The venerable W." di Barbet Schroder è la storia di un influente monaco buddista interprete, di un certo filone religioso politico del suo paese che ha portato allo sterminio di migliaia di musulmani concentrati nella zone nord ovest del Mynmar, al confine con il Bangladesh. Da sempre regista anomalo, geniale, poliedrico, autore di affascinanti film hollywoodiani come "Murder by numbers", di apologie sull'assolutezza del Male come "La vergine dei sicari" e di tanti documentari terrificanti, Barbet Schroeder ha colto ancora nel segno, filmando, anche di nascosto, i sermoni razzisti del monaco e dei suoi seguaci che hanno portato avanti, in quasi quarant'anni una vera e propria pulizia etnica di una minoranza vista come pericolosa e troppo ricca. Con l'aiuto del regime militare, al potere in Myanmar dal 1062, questo è stato possibile, e Schroeder ce lo testimonia con immagini di archivio inframezzate da una lunga intervista alla stesso monaco dopo la sua scarcerazione.
Un Certain Regard
Before We Vanish di Kyoshi Kurosawa
Continuano le delusioni al festival di Cannes. Anche dai registi che più amiamo, come Kiyoshi Kurosawa qui in "Un certain regard" con l'horror thiller "Before we vanish". Una famiglia massacrata, una ragazza che scompare, un matrimonio che vacilla, un investigatore sulle loro tracce, In estrema sintesi questo è l'ultimo lavoro dell'eccessivamente prolifico regista giapponese che ogni sei mesi è dietro la m.d.p e che non sempre riesce a costruire quelle trame mirabili di suspance che erano di "Pulse", "Doppleganger", "Real" e, più recentemente, "Creepy" e "Jouney to the shore". Svogliato, Kurosawa confeziona un film prevedibile, inutilmente dilatato, che cerca l'umorismo con personaggi alquanto improbabili come il detective che indaga sul massacro iniziale della famiglia. Anche visivamente "Before we vanish" è estremamente piatto, monocorde, senza una scena che si riesca a ricordare.
Fuori concorso
Blade of the Immortal di Takashi Miike
Per un prolifico regista nipponico che sbaglia un film, eccone un altro che invece firma la sua migliore opera da qualche anno a questa parte: il mitico Takashi Miike, giunto quasi al suo centesimo film con "Blade of immortal". Storia di Manjii, samurai che raggiunge l'immortalità dopo un'epica battaglia in cui perderà la sorella e di Rin, ragazza a cui vengono uccisi i genitori da sanguinari assassini, "Blade of immortal" inizia con un incipit epico, in bianco e nero, mozzafiato, sintesi di stile purissimo. Anche la descrizione degli assassini che seminano terrore in vasti territori dell'antico Giappone è raccontata con sottrazione, silenzi, che celano timore, rispetto, un codice di regole da rispettare. Un Mike che quindi riesce ad unire spettacolarità a grande tenuta narrativa, spettacolarità ad introspezione psicologica. Presentato fuori concorso. Un peccato, visti i film passati in concorso fin ad ora.
In concorso
Loveless di Andrey Zvyagintsev
Andrey Zvyagintsev è regista di grande talento. La Russia che ci racconta dai tempi de "Il ritorno", Leone d'Oro al festival di Venezia nel 2003 è un paese malato, corrotto, falsamente raggiunto dal benessere economico (la presenza qui ossessiva degli smartphone, utilizzati da tutti come primaria forma di comunicazione, tanti oggetti del "benessere occidentale", tante consuetudini). In "Loveless", che segue il poetico "Leviathan" premiato qui nel 2014 per la miglior sceneggiatura, ci accostiamo alla storia di una coppia che sta divorziando e che sta lentamente cercando una nuova vita. Il loro figlio all'improvviso scompare, senza tornare mai più. Rispetto alle sue opere precedenti il regista russo opta per una narrazione meno lirica, molto solida, eccessivamente simbolica e programmatica. Tutto è estremamente significante e rimanda a qualcosa "d'altro", che, naturalmente, allude alla situazione del paese, ai conflitti riaperti con gli ex paesi dell'Unione Sovietica, a partire dall'Ucraina. Terribilmente cupo, soprattutto nella disperata ricerca del figlio, "Loveless" si candida sin d'ora come possibile vincitore di qualche premio, anche se Zvyagintsev aveva fatto meglio in precedenza.
Va comunque premiato il suo coerente percorso d'autore.
In concorso
Wonderstruck di Todd Haynes
Il film di Tood Haynes era uno dei più attesi del concorso e dell'intero festival. E invece ha profondamente deluso. "Wonderstruck" è la storia parallela di una ragazza degli anni venti e un ragazzo degli anni '70, entrambi con problemi di udito, che grazie al sottile filo della memoria si ritrovano nella magia di New York. Haynes costruisce un film muto, trascinato da una colonna sonora da film anni '20, che solo nella parte finale, quella della riunificazione si fa più moderna. Gioca su due livelli, quello del nostalgico bianco e nero degli anni '20, della magia del cinema muto e quello altrettanto nostalgico delle atmosfere degli anni '70. Ma non trova mai l'equilibrio narrativo giusto, la corretta alchimia per far diventare una operazione nostalgica un corpo pulsante, che trasmetta emozioni, come accadde due anni fa con "Carol". Qui tutto è prevedibile, freddo, noioso. Peccato, perchè l'incipit con "Space oddity" di Bowie è strepitoso.
In concorso
Okja di Bong Joon-ho
Uno dei due film, assieme a quello di Baumbach, che ha scatenato la polemica tra Cannes, il presidente di giuria Pedro Almodovar e la Netflix, accusata di presentare in concorso film che non arriveranno nelle sale cinematografiche.
"Okja" si è beccato dei sonori fischi non solo perchè targato Netflix, ma perchè dal regista di "Mother" e "Snowpiercer" ci si aspettava molto di più di questa tronfia fiaba ecologica e animalista a cavallo tra le montagne della Corea e lo skyline di New York. Un po' "Jumanjii", il film con Robin Williams di qualche anno fa, un po' Jurassic Park" e tanto altro già visto e rivisto, "Okja" da l'impressione di un giocatollone che ha fagocitato uno dei migliori registi coreani contemporanei, senza lasciargli un briciolo del suo estro di regista di talento. Anche alcune scene d'azione, di grande impatto spettacolare e visivo, si perdono nella filosofia buonista della ragazzina che salva il mostro.
Ma perchè un film così in concorso?
Un Certain Regard
Barbara di Mathieu Amalric
Non un semplice film nel film, non un'operazione ombelicale o l'ennesimo omaggio alla Nouvelle Vague. Mathieu Almaric sorprende sempre di più, come attore e anche come regista. Il suo sguardo incantato fotografa l'amore per la messa in scena, per la sua musa, per la genesi dei dialoghi che spesso scaturiscono dal lavoro sul set. Le identità attrice/personaggio spesso si confondono, cambiano, così come lo stile di Almaric, nervoso e pieno di fratture, in particolare quando segue Brigitte/Barbara in viaggio, durante le sue performance, i suoi incontri con il pubblico, la sua interazione con gli altri attori e la troupe. Cinema di grande libertà, ispirato, mai vintage, anzi modernissimo per come riesce a trasmettere un autentico amore per la mise en scene, senza cadere nella retorica engagè di molto cinema francese.
Un certain Regard
Western di Valeska Grisebach
Arrivato in Un certain regard con la sponsorizzazione illustre di Jessica Hausner, "Western" di Valeska Grisebach ci racconta le avventure di un gruppo di lavoratori tedeschi e, quindi, del loro sguardo "occidentale" sulle lande deserte della Bulgaria, dove nessuno ovviamente parla la loro lingua e riesce a farsi capire. "Western" segue una fenomenologia del quotidiano spicciola, essenziale, che tenta di restituire lo spaesamento reciproco di due gruppi che non riescono a capirsi. Belle location, attori in parte, ma nulla più.
Quinzaine des Réalisateurs
Un beau soleil interieur di Claire Denis
Claire Denis per inaugurare la Quinzaine de realisateurs (che questa sera ha assegnato la Carrosse d'or a Werner Herzog), ha scelto un film un po' fuori dalle sue corde e poco riuscito. Questa storia di una ricerca d'amore impossibile per lo sfortunato personaggio interpretato da una scialba Juliette Binoche, si avvita su se stessa sin dall'inizio, nella volutamente imbarazzante scena d'amore della donna con il suo psicanalista. Un film molto parlato, troppo, che gira attorno a se stesso, senza un colpo d'ala.
La Denis è sempre stata autrice di immagini di grande potenza, provocanti e provocatrici, qui si adagia su un discorso amoroso molto francese, flebile e francamente assai tedioso.