Padre del cinema narrativo. Inventore della moderna tecnica cinematografica. Esteta del cinema muto e fondatore del film hollywoodiano. Ascesa e caduta di David Wark Griffith, l’uomo che voleva tutto e subito
Strano. Davvero strano il mondo, se si pensa che colui che porrà le basi più concrete e considerevoli dell'intera storia del cinema sia stato un tizio che, alle origini, di cinema, importava davvero poco. David Llewelyn Wark Griffith nasce a La Grange (Georgia) il 22 gennaio 1875 da padre reduce di guerra e madre rigorosamente protestante. La sua infanzia è segnata dalla passione del canto, esperienza che presto si rivelerà alquanto traumatica ed insoddisfacente. Come ogni ragazzo, anche David è alla ricerca di una giusta combinazione tra ciò che ama e ciò che sa fare meglio. Trova asilo nel teatro e l'esperienza che ne nasce si può sottintendere positiva. Sembra tutto serenamente segnato nella vita del giovane senonchè qualcosa non va; si accorge che l'irrequietezza e l'insaziabilità prendono forma in lui giorno dopo giorno, consapevole che la sua poliedricità (unita alla sua qualità di sceneggiatore, attore, infine drammaturgo) non offrirà particolari proiezioni d'orizzonte. Troppo poco, insomma, per una persona ambiziosa e dotata qual è David. Un amico gli ricorda che può provare ad intraprendere ancora una nuova strada, quella del cinema. È il periodo dei "teatri di vaudeville", dei primi nickelodeon e "Teddy Bears" impazza tra i saloni del 1907 come le figure della lanterna magica (mezzo con il quale avvenivano le prime proiezioni) e dell'imbonitore (la figura che commentava a tutti gli spettatori le immagini prodotte sullo schermo). E non si può dire che Griffith non sia coinvolto ed affascinato da questa nuova avventura. Decide di buttarsi. Di nuovo.
Vi sono state, di fatto, due grandi correnti di cinema muto: una che vedeva nell'assenza della parola un handicap (fino al 1910), l'altra, che viceversa, sfruttava questa mancanza per elaborare un linguaggio che le fosse proprio, un vero e proprio culto artistico (dal 1910 all'età d'oro degli anni venti, fino all'arrivo del sonoro nel 1929). Griffith entrava a far parte del mondo del cinema tra le difficoltà e le critiche della prima corrente ma riuscì a capire in breve tempo che finalmente aveva trovato la dimora da sempre agognata. I nickelodeon in origine non raccontavano storie ma erano comunque esperienze sensazionali data l'epoca (si definiva "cinema delle attrazioni") come il treno dei fratelli Lumiere, vere e proprie vedute che non avevano bisogno di durata né tantomeno di una narrazione. Bastava l'effetto immediato. Donne, bambini, giovani coppie, scapoli, operai. Tutti rimangono scossi dall'ondata del cinema e ad occuparsi di tutti questi potenziali clienti è una nuova categoria di piccoli imprenditori, i più intraprendenti capaci di allargare i loro domini fino a divenire produttori. Griffith inizia la sua avventura da qui e affronta da subito il suo primo grande problema cinematografico: la MPPC, il mastodontico monopolio contro la censura, atto ad autorizzare la produzione, la distribuzione e la visione dei film negli Stati Uniti, applicando tasse a iosa allo scopo di creare una grande campagna contro chiunque avesse mai tentato di lavorare per proprio conto. Solo un indipendente sopravviverà e riuscirà addirittura a sconfiggerlo. Il suo nome è William Fox della Fox Corporation e aprirà la strada alle opere prime di Griffith alla Biograph. La Biograph Company è quindi la prima casa di produzione cinematografica statunitense a cui lavora Griffith nel ruolo di regista. Dal 1908 al 1913 il rapporto tra i due frutterà la bellezza di quasi 500 cortometraggi che premieranno l'ambizione e la perfezione del giovane direttore artistico. Il periodo della Biograph, inoltre, consacrerà il Nostro come il padre del racconto cinematografico, colui che detterà le regole al cinema moderno, grazie alla sua necessità di integrare lo spettatore nella scena filmica attraverso lo sguardo e le prime elementari tecniche di montaggio ma soprattutto evolvendo dal "cinema delle attrazioni", puramente descrittivo, in un modello istituzionale basato sulla storia, sulla narrazione e capace di trasmettere messaggi (anche sotto forma di didascalie) e conclusioni morali.
Nel 1912, acquisiti i concetti di cinema come narrazione ed arte, nascono i primi lungometraggi (interi o ad episodi) che contribuiscono all'aumento della durata. Griffith deve rispondere all'egemonia europea (in particolare italiana) di Guazzoni ("Quo Vadis", 1912) e soprattutto Pastrone ("Cabiria", 1914) ma è imprigionato dalla Biograph, che a sua volta è imprigionata dallo schema dei cortometraggi, ancora parti integranti della strategia del monopolio cinematografico. È stanco di girare corti e vuole più indipendenza. D'altro canto la Biograph è consapevole che la rivoluzione del lungometraggio è dietro l'angolo e che il regista ha le sue buone ragioni quando si lamenta di non potervi partecipare. Così nasce Judith of Bethulia (1913), primo lungometraggio di Griffith e della Biograph ma anche ultimo lavoro prima della separazione con la casa di produzione cinematografica statunitense. Le sue scene di massa sono le più ambiziose mai viste anche se non possono ancora competere col modello europeo dati i mezzi limitati a sua disposizione. La sua durata di 70 minuti (un'eternità considerati i massimi 15 minuti dei corti) rivela una geografia drammatica finora inesplorata raggiungendo la vetta creativa in fatto d'invenzione stilistica. Il suo successo sarà così duraturo da spingere la Biograph a riprodurre il film nel 1917.
È il 1914 e Griffith si accasa alla Reliance-Majestic, casa di produzione dei fratelli Aitken. La sua è una dichiarazione d'indipendenza e di nuova egemonia; realizza due pellicole fondamentali poiché propedeutiche ai capolavori di Birth of a nation e Intolerance. La prima è Home, sweet home (1914), indispensabile dato che per la prima volta appaiono più episodi nello stesso film: storie multiple per una storia universale (tre racconti, più un prologo e un epilogo) che pone le basi per le prime forme di vita del montaggio alternato e che presenta le prime forme di ambiguità in tema di happy ending, in quanto la storia è incentrata sulla rinuncia della felicità della famiglia nel nome delle proprie ambizioni, soddisfatte ma al prezzo del rimpianto di un paradiso perduto. Nel 1914 esce in distribuzione anche The avenging conscience, film veramente sottovalutato ma decisamente monumentale (a detta di Griffith stesso, il suo miglior film insieme a Broken blossoms e Birth of a nation). È un dramma molto complesso e misterioso, un omaggio del Nostro al darwinismo e al Poe innamorato de "Il cuore rivelatore" e di Annabel Lee. Pregno di simbolismi e di messaggi in codice, il film è tutto ciò che fino ad ora non si era mai visto sullo schermo: incubi, angosce, ossessioni. La natura è lo specchio delle vicende umane e tutto gira intorno al sogno e alle variazioni di personalità. Griffith ha fatto le ossa alla grande e si accinge a creare il suo capolavoro.
Se in Italia "Cabiria" è stato il primo lungometraggio, negli Stati Uniti lo è stato Birth of a nation di Griffith, prodotto nel 1914 ma distribuito solamente un anno dopo. Per di più, tutti gli storici concordano nel ritenerlo una svolta nell'affermarsi dell'arte muta e il primo kolossal americano della durata di più di tre ore. Segnato indelebilmente da accuse di razzismo, è la storia di due famiglie coinvolte nella Guerra di Secessione e dei violenti scontri a sfondo razziale tra neri e bianchi. Nascita di una nazione segna nel bene e nel male la nascita di Hollywood e consegna alla pellicola un'influenza imprescindibile per il cinema moderno, malgrado sia tuttora l'opera controversa per eccellenza della storia del cinema, il film che si odia ma dal quale non si può fare a meno. Tra arte (la nascita di nuove tecniche di montaggio e dei primi piani) e scomodo strumento di propaganda segregazionista, il costosissimo lavoro (oltre centomila dollari) scatenò un prevedibile diverbio critico. Ma a Griffith la polemica va benissimo. Accostandosi al pensiero di Oscar Wilde, al regista non importa che se ne parli bene o male. L'importante è che se ne parli. Non solo razzismo e guerra comunque. Il valore fondamentale dell'opera risiede nella famiglia e nell'armonia intorno al focolare domestico; sono grazie a questi temi che può dichiararsi nato il melodramma, miscela di sentimento, arte e politica. Nonostante una saga di odio, distruzione e morte, l'inquadratura finale rappresenta una visione di riconciliazione tra uomo e natura.
Scegliendo il tema della Guerra di Secessione, Griffith compie una mossa pubblicitaria ampiamente prevedibile ma a colpo sicuro. Gli incassi del suo capolavoro raggiungeranno il record dei settanta milioni di dollari, a fronte dei soli centomila utilizzati per realizzarlo. Un anno dopo l'uscita del film e l'inevitabile polverone delle accuse, la sua rabbia contro la censura si tramuta nella realizzazione di un pamphlet politico dal nome "The rise and fall of free speech in USA" (1916) con il quale teorizza le sue idee; tra le più importanti: "Oggi, in tutto il Paese, la censura rappresenta un grave ostacolo allo sviluppo dell'arte cinematografica. Le forze di questo male gigante sono tali da minacciare la libertà di espressione. L'intolleranza del potere vuole servirsi di questa nuova arte per dare l'assalto alle nostre libertà". Ed ancora: "L'intolleranza ha sopperito il cinema e quindi anche la libertà di stampa (perché il cinema è una forma di stampa per immagini, in forma moderna, divertente ed istruttiva) quando, invece, in quanto strumento della storia, questo dovrebbe essere libero di raccontare la verità, bene o male che sia". Quello di Griffith è un duro attacco allo stile slapstick, ovvero a quello sdolcinato moralismo che termina sempre con l'happy ending, offuscando le verità meno comode agli spettatori. "La diffusione del cinema a livello mondiale offre l'opportunità di introdurre il più popolare e capillare sistema di educazione che il mondo intero abbia mai conosciuto. L'errore fondamentale della censura è la sua pretesa di bloccare in anticipo la produzione dei film, mentre dovrebbe essere l'approvazione o la disapprovazione del pubblico a decidere sul loro destino". Griffith ha un'idea molto chiara: creare un nuovo linguaggio universale attraverso il linguaggio universale del cinema, costruire la nuova Torre di Babele che accosti le più diverse razze e religioni. È probabilmente questo il motivo che ha portato il regista statunitense alla realizzazione del suo secondo capolavoro: Intolerance.
È la fine del 1916. Griffith ha già ultimato le riprese della sua ultima fatica. Intolerance non è un sogno pazientemente coltivato ma una gigantesca improvvisazione su idee covate per anni nell'incubatrice della Biograph e rese concrete dall'associazione di storie multiple. Non vuole fare le cose con calma. Vuole tutto e subito. La pellicola comprende quattro vicende ambientate in luoghi e tempi differenti: la caduta di Babilonia, la vita di Cristo, la strage degli ugonotti nella notte di San Bartolomeo e una storia moderna d'amore e giustizia. L'innovazione sta nel fatto che gli episodi si intersecano tra loro (è la nascita del montaggio parallelo) lasciando da raccordo un inquadratura simbolica (e ricorrente) che vede una donna intenta a dondolare una culla (la madre di tutta l'umanità?). Intolerance segna la nascita del metodo istituzionale basato sulla linearizzazione e sulla narrazione, mettendo a punto tecniche quali il "primo piano" ("inserti", come li chiama lui stesso) e il "dettaglio", grazie all'uso di mascherini. Il ritmo nel finale si fa sempre più concitato fino a deflagrare nell'adrenalinica conclusione (il finale alla Griffith). L'intolleranza attraverso i secoli è un modo per chiudere definitivamente la ferita ancora aperta con Birth of a nation e con il pubblico. Non a caso l'unico finale positivo dei quattro episodi è quello presente (forse anche un messaggio nascosto per evidenziare l'azione salvifica del cinema di oggi); gli altri tre termineranno (come la storia insegna) con la catastrofe. Tutto è grandioso in quest'opera, dalle didascalie con tanto di patente artistica (firmato dalle sue iniziali DG) al pathos della sua scenografia. In Intolerance l'amore è l'unico antidoto per l'intolleranza e l'odio; ma nonostante il messaggio di speranza e redenzione, gli spettatori del 1916 lo riterranno più un film di testa e di interessi che di cuore. In altre parole, produrrà un vago sentimento di distanza emotiva che segnera il flop della pellicola (almeno economicamente) e del pensiero griffithiano. Inutile negare però, come Intolerance sia il padre dei film di oggi.
Nel 1917, l'indipendenza, il vedere le cose in grande, impone al regista di fare ciò che vuole e di testa propria. Per tal motivo ufficializza il divorzio dai fratelli Aitken e firma per Adolph Zukor, produttore della Artcraft Pictures. In cambio, Griffith deve dirigere sei film di guerra che abbiano come fulcro l'amore. Spiccano Hearts of the world (1918) e soprattutto Broken blossoms (1919). Nella prima pellicola, il grande regista offre al pubblico la sua grandiosa visione della storia sulla Grande Guerra in corso, la più sconfinata che l'umanità abbia mai sofferto. La sua persona è ormai sinonimo di arte del montaggio e difatti inventa una nuova tecnica: lo "stacco in continuità" (il rapporto tra due inquadrature identiche consecutive ma da angolazioni e prospettive differenti) oltre ai giochi di luce, che rendono più che suggestive le battaglie notturne. Nonostante ciò, il film non sarà ricordato per le sue scene di guerra quanto per la nascita del cinema-propaganda e dell'ingente campagna pubblicitaria. La Prima Guerra Mondiale, per di più, segna il passaggio monopolistico della produzione cinematografica americana da New York a Los Angeles (Hollywood). Broken blossoms racchiude ciò che nessun altro film di Griffith era mai riuscito ad esprimere: pulsioni sessuali, vendetta, ribellione a moralismi ed a precetti razziali, protezione, guerra, droga... È un intreccio di tematiche diversissime e comuni allo stesso tempo, che ruotano tutte sulla semplice storia di un amore irrealizzabile (tra una donna e un cinese); oltre a risultare il film più desolato e nichilista del genio griffithiano, secondo solamente a Birth of a nation in termini di incassi. Per molti anni a venire Broken blossoms sarà considerato, insieme a "Das Cabinet des Dr. Caligari" ("Il gabinetto del dottor Caligari", 1920) di Wiene, l'essenza del cinema come arte. Griffith, all'apice del successo, insiste altresì sulla poca autonomia a lui concessa e temendo che Zukor lo metta all'angolo della creatività, decreta la fine del rapporto lavorativo con l'Artcraft Picture.
Nel contempo, nasce l'idea di creare un consorzio indipendente dei grandi nomi dello schermo al fine di produrre e distribuire in modo indipendente tutti i film della nascente Hollywood. Il Nostro non può perdersi una simile occasione ed entra così a far parte del quartetto (che vede tra gli altri Chaplin, Fairbanks e la Pickford) che compongono la neo United Artists. È il 1919 e dopo più di dieci anni, Griffith può finalmente ambire alla più profonda libertà lavorativa. Ancora però non si rende conto di aver pagato a caro prezzo la sua sete d'indipendenza. Crea una propria organizzazione, la D.W. Griffith Corporation e realizza una dozzina di pellicole che, per la ridondanza dei temi, lo fanno assumere per la prima volta vagamente obsoleto. Sono storie d'amore, più semplicemente e melodrammi, letture freudiane di impulsi sessuali; pasticci ed idee espresse in malo modo ma pur sempre cariche di forti passioni emotive. Ricordiamo Way down east (Agonia sui ghiacci, 1920), considerato a tutti gli effetti il più grande film dell'era United Artists; la pellicola si distacca dalla forma classica di melodramma (per la prima volta non vi è la figura di un vero e proprio antagonista) nonostante indugi sul dramma narrativo lineare. Ma soprattutto è la famosa sequenza della corsa-salvataggio sul lago ghiacciato a centrare il bersaglio in pieno, conquistando le masse e catapultando nuovamente il regista americano tra i grandi dell'olimpo del cinema. Tale sequenza corrisponde simbolicamente anche all'ingente costo psicologico (oltre che finanziario) delle riprese. Anche la riproposizione de Orphans of the storms (Le due orfanelle, 1921) segna un punto importante per l'accostamento teatrale del regista e per gli ottimi incassi riscossi. Ma è soltanto una breve parentesi: purtroppo, la fuga dai fratelli Aitken e da Zukor e la sua vita lavorativa oramai emancipata ed autonoma lo costringono ad accumulare i primi notevoli deficit monetari. Anche i film ritornano a rasentare la banalità e le modalità arcaiche e superate degli argomenti. Piove sul bagnato per Griffith, che vedrà con i propri occhi, nel giro di pochissimi anni, l'avvicinarsi della fine, e con essa vedrà frantumare in mille pezzi la propria prestigiosa carriera filmica. One exciting night (1922) è imbarazzante nella sua bruttezza ed è caratterizzato da un infelice umorismo a sfondo razziale, mentre America (1924) oltrepassa tutti i record negativi (il più lungo e noioso, il più didattico e il più costoso) e segna il punto di non ritorno. L'egemonia di David Wark Griffith, iniziata nel 1914, si conclude tristemente con questa pellicola del 1924. Poi saranno solamente fallimenti.
Gli onerosi debiti ai danni della United Artists lo portano a vagabondare alla ricerca di prestiti; l'unica soluzione è accordarsi con una nuova casa di produzione, la "Famous Players-Lasky" e ritornare da Zukor in ginocchio. Per uscire da una schiavitù, Griffith deve accettarne un'altra non meno gravosa che lo obbliga di nuovo a dirigere film a getto continuo, abbandonando così la sua libertà creativa. Allo specchio il famoso regista si sente perso ed ignorato dal Paese, così, avvolto dai suoi vizi, decide non molto saggiamente di attaccarsi in modo incalzante alla bottiglia. Nel 1931 si congeda dal cinema e dirige il simbolico The struggle, incentrato sul proibizionismo, sull'alcol e sull'indifferenza della gente (che sia un trattato personale?). La stessa che gli riserva la critica crudele e che lo investe immeritatamente. Il film merita palesemente di più ma paga (forse) le conseguenze del suo passato razzista e patetico. Nel 1936 si separa dall'attrice Linda Arvidsen, con cui si era sposato nel 1906. Si risposa. Si risepara. Beve più di prima e si fa addirittura arrestare per ubriachezza molesta. Passerà la fine dei suoi giorni rinchiuso in una camera, all'oscuro di tutto e tutti, fino alla sua morte per emorragia cerebrale avvenuta ad Hollywood, il 21 Luglio 1948.
Prima del vero cinema muto, che raggiunse il suo apice dal punto di vista artistico nella seconda metà degli anni '20, prima dell'epopea europea dei vari Murnau, Lang e Wiene, di Dreyer e Gance, e ancora prima di Ejzenstejn e Vertov, il primo a sottolineare la forza espressiva dell'immagine e tratteggiare le virtù estetiche dell'inquadratura e del montaggio fu solamente il mito di David Wark Griffith, Il padre del cinema.
La nascita di una nazione (1915)
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