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La storia della leggendaria squadra azzurra di Coppa Davis che tra il 1976 e il 1980 partecipò a ben quattro finali, vicendo la più controversa: quella nel Cile di Pinochet. Un racconto serrato, ironico e appassionante, condito da curiosità, retroscena e testimonianze dell'epoca

Quando i personaggi di un documentario si trasformano in attori e la realtà in un film, si può concludere senza dubbio che l’opera sia pienamente riuscita. È il caso di “Una squadra”, formidabile docu-serie del noto produttore Domenico Procacci, qui all'esordio alla regia, che racconta le gesta dei quattro moschettieri azzurri della Coppa Davis di tennis, che dal 1976 al 1980 divennero la squadra da battere. Merito di un cocktail irripetibile di genio e sregolatezza (Adriano Panatta), classe e solidità (Paolo Bertolucci), tenacia e resistenza (Corrado Barazzutti), umiltà e fame di vittorie (Tonino Zugarelli). Un quartetto delle meraviglie trascinato allo storico successo in Cile nel 1976 da un’altra star ad alto tasso di egocentrismo: Nicola Pietrangeli, ex-campione e capitano non giocatore, in seguito “ripudiato” dal team e per questo ancora animato da animosità e spirito di rivalsa verso i suoi ex-pupilli. Proprio il dialogo a distanza tra Pietrangeli e i suoi “ragazzi” - condito da frecciatine e accuse incrociate ma anche residui di un affetto che, pur sopito, non può non riaffiorare – è uno dei leit-motiv di questo appassionante film corale, che attraverso la storia di una squadra dice molto di quella del paese e di un complesso periodo storico, come la seconda metà dei 70: gli anni di piombo, del terrorismo e delle stragi, della dura lotta tra Partito comunista e Democrazia cristiana. Anni in cui le vicende sportive finivano spesso con l’intrecciarsi con quelle della politica.

Assistito nella scrittura da autori come Sandro Veronesi, Lucio Biancatelli e Giogiò Franchini - e supportato da una nostalgica colonna sonora rigorosamente seventies - Procacci costruisce un racconto avvincente, ironico e toccante al contempo, che nell’arco delle sei puntate mescola sport e politica, costume e tv, vicende personali, sociali e di costume. Una narrazione serrata - grazie anche al sapiente montaggio, ricco di colpi di scena - in cui si intrecciano ai materiali d’archivio, dentro e fuori dal campo, le parole e le imprese, le liti e le riconciliazioni, le complicità e le personalità diverse ma complementari dei quattro protagonisti che Aldo Grasso ha così efficacemente suddiviso: “Panatta e Bertolucci sono creature di Dino Risi, Barazzutti e Zugarelli di Elio Petri”.
È principalmente per merito della loro capacità di affabulazione che questa commedia all’italiana degli anni 70 prende quota, liberandosi di quella zavorra di ipocrisia e frasi fatte che solitamente ammorba le testimonianze sportive. Grazie al tempo trascorso e alla lontananza da quella realtà, i quattro riescono a raccontarsi senza remore, svelando i segreti, i retroscena e le divisioni di una Nazionale scanzonata e indisciplinata, ma capace di raggiungere la finale di Coppa Davis quattro volte in cinque anni. Solo una volta, però, finì bene: proprio nell’occasione più controversa, quella all'Estadio Nacional de Cile di Santiago dal 17 al 19 dicembre, quando mezza Italia chiedeva - persino con le canzoni, come nel caso di Domenico Modugno - di boicottare l’evento per protesta contro la dittatura di Pinochet. Poi, come spesso accade, saranno le contraddizioni insiste a sinistra – più ancora della determinazione del coach Pietrangeli - a spianare la strada alla trasferta. Dopo mesi di proteste e manifestazioni, il Partito comunista riceverà infatti dai compagni cileni una sorprendente quanto chiarissima indicazione: meglio andare, per evitare che il General trasformi la conquista della Coppa in un trionfo del suo regime. Enrico Berlinguer incaricherà tal Ignazio Pirastu, responsabile sport del Pci, di recare il messaggio a Pietrangeli. E l’Italia partirà per Santiago sotto scorta, facendo un sol boccone del Cile di Fillol e di Cornejo: 3-0 in due giornate, con tanto di storiche magliette rosse indossate da Panatta e Bertolucci nel doppio e la Coppa alzata in faccia agli scherani di Pinochet.
Le altre finali saranno meno fortunate: nel ’77 contro l’Australia di Roche e Alexander (la sconfitta che costò l’esonero a Pietrangeli), nel ’79 contro gli Usa di McEnroe-Gerulaitis, con Vittorio Crotta al posto del nuovo capitano Bitti Bergamo, morto pochi giorni prima in un incidente d’auto, e nell’80 contro la Cecoslovacchia di un giovane Ivan Lendl (la partita più sporca di tutte, in un clima da guerra fredda, con un arbitraggio alla Byron Moreno).

Nei sei episodi, i quattro ex campioni, tutti con infanzie diverse alle spalle, ripercorrono l’inizio della loro passione per il tennis; parlano degli anni di formazione nel centro di Formia, sotto la guida del severo e paterno Mario Belardinelli, tra racchette di legno, allenamenti intensivi e diete ferree; descrivono i loro differenti, se non opposti, stili di vita; si soffermano sulle polemiche che hanno preceduto la finale del ’76 e sulla famosa questione delle magliette rosse sfoggiate provocatoriamente su idea di Panatta (“mi fece una testa così - rievoca Bertolucci - per farlo star zitto sarei sceso campo anche in mutande”), fornendo resoconti a volte discordanti e forse anche per questo più divertenti.
Ideale psicoterapeuta dietro le quinte, Procacci mette sul lettino i quattro campioni, scavando nella loro psicologia e nei rapporti mai facili tra di loro, spingendoli ad ammissioni (“Diciamolo, potevo battere chiunque, ma ero insopportabile” - Panatta) e giustificazioni, come quelle di Zugarelli che riconosce la sua irascibilità dell'epoca e Barazzutti che si schermisce affermando: “Non è necessario essere visibili a tutti i costi…”. A far da baricentro è spesso il saggio Bertolucci: “Eravamo una squadra di fenomeni e io e Adriano sempre insieme, facevamo una vita da marito e moglie”.
Attori non protagonisti, alcuni impareggiabili conduttori e cronisti dell’epoca immortalati in bianco e nero, come Pippo Baudo, Mike Bongiorno, Guido Oddo, Giampiero Galeazzi e Gianni Minà, quest’ultimo catturato nel tentativo di strappare qualche parola a bordo campo a un Panatta in difficoltà (“Era Gianni, se fosse stato un altro, je avrei dato ’na racchettata”, il ricordo ironico di Adriano).
Il mattatore, in campo come davanti alle telecamere, è proprio lui, Adriano Panatta, l'inveterato playboy e leader della squadra, con il suo repertorio di battute, smorfie, ammiccamenti e sbruffonate, supportato dalla sua storica spalla – nel tennis e nella vita – Paolo Bertolucci. Più defilati, ma comunque incisivi, il timido Corrado Barazzutti e il gregario di lusso Tonino Zugarelli, mentre l’aristocratico dandy Nicola Pietrangeli aleggia come un’ombra sulle teste dei quattro, confutando spesso in modo plateale le loro ricostruzioni. Alcune di queste - è bene sottolinearlo – sconfinano nella mitologia. Ne citiamo almeno cinque che non potranno non strapparvi una risata durante la visione:
- la folle triangolazione in aereo Buenos Aires-Rio de Janeiro-Parigi di Panatta e Bertolucci, in cerca di donne e del sole di Copacabana (mentre a Barazzutti bastò un semplice volo in economy per tornare a casa a Roma);
- la scomparsa dall'armadietto delle scarpe di Panatta (portate via per sbaglio da Bertolucci) il giorno della finale al Roland Garros di Parigi, con telefonata all’amico negoziante Manlio Bartoni che gliene fece imbarcare da Roma un paio nuovo nel primo volo da Fiumicino;
- la rissa a cuscinate in Spagna dopo una poco edificante prestazione di Panatta contro il giovane Soler, con Bertolucci intento a consolare le mogli in tribuna, mentre il solitamente taciturno Zugarelli prendeva a male parole quello che non sapeva essere il console italiano;
- la liaison tra Panatta e Loredana Bertè, con quest’ultima a teatro in minigonna mozzafiato e un commento colorito dal loggione: “A Adria’, ora ho capito perché perdi sempre”;
- l'insistenza di Panatta a battere sul dritto di Chris Lloyd (il suo colpo migliore) “per fargli passare il vizio”, costata una sconfitta in doppio con la Gran Bretagna.

Ma molte altre potrete gustarvele durante la visione della serie, che dopo l’anteprima nelle sale cinematografiche dal 2 al 5 maggio, è disponibile su Sky Documentaries in un formato esteso composto da 6 episodi, ognuno della durata di circa 50 minuti. Uno dei documentari sportivi più riusciti degli ultimi anni, che spinge a pensare come alcuni dei protagonisti avrebbero potuto tranquillamente frequentare i set cinematografici con la stessa disinvoltura con cui se la cavavano in campo.

I titoli degli episodi:

Ep. 1 – La battaglia di Nicola
Ep. 2 – La gente è buona
Ep. 3 – Il cambio della guardia
Ep. 4 – Non sentiamo più per te
Ep. 5 – Pugni chiusi
Ep. 6 – Santiago

Una squadra
Informazioni

titolo:
Una squadra

titolo originale:
Una squadra

canale originale:
Sky

canale italiano:
Sky

creatore:
Domenico Procacci

produttori esecutivi:
Fandango in collaborazione con Sky Italia

cast:

Adriano Panatta, Paolo Bertolucci, Cooardo Barazzutti, Tonino Zugarelli, Nicola Pietrangeli

anni:
2022