Sorprende che, con una lunga carriera alle spalle, Benoît Jacquot perda completamente il controllo di un film a metà strada. Protagonista è una donna, Ann (la sempre affascinante Isabelle Huppert), pianista, che, nel momento in cui scopre il tradimento del marito, decide di partire e abbandonare tutto (casa, carriera, e città), senza lasciare tracce. Si fa aiutare da un vecchio amico, Georges (Jean-Hugues Anglade) ritrovato per caso, e dalla Francia finisce in un'isola del sud Italia. La storia è tratta da un romanzo di Pascal Quignard, che, eppure, era stato sceneggiatore di "Una pura formalità" di Tornatore.
La prima parte del film, con toni cupi e drammatici, risulta tutto sommato accettabile. Conosciamo i personaggi, i tormenti di lei, la sua determinazione, la sua stravaganza. Sebbene manchi l'azione, e la storia stenti a decollare (lunghi preparativi prima della partenza, inutili tentativi di riconciliazione da parte del marito, qualche
cliché di troppo come le fotografie bruciate), si ha l'impressione che qualcosa di interessante stia per accadere. Non è così.
Nella seconda parte del film, esattamente quando Ann arriva in Italia, succede l'irreparabile. Prima di tutto l'isola ci viene mostrata con il solito misto di indulgenza, curiosità e fascino di un turista giapponese, con scorci degni di un filmato amatoriale inviato dagli spettatori di Licia Colò la domenica pomeriggio. Il sole che sorge a velocità accelerata, ad esempio, risulterebbe
kitsch perfino a un apprendista di Adobe Premiere. Il cast di parte italiana è - dispiace dirlo - sotto il limite sindacale, e degno di una filodrammatica del dopolavoro ferroviario di provincia. In particolare, da citare il personaggio della improbabile signora Amalia (che saremmo portati a considerare personaggio-chiave, prima che scompaia), recitato da una signora rubizza per cui è difficilmente pronosticabile un futuro come attrice (se non altro in considerazione dell'età) - pur essendo sicuri non abbia colpe. Perfino Maya Sansa, solitamente brava (quando ben diretta), nel ruolo della isolana è francamente irritante. Non aiutano certo i dialoghi, che sembrano fotocopiati da una pagina di un copione cestinato di "Un posto al sole" e scritti da uno
stagista rintronato. A questo punto del film c'è ormai poco da salvare, e tutto quel che segue è grosso modo scontato.
Piccole elissi fastidiose, musica cacofonica (si presuppone musica colta contemporanea) da rizzare i capelli sparata a tutto volume in momenti inutili del film, una storia che non coinvolge per nulla, e una regia che sembra volersi rifare al lato più classico e formale della tradizione francese, ma che invece risulta indisponente e presuntuosa, non aiutano certo il risultato finale. La Francia, di recente, ha espresso di meglio quando si trattava di film incentrati su ritratti di donne, basti pensare all'intenso e toccante "
Ti amerò sempre". L'interpretazione di Isabelle Huppert (sebbene avesse già preso parte a produzioni orrende, quali il ridicolo "Ma mère") è forse la sola cosa da salvare in un film che, se non fosse per la prima parte - come detto, ancora accettabile -, meriterebbe anche di meno.
15/08/2009