In un prologo a luci basse e silenzio diffuso, un esile e neanche giovanissimo signore barbuto si fa strada in un covo di malviventi a colpi di katana. Proiettili e fendenti lo rallentano, poco, finché raggiunge l’ufficio del capo e lo uccide.
Appesantito dal piombo ma alleggerito del sangue, raggiunge carponi l’umilissima dimora di una sartina che gli offre il collo e lo rigenera.
L’ordine in città è ristabilito, almeno finché non arrivano due strani personaggi e la giostra ricomincia, ancor più splatter e incredibile.
La sinossi di questo
divertissement è parte del contenuto stesso del film poiché ogni azione e ogni personaggio concorrono con la loro natura sghemba a formare una storia eccentrica.
Così Kamiura (Kikî Furanki), l’apparentemente dimesso
yakuza che chiama gli abitanti della sua città "civili" è un immortale; il suo delfino, Akira (Hayato Ichihara) è preso costantemente in giro dai suoi compari perché "ha la pelle delicata" e non può farsela tatuare. Dei due uomini che arrivano in città, uno (Yayan Rohian) è se stesso, un campione di Pencak Silat, una letale disciplina indonesiana e l’altro è un colosso di foggia medioevale con tanto di capelli a paggetto che si porta a spalla uno zaino a forma di bara. Si nota altresì un troll che puzza come un cadavere e infine "il più grande terrorista del mondo", una rana. Non manca infine un graditissimo cameo di Watanabe Tetsu, attore per Kitano e Sono Sion, in una sequenza che non è disturbante solo perché si è troppo impegnati a capire cosa stia succedendo per potersene accorgere.
Basato su una sceneggiatura sobria magari no ma originale di Yamaguchi Yoshitaka, Miike mette in circolo una miscela di elementi difformi ma tutto sommato funzionanti che è parte della sua sfaccettata poetica. A chi frequenta il suo cinema basterà dire che siamo dalle parti della trilogia DOA o del live-action
Yattaman: grottesco e yakuza, apocalittico, drammatico e fantasy.
Un film che fu presentato all’esile pubblico della Quinzaine di Cannes che in gran parte uscì perplessodalla sala. Anche perché la sequenza finale preannuncia un sequel che si svolgerà tra la terra e lo spazio (cosmico).
Se qualcuno avrà pensato a
Machete Kills si sbaglia ma non di tantissimo: quello di Rodriguez è un film che poggia su un eroe (Machete, Danny Trejo), questo invece è un
continuum di trovate, escalation e spiazzamenti sicché il divertimento dello spettatore diventa ben presto immaginare cosa starà per succedere e più vola di fantasia più si avvicina a quello che effettivamente vedrà.
E poi c’è la rana, agilissima ma malferma nel salire e scendere le scale sicché deve sempre, senza vergogna, appoggiarsi a qualcuno come un vecchietto imbelle; e poi la rana evolve e diventa ranocchia e presto si scopre il senso di tale involuzione, una embriologia che le permetterà, dall’ombelico incerottato, di chiedere aiuto alla madre grande e grossa come il pianeta sconosciuto su cui sta ferma e in bilico.
E su tutto c’è l’eredità che il vecchio yakuza lascia al giovane yakuza, un motto che è anche lui parte dell’immaginario del nostro tempo: "Stay Foolish!" – raccomanda, a lui, e anche un po’ a noi che guardiamo.
05/05/2016