Spagna. Seconda metà degli anni sessanta. I tecnocrati franchisti aprono al desarrollo economico di matrice progressista e precapitalista, gli usi e costumi di una società ancora intorpidita dalla falange isolazionista cominciano a rimodellarsi, a conformarsi con quello che accade nel resto del mondo. Certo, nelle scuole e nelle case volano ancora schiaffoni, la premura affettiva e pedagogica di montessoriana memoria non solo non attecchisce in quelle terre aride e austere ma non si sa neppure cosa sia. Tuttavia i segni di un lento cambiamento sono alla luce del sole. Una produzione cinematografica inglese sta girando un film antibellico lungo la Costa del Sol andalusa, un professore beatlesiano catechizza i giovani sui valori della vita, quelli veri dissepolti tra le macerie dell'ottenebrazione fascista, due ragazzi soli e confusi sono pronti a muovere i primi moti di ribellione nei confronti di un passato fortemente in antitesi con il loro presente.
Su questa intelaiatura politica e sociale, lo scrittore (prima ancora che regista) David Trueba anima il racconto de "La vita è facile ad occhi chiusi", commedia on the road dove felicità e melanconia attraversano le vite dei tre fuggiaschi protagonisti: una ragazza rimasta incinta, turbata dalla solitudine e da un trascorso oscuro e indelebile, un tenace adolescente in cerca di indipendenza dall'oppressione familiare e dalla figura dispotica del pater familias. A guidarli (letteralmente) un saggio quanto squilibrato professore di inglese che, sulle orme di John Keating e del suo carpe diem, trova in John Lennon il suo "capitano", l'icona in grado di plasmare una generazione figlia del tramonto franchista che "vorrebbe ma non può" (almeno non ancora) librarsi verso la libertà, verso un genuino progresso perché ancora parzialmente saldata al conservatorismo dei decenni passati ("è questa la musica che va di moda?"). Lennon è il quarto personaggio fondamentale dell'opera anche se non viene scrutato dalla macchina da presa con meticolosa contiguità come accade per Antonio, Belen e Juanjo. A livello di messa in scena Trueba si accontenta di osservarlo per pochissimi secondi in campo lungo, ai piedi di una roulotte. In fondo la sua storia la sappiamo già. Ed è condivisibile la scelta di non disturbare il personaggio storico per concentrarsi, per contro, sulle battaglie anonime e personali di persone comuni che contribuiscono al cambiamento sociale del proprio Paese. La crisi identitaria della Spagna è la stessa che accompagna il delicato periodo da "esiliato" del cantautore inglese che si ritrova a gridare "Help" e a recitare nella "terra delle fragole", l'Almeria, location di numerosi spaghetti western che riportano all'immaginario cinematografico di Claudia Cardinale e Sergio Leone ma anche a quello musicale della beatlesiana "Strawberry Fields Forever" dal cui testo è estrapolato l'eloquente titolo del film.
"La vita è facile ad occhi chiusi" esce in Italia due anni dopo aver ottenuto tutto quello che c'era da ottenere in patria: sei premi Goya tra cui miglior film, miglior regia e migliore colonna sonora al chitarrista statunitense Pat Metheny (insolita e lodevole la scelta di non fruire di una scontata soundtrack incentrata sui Beatles). Una calorosa accoglienza di critica e pubblico che lo hanno fatto diventare campione di incassi al botteghino iberico. Merito soprattutto di una scrittura leggera e profonda al tempo stesso. A tratti eccessivamente didascalico e prevedibile nel suo insistere sul metatesto cinematografico, ma pur sempre coerente col proprio percorso intrapreso, è sorretto da una caratterizzazione dei personaggi degna di un grande scrittore. Merito altresì della garanzia recitativa di Javier Cámara, l'indimenticabile infermiere Benigno di "Parla con lei", e dei giovanissimi Natalia de Molina e Francesc Colomer provenienti dal teatro.
Un'ultima nota di merito va all'organizzazione Exit Media, la piccola realtà produttiva e distributiva che nel giro di pochissimi anni è riuscita a portare sui grandi schermi italiani, pur in limitate copie, piccoli capolavori spagnoli invisibili come "Arrugas" o "Dancing with Maria" (presentato alla Settimana della Critica di Venezia). Un fenomeno da prendere come esempio nel circuito cinematografico odierno soprattutto per la tenace strategia comunicativa e di marketing, nonostante siano pellicole destinate ai soli circuiti d'Essai. Eppure il film di Trueba è riuscito addirittura a farsi pubblicità tra i servizi dei telegiornali nazionali, oltre ad aver adottato una massiccia campagna mediatica online. Anche se, considerando i primi dati Cinetel, la speranza di svegliare dal torpore il giovane ribelle intrappolato dagli ultimi strascichi del regime franchista non è la stessa che coinvolge l'impagliato spettatore cinematografico, sempre più fisionomicamente accostabile, in tema di scoperta di questi nuovi, incoraggianti scenari di fruizione, all'immobilismo del povero Bruno, il ragazzo disabile inquadrato non di rado dalla cinepresa del regista spagnolo.
cast:
Javier Cámara, Natalia de Molina, Francesc Colomer, Jorge Sanz, Ariadna Gil
regia:
David Trueba
titolo originale:
Vivir es fácil con los ojos cerrados
distribuzione:
Exit Media
durata:
105'
produzione:
Fernando Trueba PC, TVE, Canal+
sceneggiatura:
David Trueba
fotografia:
Daniel Vilar
scenografie:
Pilar Revuelta
montaggio:
Marta Velasco
costumi:
Lala Huete
musiche:
Pat Metheny