Può un teen serial essere ancora rivoluzionario nel 2019? Netflix ci dice di sì. Breve disamina sui meriti, i limiti e le enormi potenzialità di una delle poche opere davvero degne di nota della tv in streaming
Forse è vero, Netflix produce in funzione di indagini di mercato, finanzia dei grandi cineasti che si allontanano dal cinema con i soldi sicuri di prodotti serializzati messi in cantiere con un rischio di fallimento molto basso. Probabilmente è così: il colosso dello streaming, dovendo prendersi cura dei suoi abbonati, a un certo punto arriva a profilare un identikit medio e tramite questa operazione sa che cosa lo spettatore ideale si aspetta. Così facendo, la soglia della temerarietà nello scommettere su qualcosa di nuovo si abbassa costantemente e le serie e i film iniziano a somigliarsi in modo preoccupante. Diventa uno scambio commerciale a tutti gli effetti, in cui entra in gioco anche un ulteriore elemento, ovvero la tipologia di fruizione. Una volta sconfitto il tabù della sala cinematografica, si può osare ancora di più e portare il pubblico a guardare Netflix non necessariamente su tv ad alta tecnologia dell'ultima generazione. Vanno bene i pc, poi i tablet, infine gli smartphone. Più è lungo il raggio con cui si raggiunge una platea diversificata, più le possibilità di conquistare nuovi abbonati si moltiplicano. Certo, allora, bisogna pensare a qualcosa che, appunto, possa essere seguito con una concentrazione differente, con un ambiente attorno meno blindato. Ed ecco che, infine, l'intrattenimento stesso corre il rischio di venire svuotato di significati, proprio perché l'unica vera regola che conta è l'incontro con alcuni parametri dettati da chi guarda: il tempo a disposizione, la scomodità del luogo di visione, l'impossibilità nell'isolarsi e perdersi completamente dentro un'opera visiva.
Così nascono due terzi dei titoli Netflix, portando la serialità a un nuovo salto di specie. Se nei primi anni Duemila le grandi epopee televisive avevano cominciato ad approcciarsi alla suddivisione in episodi con un'adesione e un trasporto totali, arrivando a concepire delle serie come veri e propri lungometraggi spalmati su più puntate (con il punto di non ritorno probabilmente raggiunto da "Breaking Bad" e la sua propensione a estremizzare la presenza di un'unica via narrativa verticale priva di distrazioni o episodi-evasione), adesso la nuova sfida è portare la serie a incontrarsi con le esigenze liquide di cui si faceva menzione prima. Da una parte un passo indietro, forse, nello sforzo di creazione e di scrittura di un corpo unico, ma dall'altra un esperimento stimolante di adeguare delle istanze espressive comunque presenti ai nuovi modi di seguire un racconto a puntate. Spesso, in questi ultimi anni, il lavoro di cui sopra ha portato a risultati miseri, sia per quanto riguarda le pellicole strappate al cinema, sia per quanto riguarda le serie prodotte in sostituzione dei grandi network storici. A volte però, di tanto in tanto, emerge qualcosa che brilla di luce propria e che contribuisce a scrivere dei nuovi capitoli di quella lunga (e tormentata) storia d'amore fra la televisione e la fiction.
Tornare a riflettere sul linguaggio
La premessa era d'obbligo per contestualizzare il significato di "Sex Education" nella galassia Netflix. Ideata dalla sceneggiatrice britannica Laurie Nunn (una vera nerd che ha passato l'adolescenza e il periodo degli studi universitari a documentarsi sulla storia della tv e sull'evoluzione del mondo serial), è un'opera che, volontariamente o no, si trova a riscrivere alcune regole e a mettere in discussione alcuni capisaldi della strategia commerciale di una piattaforma di streaming. E non si limita a questo, perché "Sex Education" (e qui arriviamo al punto di maggior interesse, a nostro giudizio) è anche il miglior teen serial da un paio di decenni a questa parte e si confronta in modo diretto e assolutamente impavido con un passato ricco di riferimenti e di citazioni, scegliendo consapevolmente di andarsi a inserire in un filone ormai storico, accettando in questo l'eventualità di raffronti e riflessioni proprio alla luce degli illustri predecessori.
Su queste pagine virtuali ci eravamo occupati a suo tempo di "Dawson's Creek", la creatura della Warner partorita dal genio di Kevin Williamson; l'obiettivo di quella disamina era stato provare a dimostrare come una soap per adolescenti potesse comunque celare, dietro la patina sfumata e l'ambientazione bucolica, un obiettivo alto, ovvero quello di riflettere sulla potenza del linguaggio e sulle sue possibilità di adattamento ai tempi del piccolo schermo e agli usi e ai costumi della contemporaneità. "Sex Education" compie esattamente lo stesso percorso, utilizzando con caparbietà e ispirazione la congerie di elementi della cultura pop che ne riempiono la narrazione con intenti ulteriori.
Il lavoro di Nunn (e del sodale Ben Taylor, regista di quasi tutti gli episodi, altro fattore da non sottovalutare in termini di continuità e omogeneità dell'opera nel suo complesso) ragiona sulla potenza della parola come pochi altri serial hanno fatto nel nuovo millennio. Il sesso, dunque, è ovunque: nei dialoghi, nei pensieri, nelle azioni, nei progetti, nei turbamenti del gruppo di giovani protagonisti. Ma anche qui, com'era stato ai tempi di Dawson & C., tutto diventa una gigantesca esca, un trucco a metà fra la provocazione e l'ammiccamento al proibito. Dietro l'apparente oltraggio di una serie teen che parli quasi esclusivamente di sesso, c'è un lavoro che scava in profondità, che mantiene il controllo della sceneggiatura come in pochi casi accade.
"Sex Education" si prende il lusso di frastagliare la propria narrazione in tanti rivoli, con i personaggi di contorno, tutti legati al protagonista Otis (interpretato da Asa Butterfield), che, con il passare dei minuti e poi degli episodi, assumono un valore da protagonisti di una propria sottotrama. E così il liceo di Moordale e tutto l'apparato umano che gli sta attorno si trasformano in un micro-universo di temi e dubbi, contrasti e ragionamenti, dibattiti e scontri sul grande mistero della crescita e del passaggio all'età adulta. Altro elemento di merito nel mettere in scena tutto ciò è il tono prescelto dagli autori, i quali non rinunciano all'approccio da commedia, dimostrando tutta la loro preparazione in merito. Nel corso delle tre stagioni prodotte finora, infatti, c'è uno spazio per il versante demenziale, per quello da black comedy, per il gusto del grottesco e, immancabilmente, per la rom-com.
Colpisce altresì come "Sex Education", per quanto contenga nella lingua parlata in quel suo inglese straordinariamente britannico lo slang ultra-volgare in grado di immergere nel più attuale realismo la vicenda, guardi con deferenza e rispetto al passato e si diverta a insertare nel racconto elementi, visivi e narrativi, capaci di riportare alla memoria un immaginario popolare ormai desueto (soprattutto per uno spettatore-tipo di Netflix). Dall'ambientazione della verde campagna inglese all'uso di costumi di scena che potrebbero definirsi d'epoca nella loro totale sconnessione dalla tendenza degli ultimi anni, fino alla stratosferica colonna sonora che spazia dalle hit degli anni 70 (possibilmente se cover di successi anni 60) alla coda della new wave degli anni 80, tutto in "Sex Education" è ricerca di un cortocircuito mediatico fra linguaggio futuro e mondo circostante del passato. Lo leggiamo come un volontario e coraggioso omaggio a un modo di pensare tv, e in particolare teen serial, che rimane immortale e resiste all'urto dei decenni.
Realismo dissimulato
"Sex Education" è a tutti gli effetti un teen serial ma, al pari di "Dawson's Creek", compie un coraggioso lavoro di sconfinamento verso le ulteriori possibilità date dal formato serializzato per il piccolo schermo (espressione, quest'ultima, chiaramente da rivedere alla luce dei cambiamenti nella fruizione di una serie da parte del pubblico). Se Williamson si era lanciato in quell'audace missione di mischiare elementi da soap opera ai temi più tabù della provincia americana, qui Nunn tenta un'altra strada che, però, mantiene in comune con il predecessore la sperimentazione sulla scrittura e sul linguaggio. I ragazzi di "Sex Education", al pari di Dawson, Joey, Jen, Pacey e Jack, sono cartoni animati in carne e ossa. I loro problemi sono reali, le loro giornate sono credibili, il loro mondo appare autentico, ma è il modo in cui tutto ciò viene prima scritto e poi messo in scena che è palesemente artefatto, arricchito da un divertimento tutto postmoderno di giocare con le parole, riflettendo al tempo stesso sul potere inesplorato dato dal loro utilizzo fuori schema. Ecco perché, come si diceva, il sesso del titolo è un'esca, un elemento che, nel più astuto dei paradossi, si trasforma da fattore di scandalo a dettaglio popolare.
La potenza narrativa della serie è in tutto ciò che il sesso ci nasconde a un primo sguardo; è nello spunto di creare la "clinica del sesso" gestita da Otis e Maeve, volàno di decine di peripezie originali all'interno della scuola. I due si avvicinano proprio grazie a questa iniziativa: siccome sono intelligenti, colti oltre la media e abili nell'uso del linguaggio (di nuovo...) iniziano a farsi pagare per dispensare consigli sulla vita sessuale dei loro compagni. Qui gli sceneggiatori biforcano la linea narrativa in due macro-sentieri. Da una parte, la visione d'insieme di Moordale, la più geniale, in cui assistiamo a un quadro collettivo di rara precisione creativa. Dall'altra parte, il più convenzionale lento innamoramento che funge da arma di ricatto per legare lo spettatore alla visione degli episodi successivi. Assolutamente rispettosa dei canoni di ciò che può essere mostrato da un network (qualsiasi forma di censura o divieto a minori sarebbe superfluo), la portata innovativa di questa serie è proprio nel suo essere pienamente dentro gli standard richiesti. C'è uniformità nella durata degli episodi, nella struttura degli stessi, nella costruzione dell'architettura complessiva del narrato. E all'interno di queste convenzioni assolutamente rispettate, emerge il tentativo di rimodulare i fattori, come sempre va fatto quando un'opera vuole davvero modificare lo status quo.
Qui va poi aggiunto un ragionamento sulla produzione della serie. Dopo gli anni del boom (tra la fine degli anni 90 e il primo decennio dei Duemila) gli autori di serie tv hanno tentato di sovvertire i rapporti di forza con i network produttori, in molti casi riuscendo nell'intento. Basti pensare al caso di Vince Gilligan che si impose con l'Amc per farsi finanziare "Breaking Bad" dopo aver presentato un pacchetto completo che già prevedeva un inizio, uno svolgimento e un determinato finale. Negli ultimi anni, invece, con l'affermarsi della diffusione in blocco sulle piattaforme digitali degli episodi, i colossi come Netflix hanno parzialmente ripreso il controllo delle trattative, inducendo i creatori di un'opera ad adattarsi alle esigenze di messa in onda (o, per meglio dire, di diffusione online). "Sex Education", inevitabilmente, risente di tutto questo: con tre stagioni al momento realizzate e già viste, la quarta ha avuto una lunga gestazione ed è al momento in fase di produzione. Alla base di questa scelta non c'è stata alcuna motivazione artistica ma, banalmente, l'elaborazione di un rapporto costi-benefici sulla sua messa in cantiere. Chiaro che questo è il modo in cui un serial, gradualmente, va a morire e perde la sua stessa ragione di esistere. Finora, andando a scandagliare le tre stagioni viste, "Sex Education" ha avuto un andamento altalenante.
Una struttura che combatte contro l'incertezza
La prima stagione è straordinaria; veniamo infatti scaraventati dentro questo mondo parallelo che, se da una parte ci proietta in una realtà alternativa dove un gruppo di adolescenti viene ripreso nel pieno di dialoghi mai sentiti prima in un prodotto tv, dall'altra la cornice è quanto di più nostalgico e citazionista possa esserci. Il mix di queste due sensazioni in contraddizione porta alla visione di qualcosa di assolutamente nuovo. Se di aspetto negativo si deve parlare, esso consiste nell'aver concentrato nei primi otto episodi tutto il meglio che la vena creativa degli autori avesse in serbo. Fin dai primi minuti c'è un compiacimento divertito nell'ostentare la superiorità linguistica di chi scrive e, di conseguenza, di chi interpreta. C'è fin dal principio un voler mettere in chiaro le cose: i personaggi di "Sex Education" parlano come nessuno aveva mai fatto in una serie, non usano espressioni gergali, non approfittano di sinonimi edulcorati o dialogano a tempo di battuta scenica. Il ritmo impresso agli scambi e il lessico utilizzato è fuori da ogni forzatura televisiva. Eppure, come ai tempi della penna ispirata di Williamson, anche stavolta lo spettatore medio è volutamente spiazzato e lasciato interdetto; vero, Otis, Maeve, Eric, Adam, Jackson, Lily, Ola e tutti gli altri guardano alla contemporaneità come riferimento per la costruzione dei personaggi, in modo tale da spingere e favorire un meccanismo di identificazione. Ma, come nelle azioni, anche nelle parole il sesso è solo un'illusione.
In realtà la finzione prende il sopravvento, i tempi comici (o drammatici, quando è il caso) sono prettamente cinematografici e la volontà di realismo si ferma alle intenzioni o, se preferite, al calcolo di marketing. A conti fatti, invece, "Sex Education", con il suo miscuglio di risate e lacrime, scurrilità e poesia, riferimenti pop e strizzatine d'occhio alla grande letteratura inglese, è una lode alla potenza scenica, alle possibilità della finzione, alla capacità insospettabile di un ottimo script di trasformare un gruppo di diciassettenni in una carrellata di tipi da commedia umana universale. I triangoli amorosi, il sesso gay, l'immaturità degli adulti, le difficoltà relazionali, l'incertezza sulle carriere accademiche sono tutti elementi che costituiscono i pilastri di una serie per adolescenti canonica. Come sempre, com'era per "Dawson's Creek" (o, in parte, per "Una mamma per amica"), è la miscela nell'insieme che cambia il risultato. Con la prima stagione di "Sex Education" tutti questi stereotipi inscalfibili vengono aggiornati di colpo con un salto avanti di almeno dieci anni dalle strutture narrative tipiche cui eravamo stati abituati in tutti i successivi aggiornamenti da teen serial succedutisi negli ultimi vent'anni.
La seconda e la terza stagione sono chiaramente più ordinarie, anche se per motivi differenti. La seconda sconta l'inesperienza degli sceneggiatori di fronte all'inevitabile introduzione di nuovi personaggi fissi nel cast principale. L'interazione diventa più macchinosa, si comincia per la prima volta a intravedere delle vicende secondarie avvertite come riempitivi, si perde un filo del racconto centrale appassionante. Nel concreto si passa all'interruzione del rapporto complesso tra i due fondatori della "clinica del sesso" e questo porta il serial a orientarsi verso più convenzionali sentieri da incastri sentimentali.
La terza stagione, invece, probabilmente incoraggiata dalle notizie che arrivavano da Netflix di una prosecuzione oltre il terzo anno della storia, torna a ricalibrarsi più verso le origini, cercando di recuperare quell'irriverenza degli esordi e dovendola per forza di cose coordinare con un'evoluzione delle vicende che sta portando il gruppo verso la fine del liceo. Qui addirittura c'è l'escamotage tipico dei comic movie: l'ingresso a sorpresa del villain, rappresentato dalla figura, messa in scena in modo un po' maldestro, in verità, della nuova preside. Hope, volendone osservare una presunta simbologia in contrasto con il gruppo dei protagonisti, è l'elemento frenante al progresso dell'ambiente scolastico, l'istinto di restaurazione dell'istituzione di fronte all'anarchia autoimposta dagli studenti. E, cercando una sorta di parallelismo fra quanto avviene in scena e quanto avviene nel percorso evolutivo dell'opera, potrebbe costituire una sorta di agente perturbatore della serie stessa, costretta a confrontarsi con ostacoli che vorrebbero renderla più ordinaria, normalizzandone lo stile e il tono.
Ciò che sappiamo allo stato dell'arte è che una quarta stagione ci sarà e sarà collocata al primo anno di college per i giovani protagonisti. Sarà un esame del fuoco per gli autori, laddove la maggior parte dei loro predecessori è caduta rovinosamente al momento di immaginare un cambio di ambientazione. Sarà anche una sfida il confronto con la separazione dei percorsi formativi, un test per l'abilità nel controllo della materia narrativa e nella capacità di tradurre più situazioni in un corpo unico che non perda in ritmo e mordente.
Per adesso non resta che dire questo: "Sex Education" non è solo una delle cose migliori prodotte da Netflix, ma è anche (e soprattutto) il teen serial più importante e più bello degli ultimi vent'anni. Il metro di giudizio attraverso cui giungiamo a questa conclusione è soltanto uno, la capacità di innovare il medesimo filone dentro cui si va a inserire. Fermi a ripetere ciclicamente canovacci abusati e conosciuti a memoria, gli autori delle serie di adolescenti si troveranno d'ora in avanti a fare i conti, dopo tanto tempo, con un aggiornamento complessivo che rimette tutto, nuovamente, in discussione. Anche all'interno di codici mainstream e rassicuranti, la televisione del futuro ha ancora qualcosa di originale da farci vedere.
P.S. Per gli amanti delle citazioni, in "Sex Education" si sprecano le simpatiche prese in giro/amorevoli omaggi a film o serial del passato. Si va da una ricopiatura dei titoli di testa de "Il grande Lebowski", con tanto di Bob Dylan in colonna sonora a fare da collante ideale, a un Otis che corre e viene abbattuto sul prato del liceo alla maniera del soldato di "1917" del virtuoso Sam Mendes. Citazioni a piene mani da teen movie come "Mean Girls", di cui si fa addirittura un calco dettaglio su dettaglio in una determinata sequenza, oppure rimandi generosi come una puntata che occhieggia verso il modello di "Breakfast Club", fino al riutilizzo di celeberrime note musicali già vissute in altri contesti, come la voce di Mama Cass, rilanciata anni fa da "Lost" e che ritorna nella seconda stagione in una delle scene più emozionanti dell'intero show.
I voti
Stagione 1: 8,5
Stagione 2: 6
Stagione 3: 7
titolo:
Sex Education
titolo originale:
Sex Education
canale originale:
Netflix
canale italiano:
Netflix
creatore:
Laurie Nunn
produttori esecutivi:
Jamie Campbell, Joel Wilson
cast:
Asa Butterfield, Emma Mackey, Gillian Anderson, Ncuti Gatwa, Connor Swindells
anni:
2019-in corso