Se il nuovo di Ivano De Matteo, che per la prima volta sposta sguardo e storia nel nordest italiano, si fosse intitolato "La congiura dei colpevoli", certo saremmo stati assai vicino alla verità delle intenzioni. Perché nelle ventiquattr'ore di questa narrazione che vira dall'esterno giorno al (cupo) interno notte è chiara la volontà di lavorare sul senso di colpa – vero o presunto che sia – trattandolo come un fardello interiore che può fare da contrappeso ad un orrore esteriore. "Villetta con ospiti", scritto a quattro mani con la compagna di una vita Valentina Ferlan, non soltanto insiste su questo dualismo, ma ne acuisce il significato sovrapponendo due aspetti assai diversi del tanto sbandierato bisogno di difendersi: da un lato poter preservare il proprio intimo; dall'altro essere liberi di muoversi e agire entro gli spazi della "propria" proprietà privata. Ma in questo piccolo borgo in cui i ricchi producono vino da generazioni ed i loro factotum vengono da altri Paesi, dalla Romania nella fattispecie, e sognano, a titolo diverso, la possibilità di una vita migliore entro i confini della nostra scalcinata penisola, i rapporti di subalternità possono, in virtù della stretta vicinanza quotidiana, farsi opachi, rischiare di mescolarsi, mettendo a repentaglio i ruoli sociali. E sì, perché curiosamente, "Villetta con ospiti" fa venire in mente il "Parasite" di Bong Joon-ho, non soltanto per l'evidente conflitto di classe dipinto, ma pure per questa idea tanto semplice quanto geniale di porre gli interpreti della scala sociale letteralmente, e quindi fisicamente, su livelli diversi. Se nel capolavoro sudcoreano gli ultimi erano costretti a vivere nel sottoscala di un palazzo fatiscente o nella cantina bunker di una casa da sogno, ecco che la villa della famiglia Tamanin si sviluppa costantemente verso l'alto, innervata com'è da una enorme e pomposa scala che pare non aver fine; mentre l'abitazione di Sonia e Adrian (rispettivamente madre e figlio rumeni) è una sorta di ammezzato che il ragazzo definisce "un posto orrendo che ci fa vivere sotto terra con i topi".
E forse questo è davvero il miglior pregio del film di De Matteo; la messa in scena disturbante, l'idea di un paese piccolo stretto entro i confini di un bosco selvatico, un non-luogo dove i meccanismi sociali si ripetono stancamente e stancamente ripropongono le proprie nefandezze: tradimenti, corruzioni, violenze e falsità. E in questo scenario si innesta un giallo in cui non si deve scoprire l'assassino. Perché, tornando al possibile titolo iniziale di hitckokiana memoria, l'interesse del regista sta nelle reazioni alle azioni più che alle azioni in sé. Il responsabile è nell'aria; la colpa regina consiste nella volontà di preservare ad ogni costo lo status quo. Ma dove pecca, allora, il lodevole tentativo di De Matteo? In uno sbilanciamento, si potrebbe dire. In un soggetto che ha la meglio sugli interpreti, appiattendoli o facendone dei cliches. Per una Cescon in parte, madre frustrata e cittadina volenterosa, ecco un Marco Giallini sfuggente (e andrebbe anche bene), ma incapace di indossare una vera maschera tragica; per una Cristina Flutur, immigrata madre coraggio, potente e in parte; ecco il solito limite di tanto cinema italiano che si ostina a dipingere il personaggio adolescente di turno in maniera goffa e approssimativa (è il caso della figlia ribelle Beatrice Tamanin). A far da raccordo, il prete vizioso di Vinicio Marchioni i cui toni dimessi finiscono per farlo evaporare e il poliziotto napoletano di Massimiliano Gallo che nell'intimità costruisce galeoni come Dylan Dog, ma quando è in servizio non smette un momento di ricordarci il posto dal quale arriva (il sud, Napoli?) dove la legalità va sempre (obbligatoriamente) a braccetto con la corruzione.
"Villetta con ospiti" resta un luogo malsano che non riesce a far ammalare a sufficienza i suoi abitanti. Ci sarebbe voluta più cattiveria; ci sarebbero voluti meno silenzi; ci sarebbe voluta una dose in più di quella rabbia che forse solo Adrian (Tiberiu Dobrica) a tratti riesce a far risaltare. Il risultato è allora agrodolce, e sa tanto di occasione persa. Un amaro in bocca solo in parte compensato dal bel finale girato all'alba del nuovo giorno nel quale la becera narrazione quotidiana di tanta politica da propaganda viene ribaltata: il movimento illegale è per uscire dai nostri confini, non per entrarci. Le vite e la morte di tanta gente restano un affare da gestire di nascosto, fuori dalla legalità, oltre la legalità.
cast:
Marco Giallini, Michela Cescon, Vinicio Marchioni, Bebo Storti, Cristina Flutur, Erika Blanc, Massimiliano Gallo, Monica Billiani, Tiberiu Dobrica
regia:
Ivano De Matteo
distribuzione:
Academy Two
durata:
88'
produzione:
Odeo Drive, Rai Cinema, Les Film D'ici
sceneggiatura:
Ivano De Matteo, Valentina Ferlan
fotografia:
Maurizio Calvesi
scenografie:
Sonia Peng
montaggio:
Marco Spoletini
costumi:
Grazia Colombini
musiche:
Francesco Cerasi