Non è un paese per vecchi (supereroi mascherati). Arduo compito portare al cinema l'opera, a detta di molti, più bella e importante di Alan Moore. La faticaccia è toccata al professionale Zack Snyder, già autore del buon
remake di "Zombi" di Romero e del tamarrissimo "
300". Tradire o meno la fonte originaria? Cedere alle regole spettacolar-commerciali di Hollywood? Snyder opta per l'unica soluzione possibile, ma non la più scontata. Massima fedeltà, o quasi (cambia qualche dettaglio e ci sono un paio di tagli, ma tranquilli, arriverà una
director's cut), alla
graphic novel di Moore. Con grande perizia la macchina da presa e il montaggio ripropongono con esattezza millimetrica le tavole di Dave Gibbons, i dialoghi sono proprio quelli di Moore, la struttura narrativa dilatata e piena di flashback è rimasta intatta (il minutaggio si avvicina alle tre ore), c'è sangue, violenza, sesso, e un senso di disfatta e sconfitta finale che non si ritrova in molti altri
blockbuster contemporanei.
L'errore in cui incappano Snyder e i suoi collaboratori tuttavia è, paradossalmente, l'eccessiva vicinanza alla
graphic novel. Chi scrive continua a sostenere che fumetto e cinema siano due
medium a tratti interscambiabili, ma estremamente dissimili. Nel mettere su pellicola il capolavoro di Moore andava posta la giusta attenzione anche, se non in primo luogo, sulle frequenze d'onda del grande pubblico, sul come traslare in movimento ed emozione i disegni di Gibbons (come hanno fatto di recente Christopher Nolan o Guillermo Del Toro nei loro
cinecomics, per esempio). Non basta la fedeltà, per quanto onorevole e rispettosa: è come se Snyder, intimorito dalla fama e importanza della
graphic novel, si fosse tirato indietro limitandosi alla funzione di lussuoso impaginatore. Ma nel buio della sala pretendo di assistere a "Watchmen - Il film", e non a "Watchmen - il fumetto con le immagini in movimento". Incedendo nell'"errore" del calligrafismo, le emozioni si raffreddano eccessivamente, e non si ritrova il piacere e l'entusiasmo della lettura della controparte cartacea (che impone, ovviamente, tutt'altro tipo di visione, di ritmi ecc). Ed è un peccato, perché quando "Watchmen" (il film) funziona, lo fa alla grande. Il montaggio di vecchie fotografie e ricordi sbiaditi che scorre sui titoli di testa, commentato dall'immortale "The Times They Are A-Changin'" di Bob Dylan, è un perfetto esempio di come il cinema, con la sola forza delle immagini, possa comunicare, e commuovere, più di tante parole. E sono indimenticabili pure le sequenze della nascita del Dr. Manhattan (in sottofondo Philip Glass, altra scelta musicala azzeccata), e molti momenti di stampo
noir che hanno per protagonista l'enigmatico Rorschach (forse il personaggio più riuscito, grazie anche alla bella prova di Jackie Earle Haley).
E, come già segnalato, è rimasta potente e intatta la visione della Storia come follia senza senso, la rappresentazione di un'America al "contrario" (grazie al potere del Dr. Manhattan gli Usa vincono in Vietnam, e Nixon resta al potere), che prima acclama, e poi rifiuta, la presenza di eroi mascherati. Tutte cose che gli appassionati di Alan Moore e della sua opera, conoscono bene. Ma, per chi non è familiare all'universo cupo e malsano dell'autore britannico, il film di Snyder potrebbe apparire come una scheggia impazzita. Perché nega, costantemente, l'identificazione con i suoi "eroi" (tutti fallibili e controversi, a partire dal "Comico"), perché non insiste sulla violenza, gli effetti visivi (sempre funzionali alla narrazione) o l'
action fracassone che va di moda (un po' fuori tono giusto la scazzottata nella prigione, con mosse
kung fu e
ralenti stile "Matrix"), perché riesce (a tratti) a trasportarci in uno sgradevole universo altro. "Watchmen" vorrebbe essere, riuscendoci solo in parte, il film definitivo sul mondo dei "supereroi", ma gli manca il guizzo geniale indispensabile per fargli fare il salto dalla carta alla celluloide. Il punto è che la
graphic novel del duo Moore-Gibbons era perfetta di suo, e probabilmente non necessitava di una trasposizione sul grande schermo per essere maggiormente apprezzata. Accontentiamoci di una pellicola, nonostante tutto, anomala e affascinante, che potrebbe crescere col tempo.