Nella realtà, i Mondiali di Calcio del 2014 sono stati vinti dalla Germania, che in finale ha battuto l’Argentina per 1-0 ai supplementari. In "What do We See When We Look at the Sky?" è invece la Nazionale di Leo Messi a trionfare, superando 3-1 un’avversaria non meglio specificata. "È accaduto ciò che doveva accadere", dichiara in modo beffardo la voice over del film, che si svolge proprio durante l’estate della competizione, ma è girato dopo. Questo piccolo dettaglio, che arriva alla fine, diventa il più palese manifesto dell’opera e dell’operazione che compie il suo regista, Alexandre Koberidze. Il Mondiale è infatti l’evento che mobilita tutta la popolazione di Kutaisi, terza città della Georgia, dove si ambientano le vicende. La loro Nazionale non partecipa e dunque tutti tifano l’Albiceleste, con grande spirito collettivo [1]. Occasione perfetta per il regista per narrare la love story che dà il via alla storia ma anche, soprattutto, una sinfonia urbana, un sentito ritratto di luoghi e persone, un inno alle potenzialità del Cinema.
Lisa e Giorgi, due giovani, si incontrano per caso nei pressi di una scuola: a lei cade un libro, che lui non esita a raccoglierle. Come in una fiaba, i due non si rivolgono che un "mi scusi" e un "arrivederci", ma basta questo a far scoccare la scintilla. Si danno appuntamento per il giorno seguente in un bar, ma nella notte un sortilegio li colpisce entrambi, che si risvegliano con un volto completamente diverso. Pensando che questa sorte li riguardi solo personalmente, decidono di recarsi comunque al luogo del ritrovo, speranzosi di riconoscere l'altro. Così ovviamente non accade e i due, dopo una lunga attesa, se ne vanno malinconici. Nel frattempo, scoprono anche di aver perso il proprio principale talento: Giorgi quello per il calcio, Lisa quello per lo studio della Medicina. Così, non gli resta che trovarsi altro da fare, finendo per lavorare, inconsapevolmente, allo stesso bar, lei come cameriera, lui come tuttofare. Nel frattempo, iniziano i Mondiali e la gente della cittadina si ritrova, in diversi posti, a guardare insieme le partite. La linea narrativa che racconta vicende dei due giovani, all’inizio quella principale, diventa dunque solo una delle tante del film, che si prende lunghi tempi per raccontare una città e la sua popolazione.
Delineando un’atmosfera da realismo magico, Koberidze muove la cinepresa per le strade di Kutaisi e resta affascinato da ciò che vede: persone, luoghi, natura, oggetti. Si alternano lunghe inquadrare fisse in campo medio e altre che si avvicinano di più ai personaggi, con enfasi su campi vuoti ozuniani e talvolta su particolari bressoniani. Così la narrazione si perde tra le immagini, a volte lasciando volutamente i soggetti umani fuori fuoco per mettere in risalto ciò che li circonda. La love story di Lisa e Giorgi è quella su cui si concentra il regista, ma è solo una delle tante che la città può offrire, in un mosaico (quasi) infinito di possibilità, di rivoli da esplorare. Con una colonna sonora molto evocativa, Kobaridze eleva ciò che l’occhio della cinepresa cattura, che sia il fiume in piena, una ragazza che in solitudine gioca a pallone, le azioni che le persone compiono all’interno delle loro abitazioni. Elementi naturali e dettagli quotidiani che di per sé non avrebbero grande valore, ma che è proprio la loro trasposizione sullo schermo, grazie agli strumenti della Settima Arte, a rendere quasi mistici. Persone e tradizioni, altrimenti destinate all’oblio, possono inoltre conservare in questo modo una propria traccia, un segno del loro passaggio.
Tutto questo universo è raccontato sempre esplicitando la presenza e la mano di Koberidze. Il primo incontro tra Lisa e Giorgi è mostrato inquadrando i loro corpi solo dalla vita in giù, così che in campo ci sono solo le loro gambe e l’attenzione si sposta sul libro che cade a terra. Spesso le inquadrature degli interni sono fortemente settorializzate, le pareti e le finestre creano un quadro nel quadro, con una composizione ricercata. La voice over, che poi capiremo essere del regista, funge da commento continuo, dichiarando nell’ultima scena l’inutilità della storia raccontata e di non capire come gli autori possano scegliere simili soggetti. Una dichiarazione nuovamente beffarda, perché è chiaro come nulla sia scelto per caso e quale sia il discorso che questi porta avanti. È il Cinema stesso a far incontrare i due giovani, a dividerli, a farli riconoscere e nuovamente unire alla fine. Così, se gli scorci che il regista ci mostra sembrano catturati dal vivo, dietro le immagini che vediamo sullo schermo si cela un lungo lavoro di ricerca, seguito poi da uno altrettanto elaborato di montaggio in post-produzione.
La trama del film propone poi una coppia di registi che a Kutaisi va alla ricerca di coppie di innamorati, con l’obiettivo di filmarne il più possibile e poi farne una selezione per realizzare un documentario. Saranno coinvolti anche Lisa e Giorgi, che, dopo qualche resistenza, accettano di essere ripresi, passando per varie prove prima di arrivare al take giusto. Se questo particolare idea di metacinema (il lavoro del regista, le difficoltà concrete nel girare sul campo narrate nell’intreccio) potrebbe far ricordare ad esempio Abbas Kiarostami, Koberidze sembra richiamare più direttamente Hou Hsiao-hsien. Ne "I ragazzi di Fengkuei", il cineasta taiwanese compone un affresco della cittadina del titolo seguendo le vicende di tre giovani. Ad un certo punto, un tizio incontrato per strada propone loro di andare a vedere un film su uno "schermo panoramico a colori" all’interno di un palazzo abbandonato. I tre accettano, pagano il "biglietto", ma quello che trovano è poi semplicemente una grande finestra che mostra un suggestivo scorcio della città. Sia ne "I ragazzi di Fengkuei", che in "What do We See...", all’interno dell’intreccio risiede dunque uno specchio dell’operazione che il regista stesso compie.
In generale, poi, Koberidze adotta spesso soluzioni che rievocano il cinema muto. Lo dimostrano le lunghe sequenze senza dialoghi accompagnate solo da brani eseguiti al pianoforte, che esplicitano un lavoro sulle immagini dove non è parola a contare, non il veicolare un contenuto, quanto un’emozione. Così come l’uso di tecniche tipiche di quell’epoca e ora desuete: la dissolvenza e l’iris come transizione tra le scene. Altri passaggi evocano poi ancora più precisamente l’orizzonte dell’operazione. La prima scena del film ci mostra infatti l’uscita dal cancello della scuola di alcuni studenti accompagnati dai genitori. La disposizione dell’inquadratura sembra richiamare quella dell’iconica" "Uscita dalle officine dei fratelli Lumiere". Una sequenza passata alla storia come un esempio della cattura diretta del reale dei due cineasti, di cui poi invece studi successivi hanno evidenziato la costruzione pregressa, per la precisione con cui le persone si muovono. Inoltre, in "What Do We See...", alcune apparizioni improvvise di oggetti, come un pallone da calcio, richiamano esplicitamente un effetto artigianale mélièsiano, un "trucco", che visto oggi palesa la sua artificialità.
Così, in un film in cui anche lo spettatore stesso è chiamato in causa, Koberidze celebra la capacità del cinema di unire le persone, di dare dignità alle cose più comuni, anche solo di far vincere, nella finzione narrativa, la propria squadra del cuore. Risultando, se visto dopo il dicembre 2022, incosapevolmente profetico.
[1] L'ammirazione che Giorgi, i bambini di Kutaisi, provano nei confronti del giocatore simbolo della Nazionale argentina, Leo Messi, non è del resto casuale. Questi infatti rappresenta un ideale di fantasia, di creatività prestata al pallone, a cui lo stesso regista aspira. Il titolo del film richiama infatti l'esultanza tipica dell'attacante, che alza lo sguardo e con le mani indica il cielo.
cast:
Ani Karseladze, Giorgi Bochorishvili, Vakhtang Fanchulidze
regia:
Alexandre Koberidze
titolo originale:
Ras vkhedavt, rodesac cas vukurebt?
distribuzione:
MUBI
durata:
151'
produzione:
Mariam Shatberashvili
sceneggiatura:
Alexandre Koberidze
fotografia:
Faraz Fesharaki
montaggio:
Alexandre Koberidze
musiche:
Giorgi Koberidze