Basata sull’omonimo romanzo Premio Pullitzer del 2016 di Viet Thanh Nguyen, la serie realizzata in casa HBO dal genio del cinema coreano Park Chan-wook è un prodotto costruito meticolosamente, capace di analizzare tanto un contesto storico complesso come quello del Vietnam post-bellico come di effettuare una profonda riflessione sulla molteplicità identitaria degli uomini e delle nazioni
Il protagonista de "Il simpatizzante" è il capitano, una doppia spia mezzo sangue franco-vietnamita, infiltrata dai Viet Cong tra le fila della polizia segreta del Vietnam filoamericano. Gli americani, va da sé, nella persona dell’ambiguo Claude (Robert Downey Jr.), faranno di lui un contro-spione, in barba a ogni etica e a rischio della sua incolumità e integrità morale.
Le vicende narrate dalla serie iniziano giusto intorno alla caduta di Saigon e al ritiro delle truppe americane dal territorio vietnamita. Ci troviamo, dunque, un po' in Vietnam e un po' nella Los Angeles della seconda metà degli anni 70, dove il Nostro vivrà situazioni tra le più disparate: tradimenti, consulenze cinematografiche, liaison bollenti (tanto con la giovane Lana interpretata da Vy Le quanto con la più matura Sofia Mori di Sandra Oh), fughe rocambolesche, incontri-scontri con altri contro-spioni.
Sullo sfondo: il Vietnam cerca di ricostituire l’ordine secondo i dettami del comunismo dittatoriale, i vietnamiti emigrati negli Stati Uniti provano ad afferrare la propria parte di sogno americano, alcuni di loro tramano improbabili operazioni militari per la riconquista del territorio perduto (la figura esilarante del generale Trong, interpretato da Toan Le) e l’America, ovviamente, continua a immischiarsi in ogni situazione e modo possibile.
Alla grande varietà di situazioni e scenari corrisponde una molteplicità di registri e stilemi davvero rimarchevole: action, spy-story, commedia nera, melò. Ce n’è dunque per tutti i gusti e quello che ne viene fuori è un affresco del periodo storico, forse non completamente verosimile, ma intrigante ed efficacissimo nello stimolare lo spettatore a saperne di più. Ad andare oltre, proprio come vorrebbe il libro di Viet Thanh Nguyen da cui la serie è tratta, alla solita versione raccontata dai libri di storia occidentali.
Uno, nessuno e centomila
Posta la grande rappresentazione della guerra del Vietnam e di tutte le sue implicazioni sociopolitiche sofferte dalla popolazione locale, l’altro elemento esegetico centrale de "Il simpatizzante" riguarda la raffigurazione dell’azione spersonalizzante delle ideologie sull’individuo attraverso l’analisi profondissima del suo protagonista. Come anticipato, il capitano è doppiamente doppio. Il personaggio interpretato dal bravissimo Hoa Xuande è una spia eternamente divisa e combattuta tra due fazioni, i Viet Cong del Nord e i vietnamiti del Sud, il blocco occidentale capitanato dagli Stati Uniti e quello sovietico ispirato da Unione Sovietica e Cina. È però anche un meticcio, figlio di una vietnamita violentata da un soldato occidentale. Un aspetto che ne fa un feticcio vivente del dualismo alla base della guerra fredda, un abitacolo di carne e sangue ove convivono e cozzano le due ideologie di segno opposto.
Il capitano è dunque un giano quadrifronte la cui personalità verrà disintegrata dall’azione lacerante delle dottrine e delle forze politiche che lo manovrano come un burattino. Un uno, nessuno e centomila ideologico che Thanh Nguyen e Park Chan-wook introducono come il più classico dei contro-spioni, ma che addiviene progressivamente il veicolo di un messaggio teorico molto più profondo e sfaccettato. Ad accentuare la divisione del personaggio vi è il suo posizionamento equidistante tra i suoi due amici d’infanzia: Bon (Thanh Nguyen) emigrato in America e deciso a vendicare la sua famiglia riconquistando il Vietnam e il suo opposto Man, mandante e poi aguzzino del protagonista rimasto in patria a capo di un campo di rieducazione per ribelli.
Parallelamente alla polverizzazione della figura del capitano, sull’altro fronte Park compie un’ulteriore e altrettanto interessante manovra. Un marchingegno che ha la faccia programmaticamente istrionica e in over-acting di Robert Downey Jr., chiamato a interpretare ben quattro ruoli distinti. Il recente premio Oscar è infatti Claude, la spia della CIA a capo del capitano; il professor Robert Hammer, mentore e docente di orientalismo; Ned Godwin, un candidato al congresso che cerca di ingraziarsi gli immigrati vietnamiti; e Niko Damianos, un regista cinematografico impegnato in una produzione sulla guerra del Vietnam. I quattro personaggi non sono stati affidati a un unico volto, certo decisamente di grido, senza una ragione ben precisa e che giustifichi il sotterfugio. A ben vedere, compongono infatti un mosaico. Sono il puzzle della propaganda americana e dei suoi modus operandi: spionaggio, politica, istruzione e arte.
Una grande visione internazionale
Come anticipato, uno dei grandi meriti e scopi de “Il simpatizzante” è fornire una visione della guerra in Vietnam e delle problematiche scaturite da essa differente da quella canonica (perlomeno in Occidente) e che fosse quanto più possibile super partes. Il testo di partenza aiuta certamente, così come l’interpretazione congiunta operata dai due creatori provenienti rispettivamente dalla Corea del Sud e dal Canada, Park Chan-wook e Don McKellar. Il cast multietnico, la produzione ampiamente internazionale, che vede coinvolto tra gli altri anche il regista brasiliano Fernando Meirelles, contribuiscono quindi alla creazione di questa visione, rendendola internazionale anche nelle forze messe in campo. Se i codici di genere più utilizzati dalla serie sono la più cinica commedia nera e, va da sé, la spy-story, all’occorrenza ne vengono tirati in ballo degli altri. Già nella prima puntata, ad esempio, si rimane travolti da una delle scene d’azione più riuscite e tese tra quelle viste sul piccolo schermo (e anche sul grande) negli ultimi anni. La fuga degli immigrati del Sud che cercano di raggiungere l’aereo in corsa per sfuggire alle bombe durante l’assedio di Saigon è angosciante e mozzafiato. Park Chan-wook non risparmia nulla allo spettatore, né in termini di effetti speciali né in fatto di orrore bellico, al punto che si arriva ai titoli di coda del primo episodio realmente scossi.
Le parti che vedono torreggiare i personaggi di Robert Downey Jr. e il generale Trong aggiungono alla commedia nera un tocco persino di demenzialità; mentre tutti i retroscena amorosi del capitano sono imbevuti di succhi melò. Alla varietà di toni fa da contraltare una coesione stilistica da grandi occasioni, con Park (regista dei primi 3 episodi) impegnato a costruire scenari retromaniaci secondo i dettami della New Hollywood. Ora mediante l’utilizzo di costumi e scenografie impeccabili e magnetici, sia in Vietnam che in America, ora con un montaggio giocoso che fa sfumare una scena nell’altra con agilità e fantasia – l’oblò dell’aereo che diventa la ruota di una macchina in corsa e così via.
Un discorso a parte lo merita l’episodio numero quattro, diretto da Fernando Meirelles. Si tratta di una riuscitissima frazione metacinematografica, nella quale la serie riflette sul ruolo giocato dall’arte nella propaganda e, allo stesso tempo, sulla sua stessa missione. Qui il capitano viene chiamato a fare da consulente a una produzione cinematografica sulla guerra in Vietnam, che vorrebbe essere imparziale e fornire dunque al pubblico americano la versione vietnamita della storia – cosa che inevitabilmente non accade a causa dell’inevitabile presenza di un personaggio assolutorio. Allo stesso tempo, durante l’episodio le vicende del capitano assumono i toni più drammatici dell’intera narrazione, così come le linee comiche raggiungono vette di cinismo e oscurità. Durante la realizzazione del film a opera di Niko Damianos, una sorta di versione grottesca di Francis Ford Coppola, il protagonista rivive infatti i suoi traumi più grandi. Quando l’attore fanatico del metodo Stanislavskij Ryan Glenn (un David Duchovny in gran spolvero) in un eccesso di immedesimazione nella parte quasi arriva a violentare la giovane aspirante attrice Lana, la memoria della spia ricostruisce quanto accaduto alla povera mamma e questi si lancia in un’improbabile opera di salvataggio.
A causa della regia meno abile di Marc Munden, gli ultimi tre episodi della serie soffrono un calo del ritmo e della ricercatezza delle soluzioni. In quello conclusivo, in particolar modo, il regista non riesce a conferire la giusta potenza allo scontro finale tra il capitano e il suo aguzzino. Si tratta di un piccolo neo, che però non inficia la riuscita complessiva di una delle serie più importanti dell’anno. L’ennesimo capitolo della storia gloriosa di HBO (qui coadiuvata da A24), grazie al quale l’emittente statunitense si conferma l’eccellenza tra le eccellenze nello scandagliare attraverso lo strumento seriale i momenti storici, dell’America, e oltre l’America, più controversi.
titolo:
Il simpatizzante
titolo originale:
The Sympathizer
canale originale:
HBO
canale italiano:
Sky
creatore:
Park Chan-wook, Don McKellar
produttori esecutivi:
Park Chan-wook, Don McKellar, Robert Downey Jr., Susan Downey, Amanda Burrell, Niv Fichman, Kim Ly, Ron Schmidt, Viet Thanh Nguyen, Jisun Beck, John Sloss, Ravi Nandan, Hallie Sekoff
cast:
Hoa Xuande, Robert Downey Jr., Toan Lee, Fred Nguyen Khan, Vy Le, Sandra Oh
anni:
2024