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Frances McDormand è Olive Kitteridge, protagonista di questa bellissima miniserie in quattro puntate, che avvicina una volta tanto il cinema alla tv. Diretta da Lisa Cholodenko e ispirata alla raccolta di racconti di Elizabeth Strout, premio Pulitzer per la letteratura nel 2009

Olive Kitteridge è la protagonista che dà il titolo al romanzo - una raccolta di racconti - di Elizabeth Strout, vincitore nel 2009 del Premio Pulitzer per le letteratura e pubblicato in Italia da Fazi.
La miniserie tutta al femminile, sceneggiata da Jane Anderson (con la consulenza della stessa Strout) e diretta da Lisa Cholodenko, è stata prodotta dalla HBO e Play Tone e trasmessa negli Stati Uniti nel 2014 proprio sul canale HBO. In Italia è presentata nel settembre dello stesso anno, fuori concorso, al 71° Festival di Venezia e trasmessa su Sky in due serate - di due puntate ciascuna - il 23 e il 30 gennaio 2015.
Frances McDormand aveva già acquistato i diritti per una trasposizione cinematografica prima ancora che il romanzo si aggiudicasse il Pulitzer e figura, insieme a Tom Hanks, fra i produttori esecutivi della serie. Ma soprattutto Frances McDormand è Olive Kitteridge, probabilmente come nessun'altra lo sarebbe stata. Un personaggio che è una sorta di compendio di tutte le doti interpretative che l'attrice ha espresso nella sua lunga carriera. E' figlia, madre, moglie, amante, nonna, zia e soprattutto donna. Con tratti anche maschili.


La sigla
La sigla che apre tutte e quattro le puntate rivela in successione una serie di dettagli che ritroveremo sparsi  nell'arco dell'intera storia. La musica di Carter Burwell (compositore storico dei Coen e di Spike Jonze e che ha già lavorato con la Cholodenko in "I ragazzi stanno bene") ci introduce alla vita di Olive Kitteridge attraverso la sua "collezione privata".
Alla levità degli archi si uniscono le note gravi del pianoforte tramite il raccordo del flauto, che è il suono dei particolari. Lo zucchero a velo diventa neve le nuvole ghiaccio che gira in un bicchiere di scotch, il segno del bicchiere sul tovagliolo, le sigarette Tareyton sulle poesie di Berryman, i fulmini che cadono all'orizzonte mentre un tulipano rialza il capo, il mare picchia sugli scogli e un battello alla deriva si allontana fino a stamparsi sulla carta da parati. E' una composizione di attimi, di immagini rivissute a doppia velocità, o rallentate, fermate, nel gioco di rielaborazione della memoria.
Sul finire s'intravede appena una porta socchiusa.  
Entriamo così nel mondo di Olive Kitteridge, da una porta socchiusa, appena intravista. Sospinti dalle musiche di Burwell siamo invitati a far attenzione alle piccole cose che si insinuano fra gli elementi della natura e l'altro elemento estremamente volatile che è il tempo. Oggetti, momenti, parole, moti d'animo espressi o tenuti segreti: la presenza costante e instancabile delle piccole cose è il riferimento paradossalmente più solido su cui sostenere l'esistenza.


Episodio 1 - Farmacia (Pharmacy)
La prima inquadratura segue Olive che avanza di spalle su un tappeto di foglie. Le scarpe, Il volto segnato dal tempo, le mani che accendono la radio portatile, estraggono la pistola avvolta prima in un panno. Il sole freddo illumina la radura dove Olive si accomoda per porre fine alla sua vita. La scelta cromatica è netta, i vestiti di Olive quasi la mimetizzano nell'autunno del bosco.  "A tutti gli interessati" è scritto sulla busta che lascia cadere sul plaid. Una sola pallottola nel tamburo e un sospiro rivolto al cielo e agli alberi intorno.
Cominciare con un ipotesi di suicidio e poi saltare indietro di venticinque anni costringe a porsi almeno due domande: 1) qual è il motivo che l'ha spinta al suicidio?; 2) si suiciderà davvero?
Venticinque anni prima è inverno, San Valentino. Il giorno ideale per far subito emergere il cinismo e l'apparente insensibilità - o la singolare sensibilità - di Olive ("Hai buttato il mio biglietto" - "L'ho già letto"). E di contro mostrare l'amorevole avvicinamento invano tentato dal marito Henry Kitteridge (egregiamente interpretato da Richard Jenkins). Ma non è solo questo.
Molte volte nell'arco delle quattro puntate - venticinque anni condensati in poco meno di quattro ore di tempo filmico - ci sorprenderemo a commentare mentalmente: ma non è tutto qui, non è solo questo.
Siamo dunque tornati negli anni Settanta, a Crosby, una piccola cittadina immaginaria del Maine (la stessa del romanzo della Strout) affacciata sull'Atlantico.
Olive Kitteridge insegna matematica alle scuole medie del paese. Il marito Henry Kitteridge è il proprietario di una farmacia, che gestisce con dedizione e oculatezza. Le sue carinerie sono mortificate dalla schiettezza feroce di Olive, incapace di trattenere o moderare il proprio pensiero. Ma non è solo questo.
Attraverso Olive, Henry suscita compassione e al tempo stesso una sottesa avversione, come se al tempo stesso fosse una persona forte, degna di stima, ma anche un debole, arreso nel vittimismo. Innamorato della moglie o forse del'idea di esserne ancora innamorato. Christopher Kitteridge (Devin Druid) è il figlio tredicenne su cui Olive sfoga i suoi malumori o con il quale si allea per colpire Henry.
Il primo episodio ruota attorno a due eventi: l'arrivo di Denise (Zoe Kazan) e la dipartita di Jim O'Casey (Peter Mullan).
Denise è la nuova commessa della farmacia, un personaggio molto caratterizzato: frangia e occhialoni, vocina e dolcezza ai limiti del fastidio ("topo" la chiama Olive) un mix che scuote l'emotività del signor Kitteridge, attirato dalla purezza della ragazza  come pure dal suo karma negativo. Sintomatica e memorabile la scena in cui Henry osserva Denise - con un improbabile vento fra i capelli - rimettere in ordine il negozio sulle note di "Diamond girl...surely shines". Di fronte a quella fragile creatura, Henry libera il suo istinto paterno fino a perderne la misura.
Olive osserva in sarcastico silenzio il progressivo inebetirsi del marito, O'Casey, insegnante di letteratura fumatore indefesso, sorseggia il suo whiskey al bancone. Scrive qualcosa su un tovagliolo prima di uscire. Per la prima volta in scena la pianista, che allieta i clienti del ristorante. Tornerà più volte, in ogni episodio, con altre canzoni. La pianista è il tempo che passa, l'occasione che sfuma, l'illusione che torni, il fumo che resta. Olive piange lacrime di profonda disperazione.
Denise e O'Casey sono il sogno di un'altra vita che non si avvera.


Secondo episodio - "Marea" (Incoming Tide) 
Dopo il flashback iniziale il tempo continua a scorrere in avanti. All'inizio di ogni episodio - con eccezione del primo - avanziamo di alcuni anni. Avanti verso cosa? Verso il suicidio, certo, ce lo eravamo quasi dimenticati. Com'è possibile dimenticarlo? Il merito è di una composizione che prende un po' di entrambi i coniugi Kitteridge. La messa in scena curata fin nei minimi dettagli, la narrazione sobria, compassata, ma viva di una costante tensione. Mancano forse i colpi di scena o quegli interrogativi che - come la carota col ciuco - solitamente spingono a seguire la maggior parte delle serie tv. In questo caso la sceneggiatura semplice è la base perfetta per la complessità dei personaggi. S'intuisce che la volontà suicida di Olive non sarà mossa da un singolo evento, ma dal cumulo di tutti e venticinque gli anni precedenti. Più che il suicidio è la tristezza il denominatore che accomuna i personaggi, una densa rassegnazione al fallimento da cui l'idea del suicidio emerge, come la luce di un faro che gira e ogni tanto colpisce. Questo accade all'inizio dell'episodio, con l'arrivo in città di un giovane forestiero che Olive intercetta nei pressi del porticciolo: è Kevin, un ex allievo, uno dei migliori, il bambino la cui madre bipolare Olive aveva più volte aiutato.
Il dialogo nell'auto del ragazzo offre la scena più singolare della serie. Visionaria e imprevista. Grazie anche ad Olive, il destino del ragazzo cambia e prende vita una sottotrama che come altre si esaurisce senza poi essere ripresa nel continuo della storia (torna invece Denise, a confermare che il suo karma non è cambiato).
Il secondo episodio è forse quello in cui meglio si esprime la fotografia di Frederick Elmes (con Lynch: "Eraserhead", "Velluto Blu", "Cuore selvaggio"; con Jarmusch: "Coffee and cigarettes" e "Broken Flowers"; con Ang Lee: "Tempesta di ghiaccio", "Cavalcando col diavolo" e "Hulk") abilmente coordinata agli scenari curatissimi, una fotografia "confortevole" che non bada ad esaltare l'atmosfera della scena, ma a contenerla, a mettere in risalto - non ad esaltare - il lavoro degli attori. Così come la Strout sulla pagina, la Cholodenko è riuscita a trasporre la vita sulla pellicola, a tradurla, a rendere la finzione reale.
Il matrimonio di Christopher (John Gallagher Jr.) con Suzanne (Libby Winters) ci regala una delle scene più belle dell'intera serie. Dopo aver tentato più volte di rovinare sia il banchetto che la cerimonia, Olive si ritira in quella che diventerà la camera dei novelli sposi. Secondo una regola base della retorica, sono tre i soggetti che interrompono il suo riposo: prima Henry, che tenta di rincuorarla; poi la madre di Suzanne; infine la bambina che Olive aveva poco prima terrorizzato. E' una scena che non manca di nulla. Ci sono tristezza, amore, solitudine, ma non solo questo, anche insofferenza, cinismo, dolcezza, ironia e piena coscienza della caducità umana.
Quando la bambina esce lascia la porta aperta. E ad Olive l'occasione di compiersi una volta tanto, di uscire dallo stato mentale dove sta sempre rinchiusa. All'umiliazione segue il senso di colpa, inseparabile compagno, e infine uno stato di eccitazione che Olive non riesce fortunatamente a controllare.  


Terzo episodio - Un'altra strada (A different road)
E' certamente l'episodio più triste, dove i Kitteridge sperimentano "la solitudine di mezzo", il momento in cui si è troppo vecchi per essere figli e troppo vecchi per trattenere i figli.  
Christopher e Suzanne divorziano. Olive si mostra impassibile, semmai infastidita - non certo sorpresa - dall'opportunismo della nuora ("Avrà trovato qualcosa di meglio"); in verità soffre in silenzio, come se mostrarsi fosse segno di debolezza. Il suo sconforto è ripreso di spalle, mentre pulisce il piatto di Henry che al contrario dichiara tutta la sua amarezza ("Credevo volesse dirci che aspettavano un figlio"). Olive continua a ossessionarsi con le pulizie, Henry tira fuori da uno scatolone i trenini che un giorno avrebbe voluto mostrare ai nipoti. Olive elargisce i suoi consigli ed esce di scena velocissima, perché incapace di sostenere l'effetto delle proprie parole sul marito, perché quelle sue stesse parole definiscono una paura che lei stessa vive. La paura di non avere più uno scopo, una destinazione.  
Mentre Olive recupera la sua indifferenza, Henry ha bisogno di essere riconosciuto, di affermare la sua esistenza, così torna a visitare il suo vecchio negozio - dove segnaliamo la prima comparsa di Bill Murray - ormai da tempo venduto a una moderna catena di farmacie.
In contrasto con il senso di abbandono e il vuoto lasciato da Christopher, nella seconda parte dell'episodio si svolge l'unica scena di azione - peraltro molto lunga - dell'intera storia. Per una serie di sfortunate coincidenze  Olive ed Henry si ritrovano ostaggi di una coppia di rapinatori. Di primo acchito la scena è esagerata, ma rivedendola una seconda volta - resta comunque troppo lunga - il momento di pericolo giustifica il dialogo-confessione fra i coniugi Kitteridge che altrimenti non avrebbe raggiunto mai un simile grado di brutale schiettezza ("Perché sei piena d'odio?" - "Perché sei troppo semplice per me Henry, avrei dovuto lasciarti anni fa" - "E perché non l'hai fatto?" - "Stavo per farlo...ma lui è morto!" ).
E' verso la fine però che si compie la tragedia vera e propria e si apre quindi "un'altra strada": Henry è colpito da un ictus e sopravvive restando però in uno stato catatonico. Il rapporto tra Olive e Chris, privo della presenza catalizzatrice e mediatrice del padre, finisce presto per degenerare in uno scontro frontale, Chris si libera di tutto l'odio accumulato e lo riversa sulla madre con rabbia accusatoria.


Quarto episodio - "Sicurezza" (Security)
Quattro anni dopo. Olive sta per diventare nonna, raggiunge il figlio a New York, dove adesso vive insieme ad Ann (Audrie Marie Anderson) la nuova compagna già madre di altri due bambini avuti da uomini diversi.
Ci sono tutti i presupposti perché Olive e Christopher si riconcilino e anche tutti i presupposti perché non lo facciano.
La sera prima di dormire Olive chiama Henry, presso l'istituto dov'è ricoverato, e gli confida i suoi disagi più intimi, senza poter sapere se dall'altra parte Henry la stia ascoltando, se stia dormendo o preparandosi a morire. Olive resiste alla sfacciataggine del piccolo Theodore, si lascia chiamare nonna,  resiste persino al modo di vivere "new -freak" di Ann, da cui si lascia chiamare mamma, fino a che - "E smettila di chiamarmi mamma, non ti ho sfornata io!" -  decide di andarsene, non prima però di procurarsi un buon motivo per odiare e lasciarsi odiare. Riemergono così le antiche dinamiche, l'incomunicabilità stratificata negli anni e cristallizzata dall'orgoglio a cui né Olive né Chris intendono rinunciare. Ma non è solo questo.
Madre e figlio si odiano perché odiano loro stessi. Si accusano a vicenda per la sorte di Henry perché si sentono in prima persona colpevoli. Insieme alla tristezza, e al fallimento, anche il senso di colpa accomuna tutti i personaggi della serie.
Quando Olive torna a casa, la pianista si è trasferita nella casa di riposo. Henry è morto ma Olive non ha ricevuto il messaggio. "Preferirei tagliarmi la gola piuttosto che finire in un posto del genere" cioè il posto in cui lei ha ricoverato Henry (il senso di colpa non ha fine).
Olive si rimette di nuovo in sesto, la morte del marito è in fondo un sollievo per entrambi. Christopher non le rivolge più parola. E' Ann a chiamarla di nascosto per informarla che il bambino è nato.  
Il cerchio sta per chiudersi, Olive si avvia verso il bosco con la pistola avvolta nel panno. Quali siano le ragioni che la muovono, se può esistere una "ragione" per una simile decisione, è lasciato al sentire di ognuno. Il suicidio è una semplificazione molto complessa.
Penso che l'incontro con Jack Kennison (Bill Murray) può essere la goccia che spinge Olive a togliersi la vita piuttosto che tradire il marito e perpetuare un insostenibile senso di colpa.
Sono i bambini, come sempre, la salvezza. La chiamano strega, rompono l'incantesimo, le concedono un sospiro e un pianto liberatorio.
E' ora che Olive dimostra la sua teoria: "la depressione va di pari passo con l'intelligenza", una frase bellissima se presa nella giusta dose. Chi vede nelle cose, dentro le cose, è naturale che si deprima. L'intelligenza è perdonarsi e accettare la vita che ci è stata concessa ancora.
Il dialogo che segue è la trascrizione di un momento di quiete, tenerezza assoluta, in cui i due naufraghi si confessano reciprocamente la propria innocenza:

- Ti ho portato i miei tulipani, non li regalo facilmente
- E' colpa mia se mio figlio mi odia
- Io non parlo con mia figlia da due anni. Riesci a immaginarlo?
- Mio marito mi amava alla follia e io l'ho sempre trattato male.
- Mia moglie era una santa e io l'ho tradita.
- Anch'io l'ho tradito...non proprio, l'ho evitato, ma lui ha sofferto lo stesso.
- E ti senti malissimo.

Olive si sdraia accanto a Jack e si lascia abbracciare.
- Sono terrorizzato.
- Smettila...Odio la gente che ha paura...
- Bè è davvero un peccato.

Olive sorride, ed è lei che adesso abbraccia Jack poggiandogli la testa sul petto.
- Senti qualcosa? Sono ancora vivo?
- Continua a battere.

- Questo mondo mi confonde. Ma non mi va di lasciarlo.

Olive Kitteridge
Informazioni

titolo:
Olive Kitteridge

titolo originale:
Olive Kitteridge

canale originale:
Hbo, Sky Cinema 1

creatore:
Lisa Cholodenko

produttori esecutivi:
Frances McDormand, Tom Hanks, Jane Anderson, Gary Goetzman, Steve Shareshian

anni:
2015