La miniserie è un solido remake del capolavoro di Ingmar Bergman che, pur seguendo con fedeltà la traccia originaria, opera un interessante ribaltamento di ruoli, il quale non tradisce le intenzioni dell'opera del Maestro svedese ma ne rinfocola l'intransigente modernità
Amo e non amo,
sono pazzo e non sono pazzo.
Anacreonte
L’originale di Bergman
Il Maestro svedese girò questa miniserie, inizialmente concepita per il teatro, nell’estate del 1972, nello stesso anno del capolavoro "Sussurri e grida". L'intuizione del regista fu quella di raccontare non solo il campo di battaglia di due coniugi in crisi, ma anche la roccaforte dove rintanarsi nei momenti di pathos esistenziale; pure, se di rifugio si trattava, l’unione diventava confortevole e insieme labirintica, nonché asfissiante, proprio quando più sicura. Come riportato nella nostra monografia su Bergman, la finalità dell’opera "… non è, però, quello di dissacrare una istituzione in ossequio a qualche credenza anti-borghese, al contrario, in punta di paradosso, è depurare il matrimonio dalla rimostranza verso un'idealizzazione impossibile." La serie andò in onda nelle televisioni svedesi nel 1973 (leggenda vuole che causò un’impennata di divorzi nel Paese scandinavo) e fu riproposta, in una versione più breve, anche al cinema. Nonostante il budget limitato a disposizione e le tempistiche altrettanto ristrette (o forse proprio grazie a ciò), la robustezza di "Scene da un matrimonio" trova il suo compimento nella scrittura dei dialoghi, resi al meglio dalla coppia Liv Ullmann-Erland Josephson e dallo sparuto gruppo di comprimari: imperniato su molti primi piani che puntellano l’oceano di parole ed espressioni - nell'eloquio forbito tipico in Bergman – "Scene da un matrimonio" è una claustrofobica rappresentazione dell’unione coniugale che ha fatto scuola, perché immediatamente riconosciuta come un classico moderno. Le fasi del rapporto e la sua evoluzione, infatti, prefigurano la fine del matrimonio, ma anche una sorta di benevola sopravvivenza: la convivialità che funziona solo apparentemente, l’intromissione di "corpi estranei", quindi le incomprensioni, la rottura e la separazione; infine, il ritorno alla coppia, trasformata da quanto accaduto, dentro un nuovo e dissonante equilibrio.
Colazione da Bergman. Erland Josephson e Liv Ullman (1973)
Scene da un remake
La versione di Hagai Levi (già coautore di "The Affair") si condensa in una miniserie in cinque puntate, una in meno di Bergman, dalla durata di un’ora circa; prodotta dall’americana HBO, è stata presentata alla Mostra di Venezia e andata in onda per la prima volta in Italia tra settembre e ottobre 2021. L’adattamento non si discosta troppo dall’originale e, dove presenta dei cambiamenti, questi risultano funzionali a preservarne l’intatta modernità. Scritto da Levi insieme alla drammaturga statunitense Amy Herzog, in questo remake l’unione matrimoniale è agitata da una forza ancora più centripeta, che condensa la claustrofobia dell'impianto televisivo ed elegge come unica ambientazione - o quasi - la casa dei due coniugi, vero micro-universo.
Mira Philips (Jessica Chastain, "Interstellar") e Jonathan Levy (Oscar Isaac, "Dune") sono una coppia sui quaranta, di estrazione borghese, con una figlia piccola. Lui è un docente di filosofia, cerebrale e ansioso; lei è una moderna donna d’affari, dal carattere più solido, con una personalità difficile da decifrare. L’incipit della prima puntata, Innocenza e panico, replica con fedeltà quello di Bergman, con la coppia che si presenta allo spettatore per mezzo di un’intervista, condotta a fini di studio da una studentessa ma, al contempo, ci propone un primo ribaltamento: è Mira a guadagnare di più e a viaggiare per lavoro, mentre Jonathan ricopre il ruolo dello caregiver, conducendo una vita sedentaria e occupandosi della casa e della figlia. Dallo specchio dell’intervista si passa al confronto, durante una cena, con un’altra coppia, Kate e Peter, il cui battibecco salace sfocia in un furibondo litigio sotto lo sguardo avvilito degli amici; rintanatesi in camera da letto, le due donne si lanciano in un bacio saffico che sembra un momento a sé stante ma che, invece, rappresenterà per Mira una sorta di epifania, un prodromo di quello che accadrà. Sarà lei, infatti, a partorire il cataclisma all’interno del matrimonio: prima, letteralmente, con la seconda gravidanza, un evento inatteso e destabilizzante, perché porta a nitore la preesistente mancanza di solidità della coppia; l’altro, la decisione di abbandonare Jonathan e la figlia per immolarsi nella relazione extraconiugale, intrapresa con un altro uomo, che si compirà nella puntata successiva, Poli – dal nome del terzo incomodo.
Il tema cardine vivisezionato in "Scene da un matrimonio" è quello della fine dell’amore inteso in maniera passionale, e della sopravvivenza a esso da parte dell’unione coniugale mediante le armi del controllo, della fiducia, della preservazione del legame, dentro una vita familiare empatica ma assopita in un tenero e rassegnato svilimento del sesso. È a ciò che si ribella Mira, la quale non vuole accettare che la passione si spegna, qualcosa invece ormai assodato per Jonathan. Il ribaltamento dei ruoli è compiuto: diversamente che in Bergman, stavolta è la donna ad allontanarsi per tentare di (ri)prendere in mano la sua vita, slegandola dalle necessità di conservazione del nido, di rinuncia al "sacrificio" della monogamia; una scelta, quella degli autori di questa versione moderna di "Scene da un matrimonio", che non sposta nulla in termini di narrazione ed è anche, diremmo, sociologicamente corretta, visto che il tema del ruolo della donna nella nostra società è attuale e imperante.
Un aspetto interessante, perché possibile chiave di lettura, pare il seguente: ogni episodio di "Scene da un matrimonio" contiene un preambolo in cui gli attori vengono ripresi prima di andare in scena – e cioè, lo spettatore vedrà Jessica Chastain e Oscar Isaac entrare sul set, "prendere congedo" da loro stessi e trasformarsi in Mira e Jonathan. Un espediente che ha il risultato di mostrarci anche le modalità attuali di lavoro di una produzione audiovisiva, che fa fronte alle limitazioni e regole imposte dalla pandemia in corso. È un dettaglio solo apparentemente marginale, che invece entra nel campo delle scelte filmiche propriamente dette; nel caso specifico, come accennato, la limitata partecipazione di altri attori, nonché la scelta di utilizzare quasi esclusivamente un solo ambiente per girare la stragrande maggioranza della serie. Il risultato più pregnante, però, è quello di immortalare i protagonisti in ciò che, a volte, una situazione spinge a diventare: personaggi, più che persone, in balìa di una parte da recitare, sostenendo il proprio ruolo, l’importante è che sia (più o meno) credibile. A ben vedere, infatti, esistono tanti Jonathan e Mira "in cerca d’autore". Un esempio tra tutti: quando la donna, che si trova a sostenere una scelta estrema dentro uno studio medico, mostra una certa consapevolezza davanti al marito, non appena Jonathan esce dalla stanza scoppia in un pianto dirompente, appunto, insostenibile. La collisione di questi due elementi, modalità "pandemica" di rappresentazione e trasfigurazione del proprio ruolo, confluisce in una sorta di specchio deformato ma contingente della realtà, dove molti gruppi sociali, famiglie in testa, si sono trovati costretti, loro malgrado, a isolarsi dal mondo circostante e a "far fronte" comune, eleggendo le quattro mura di casa come trincea; in pratica, l’amore esterno, in questa metafora, è dipinto come passionale ma invisibile – Poli è come un virus celato allo spettatore - mentre il matrimonio funziona, invece, come un lockdown dei corpi.
2021: Odissea degli spazi. Jessica Chastain e Oscar Isaac a cena
Per Mira e Jonathan, rinunciare al tetto coniugale significa trovarsi di fronte alla difficoltà – o all’impossibilità – di dire addio a una parte di sé. La dimora della coppia, in questo, funziona non solo come tana e rifugio dal mondo ma anche quanto un campo magnetico che attrae e rende impossibile la fuga, permettendo solo temporanei abbandoni. Lampante è quello che accade nel terzo episodio, Una valle di lacrime, quando Mira torna a casa per la prima volta dopo la separazione. La donna è scissa tra la differente personalità in costruzione, rimarcata materialmente da un’offerta di lavoro molto allettante e la rinnovata attenzione verso il suo corpo - il nuovo taglio di capelli, il vestito elegante, i modi più raffinati, dentro la bellezza abbacinante della Chastain – che invece il matrimonio aveva svilito e soffocato, quasi fosse una colpa. Eppure, se Mira ha provato a essere più donna e amante che moglie e madre, di lei si è rimpossessata la volontà di tornare a quello che era e a ciò che aveva abbandonato, perché il presente e il futuro appaiono troppo vertiginosi per essere lasciati da soli a immaginarli.
La recitazione di Oscar Isaac e Jessica Chastain (già marito e moglie in "1981: Indagine a New York") è l’altra parete solida che regge la struttura di ogni episodio: i due interpreti riescono a oscillare tra i momenti di sfinente autoanalisi e la controparte densa di slanci più fisici, nonché intimi e collaudati; in questo, la rigidità intellettuale dei personaggi creati da Bergman si rinfresca in questo adattamento, che riesce talvolta più immersivo. Non manca, nel quarto episodio Gli analfabeti, il riconoscimento della propria incapacità a destreggiarsi tra cuore e psiche perché, come dall’originale: "Non siamo che analfabeti dal punto di vista sentimentale. Ci hanno insegnato tutto, ma non ci hanno insegnato una sola parola sulla nostra anima". Pure, il densissimo profilmico costituito dalla casa della coppia è forgiato come un doppio, non solo scenografico ma anche memoriale, della loro unione; persino quando decidono che è arrivato il momento di fare l’inventario e richiudere per sempre la porta di casa dietro di loro, dividendo la "roba" per separarsi definitivamente, per Mira e Jonathan è un’occasione per sprigionare una feroce intesa sessuale e, in maniera del tutto speculare, per lasciarsi andare a un violentissimo litigio. Un ritorno all’amore-odio, che è predatorio, con una fondamentale componente: il reciproco tentativo di sottomissione.
Il quinto e ultimo episodio – dal titolo Nel cuore della notte, in una casa buia, in qualche parte del mondo, sempre ripreso da Bergman – è, forse, il più convenzionale del lotto, probabilmente perché rinuncia alla patologia d’interni ma, con un salto temporale che volutamente disorienta, piazza sia Mira che Jonathan, almeno all’inizio, al di fuori delle quattro mura domestiche. La chiusura diventa così una catarsi filmica ed esistenziale: per lei, l’incontro con il vecchio amante Poli, che si palesa così per la prima volta allo spettatore, dove Mira apparirà sollevata dalla "paura di essere libera"; invece, Jonathan farà i conti con i tormenti familiari legati al padre e alla madre, in parte origine del suo malessere. Ma a differenza di Bergman, la casa tornerà implacabilmente a essere il controcampo della loro unione: un tetto dove riparare, nonostante tutto, e ritrovare gli amabili resti del loro matrimonio, dentro un abbraccio sfinito e ancora indulgente.
titolo:
Scene da un matrimonio
titolo originale:
Scenes from a Marriage
canale originale:
HBO
canale italiano:
Sky Atlantic
creatore:
Hagai Levi
produttori esecutivi:
Hagai Levi, Michael Ellenberg, Oscar Isaac, Jessica Chastain, Lars Blomgren, Amy Herzog, M. Blair Breard, Daniel Bergman
cast:
Oscar Isaac, Jessica Chastain, Nicole Beharie, Corey Stoll, Sunita Mani, Shirley Rumierk, Sophia Kopera, Anna Rust, Michael Aloni
anni:
2021