L’animazione indipendente portata avanti da Alessandro Rak e dal suo consolidato gruppo di artisti al terzo lungometraggio ha ormai definito la portata visiva e contenutistica dei propri lavori.
Profondamente radicati a una geografia locale, la città di Napoli, il team di Rak ne traccia i contorni attraverso una sintesi di generi e rappresentazioni: l'esistenzialismo fantasticante di "L'arte della felicità" (2013), le ombre distopico-futurstiche di "Gatta Cenerentola" (2017) e infine le asperità post-apocalittiche e naturali di "Yaya e Lennie - The Walking Liberty".
Sotto l'egida della produzione Mad Entertainment, "Yaya e Lennie" introduce lo spettatore a un mondo ormai collassato, alla ricerca di un nuovo equilibrio, mostrandosi con le forme di una natura rigogliosa da una parte e di una fantascienza robotizzata e diesel-punk dall’altra. Simbologia profondamente in contrasto nella quale si scorge un messaggio ecologista che invita alla libertà, rintracciabile nel sottotitolo del film, e soprattutto alla riappropriazione della democrazia. I protagonisti di questo racconto di formazione, Yaya e Lennie, vivono in simbiosi con la flora e la fauna e fuggono i centri urbani meccanizzati controllati dall'Istituzione.
Il film di Rak esce curiosamente in un anno in cui anche "Mondocane" e "La terra dei figli", attraverso la condivisa rappresentazione di una post-civiltà, pongono l’attenzione alle generazioni di giovani in cerca di ricollocazione civile e sociale piuttosto che alle conseguenze dirette della distruzione.
Dunque il worldbuilding di "Yaya e Lennie" è narrato in sottrazione: l’epidemia che porta l'Istituzione a rastrellamenti di tribù autoctone e agli scavi per rinvenire l’ipertecnologica civiltà precedente rimangono due elementi sfocati poiché gli stessi protagonisti non hanno cognizione degli accadimenti che li circondano. In un contesto così fantastico, da edificare e rendere concreto, è encomiabile il lavoro di rimozione che la sceneggiatura apporta al testo finale, lasciando in superficie solamente ciò che serve per narrare un messaggio che sia universale, anche se inficiato dalla retorica.
Il legame stesso tra Yaya e Lennie è indefinibile, un ibrido indistinto tra amore e fratellanza, formatosi in giovinezza e mutatosi in una necessità reciproca e indissolubile. Parte di "Yaya e Lennie" dunque si basa sul ritrovare sé stessi attraverso la riappropriazione del contesto sociale mentre una serie di personaggi enuclea le ragioni che hanno portato le persone a scegliere o le discutibili condizioni urbane o i piccoli villaggi. Il messaggio retorico erompe da questo contrasto manicheo, per il quale tanto i contesti quanto i personaggi stessi si fanno leggibili, decifrabili. "Yaya e Lennie" vorrebbe lasciare allo spettatore il modo di trarre le proprie conclusioni dal ventaglio di diversità e differenze (la banda dell’anarchico Rospoléon è un felice coacervo di etnie) ma finisce per avere un carattere pedagogico molto marcato. Esemplare in questo senso la rieducazione culturale che il cinema diffonde, inteso come messaggio metatemporale, per mezzo delle parole e del volto di Charlie Chaplin in "Il grande dittatore". Non che sia un male, ma il testo scade in un didattismo avvertibile in ogni contrasto, finendo per sciogliere frettolosamente la questione tra uomo, natura ed espressione della libertà.
La portata artistica di questo terzo lungometraggio dello studio di animazione capitanato da Rak si propone di ammaliare, attraverso l’uso del colore. La palette passa dai verde e blu della natura alle tinte cineree dei metalli e dei fumi, l’ennesima distinzione tra bene e male. A differenza dell’enorme varietà di luci e ombre in "Gatta Cenerentola", qui si preferisce aderire a una ricchezza di dettaglio. Linee piatte, blocchi di colore quasi mai sfumati e un’onnipresente texture pastellosa che ricopre ambienti e modelli dei personaggi donano al 3D di "Yaya e Lennie" una forte personalità che richiama il disegno (vedere la recensione di "I Mitchell contro le macchine" per una riflessione sul tema).
La sensazione, tuttavia, è quella di assistere alle difficoltà di una grande ambizione espressa in maniera inefficace. La realizzazione finale soffoca in alcuni frangenti, soprattutto quelli movimentati: sia nei movimenti di macchina attraverso i vasti ambienti 3D, sia quando i modelli si muovono in modo poco fluido e il blur diventa cerotto d’emergenza alle mancanze artistiche che depotenzia l’espressività generale.
Premiante invece il grande lavoro sulle musiche legate indissolubilmente all’immagine e ai personaggi. Rak e il compositore Dario Sansone, leader dei Foja e anche secondo autore del soggetto, associano uno strumento ad ogni personaggio, evidenza metaforica che dota "Yaya e Lennie" del concetto di libertà associata alla multiformità espressiva delle melodie di ogni strumento.
"Yaya e Lennie - The Walking Liberty" è un film che si propone come trasversale, tagliando arditamente un mercato poco premiante il lungo animato, soprattutto se come in questo caso le fasce d’età sono molteplici e fondamentalmente adulte. Un'impresa compiuta soltanto a metà ma di buon auspicio per continuare a rendere vivo il medium.
cast:
Francesco Pannofino, Lina Sastri, Fabiola Balestriere, Ciro Priello
regia:
Alessandro Rak
titolo originale:
Yaya e Lennie - The Walking Liberty
durata:
98'