Secondo film italiano in concorso, "Vermiglio" di Maura Delpero in qualche modo parte dalla stessa posizione di "Campo di battaglia" raccontando le conseguenze della guerra - in questo caso la Seconda guerra mondiale - all'interno di un nucleo ristretto di persone. Se nel film di Gianni Amelio il conflitto veniva narrato dalla prospettiva dei militari ricoverati in un ospedale del nord-est, "Vermiglio" adotta lo stesso criterio, spostando però lo sguardo in uno spazio altrettanto chiuso ma rappresentativo della società civile, con il titolo del film che riprende il nome del paese montano in cui si svolgono i fatti raccontanti dalla regista bolzanina.
Rispetto al paragone appena fatto, a fare da elemento conduttore però non è tanto la riflessione sulla guerra e sulle sue drammatiche conseguenze. Pur presente nella diversa visione della stessa attraverso le opinioni di chi la ritiene ineluttabile e di coloro che invece ne vorrebbero fare a meno, "Vermiglio" sposta il suo interesse sui meccanismi che regolano i rapporti interpersonali tra la gente del paese e all'interno di una delle sue famiglie al fine di mostrare quanto la sovrastruttura vigente, costituita dall'insieme di abitudini e tradizioni sociali e religiose, finisca per avere il sopravvento sui comportamenti naturali dell'essere umano e, soprattutto, sulla sua dimensione sentimentale e affettiva. Da una parte c'è la scuola e, dunque, la fiducia sulle sorti normali e progressive che il maestro, interpretato magnificamente da Tommaso Ragno, porta avanti come una vera e propria missione; dall’altra, attraverso l’esperienza della moglie e dei numerosi figli che compongono la sua famiglia, vi sono le credenze (soprattutto religiose), con la superstizione, i riti e le leggi non scritte destabilizzate dalle conseguenze del matrimonio tra Lucia e Pietro, destinato, per gli esiti che lo spettatore avrà modo di vedere, a far saltare il banco portando alla luce le radici di una società iniqua quando si tratta di distribuire eguali diritti tra uomini e donne.
Adottando un linguaggio poetico capace di trasformare la bellezza austera del paesaggio invernale in un elemento ancestrale in grado di riflettere lo stato d'animo dei personaggi, facendo corrispondere l'isolamento naturale dovuto alla compartimentazione del territorio a quello esistenziale vissuto dai personaggi, nessuno escluso, "Vermiglio" riesce a fare la differenza nella metamorfosi visiva e insieme testuale con la quale ribalta le gerarchie tra maschile e femminile, mostrando la guerra per quello che è, ovvero la continuazione, sul piano della violenza e dello scontro, di un ego maschile impegnato nel tentativo di affermare la propria potenza.
Non è un caso che sia proprio la fine del conflitto a innescare il cambiamento del rapporto di subordinazione delle donne rispetto agli uomini, con le prime destinate a prendere in mano la situazione quando la controparte viene sconfessata dalla drammatica risoluzione della guerra. In questo senso appare simbolica la parabola di Pietro, il marito di Lucia, per il quale il passaggio dallo status militare a quello civile con la relativa svestizione della divisa, il simbolo di potere, equivale alla perdita del suo ruolo di marito e di padre. Allo stesso modo in cui lo sarà per il maestro del paese, dapprima percepito come una sorta di "leader maximo", autorizzato a decidere le sorti dei suoi figli e di quelli degli altri decidendo coloro che sono destinati a emanciparsi dalla propria condizione continuando a studiare e chi invece si dovrà dividere tra il gineceo e il lavoro nei campi, e poi obbligato dalla propria coscienza a farsi da parte, sconfitto dai fatti nella sua idea di progresso e nella fiducia nei confronti della ragione.
"Vermiglio" ce lo mostra in maniera forte e chiara nella parte finale, con la rapida escalation di immagini che testimoniano la presa di coscienza dei personaggi femminili chiamati - anche come categoria, per la maniera in cui vengono ripresi uno dietro l'altro - a occuparsi di far sopravvivere l'esistenza del mondo attraverso la maternità - biologica o surrogata che sia -, occupando addirittura lo spazio maschile quando, in un rapido alternarsi di montaggio, vediamo una delle figlie del maestro levarsi per un attimo il velo da suora e iniziare a fumare - con ciò mettendo in campo una vera e propria rivoluzione femminista - e ancora, nel momento in cui Lucia, consapevole di dover aiutare la famiglia a riprendersi dalla crisi economica che l'affligge, decide di affidare i nascituri alle sorelle per partire in cerca di lavoro.
Richiamandosi al cinema della vita contadina di Ermanno Olmi e sulla scia di quello più recente proposto da Alice Rohrwacher, Maura Delpero firma il suo capolavoro attraverso un racconto lirico in cui il rigore della forma trova corrispondenza nella scelta di sottrarre le sequenze al movimento, affidando l'efficacia del risultato alla fissità della mdp (metafora anche della chiusura del mondo in cui vivono i personaggi), pronta a cogliere l'umanità dei protagonisti nella concentrazione dello sguardo così come nella plastica composizione della postura di un'intera epoca.
La bravura della Delpero è quella di continuare a ragionare sui temi che le sono consoni cambiando per intero la geografia umana e paesaggistica dei suoi orizzonti. "Vermiglio" è un'opera seconda che non smentisce la prima, riuscendone addirittura a migliorarne i pregevoli risultati. Almeno per chi scrive il film si candida al premio per il miglior film e interpretazioni. Tra queste ultime oltre a Tommaso Ragno, Carlotta Gamba e all'iconico cameo Sara Serraiocco, non si può fare a meno di citare le meravigliose Martina Scrinzi, Rachele Potrich e Anna Thaler, attrici esordienti a cui speriamo il cinema italiano sia capace di dare altre possibilità per esprimere il loro talento.
cast:
Roberta Rovelli, Orietta Notari, Luis Thaler, Enrico Panizza, Sara Serraiocco, Martina Scrinzi, Carlotta Gamba, Giuseppe De Domenico, Tommaso Ragno, Rachele Potrich
regia:
Maura Delpero
distribuzione:
Lucky Red
durata:
119'
produzione:
Charades, Cinedora, Versus Production
sceneggiatura:
Maura Delpero
fotografia:
Mikhail Krichman
scenografie:
Vito Giuseppe Zito, Sara Pergher
montaggio:
Luca Mattei
costumi:
Andrea Cavalletto
musiche:
Matteo Franceschini