Gianni Amelio, dopo "Il signore delle formiche" del 2022, torna a Venezia con "Campo di battaglia", elegantissimo dramma storico ambientato tra Veneto, Trentino e Friuli-Venezia Giulia durante la Grande Guerra. La storia è quella di due ufficiali medici dell'esercito, amici d'infanzia, che operano nello stesso ospedale assieme alla donna di cui entrambi sono innamorati, Anna (Federica Rosellini). Tuttavia, non condividono la medesima devozione per la patria; infatti, mentre Stefano (Gabriel Montesi) sembra essere duro verso i soldati feriti, Giulio (Alessandro Borghi) si dimostra comprensivo nei loro confronti, tanto da aiutarli in segreto affinché non tornino al fronte. Amelio prosegue con il suo cinema puramente politico, ambizioso, la cui funzione sociale è fondativa come in un racconto di Sciascia, accanto a una "mise en page" sempre classica, calligrafica che, però, nella seconda metà del film mozza il potenziale della narrazione psico-sociale dei personaggi. Una pellicola, dunque, affascinante che non sembra però esprimere tutto il suo potenziale.
Per chi suona la campana
È stato da più parti sottolineato il debito e l'omaggio che Amelio profonde in "Campo di battaglia" al cinema italiano, dal presagio onnipresente della morte condiviso con l'ultimo Olmi, alla dimensione del cronotopo che appare paradossalmente non definita come ne "Il deserto dei tartari"; oppure, ancora, allo stesso Amelio di "Porte aperte", e alla necessità che la morale non corrisponda all'etica.
Al contempo, l'atmosfera cupa, irrequieta, esistenziale – per esempio nel prologo, in cui un soldato nella penombra controlla le tasche dei compagni morti in trincea - segue i riferimenti della letteratura di guerra. L'Hemingway di "Addio alle armi", evidente nella figura di Anna e nei tormenti dei soldati feriti che farebbero di tutto per non tornare al fronte; e, soprattutto, nella domanda latente di John Donne che attraversa la pellicola e torna nel capolavoro dello scrittore americano: "per chi suona la campana"?, o, in altre parole, per chi stiamo combattendo? Non solo, la letteratura forgia il film di Amelio anche altrove: per esempio, l'isolamento fisico ed emotivo di Giulio nella rocca in cui vive alla fine del film con l'obiettivo di trovare una cura per la febbre spagnola ricorda la dimensione sospesa di "Un anno sull'altopiano".
"Campo di battaglia", quindi raccorda un sottotesto densissimo, che nutre l'immaginario della Prima guerra mondiale che, per noi italiani, ha sempre sofferto di un distacco emotivo maggiore rispetto ad altri cruciali eventi della nostra memoria collettiva - anche a causa della retorica patriottica che ha tentato in ogni modo di oscurare, ribaltare, riscrivere, soprattutto durante il fascismo, quella che a tutti gli effetti è stata una "vittoria mutilata", per usare l'espressione di D'Annunzio. In questo senso, il lavoro di Amelio ci riporta a un discorso concretissimo, causativo, degli effetti, delle ferite sul corpo dei soldati, su cui la camera indugia. Allo stesso modo i suoni della febbre spagnola, la tosse, i rantoli, avvelenano lo spazio della rappresentazione nell'ultima parte della pellicola e impostano l'analogia tra guerra e malattia. Questo stesso confronto diretto, tra ciò che uccide e chi uccide, è anatomizzato nella sequenza in cui un soldato siciliano è fucilato pubblicamente per diserzione (foto in basso): la camera inquadra di spalle il ragazzo, i soldati sembrano spararci addosso, come il potere investe le masse. È l'idea, poi ribadita da Giulio, che la guerra ammazza pure dal lato cieco, dalla parte amica, quando il suo bacillo è parte del discorso politico e qualcuno muore "al momento giusto" – cioè, "la frase più mostruosa di tutte" come scrive Canetti in "La provincia dell'uomo".
"La guerra è un dovere"
Sin dalla prime scene, per un madrelingua italiano, è evidente un problema a cui (socio)linguisti, filosofi, scrittori, da Bembo a Manzoni, si sono dedicati: l'italiano (più di altre lingue romanze) conserva delle variazioni diatopiche (regionali) profonde e radicate. In "Campo di battaglia", Borghi, alias Giulio, torna alle frequenze dell'Italia settentrionale già esplorate in "Le otto montagne" e, di conseguenza, non comprende i soldati che gli parlano per esempio in siciliano, sardo, napoletano. È il tema (sociale, in Amelio) dell'incomunicabilità, che nel film si fa largo proprio nell'antitesi, o nell'antidoto, che il regista opporrebbe al conflitto, ossia la lingua, la parola, in senso anche Aristotelico, come potenza dell'atto. Tuttavia, la mancata diffusione di una lingua comune nell'Italia post-risorgimentale è concretizzata nell'incomprensibile di una guerra combattuta, appunto, da ragazzi italiani che non capiscono bene chi li comanda e nemmeno chi gli sta a fianco. Si tratta, forse, dell'orizzonte dell'abisso di cui Saramago parla in una delle sue lettere da Lanzarote riguardo la guerra civile spagnola: "[noi uomini] Vediamo l'abisso, è proprio lì davanti ai nostri occhi, eppure avanziamo verso di esso come una folla di lemming suicida, con la fondamentale differenza che, strada facendo, ci intratteniamo a trucidarci gli uni con gli altri".
La pellicola, dunque, alza l'asticella dell'arringa politica di Amelio rispetto a quella dei film precedenti, e propone un discorso teoretico "sul metodo" , che confronta e riprende il tema classicissimo di Sofocle, poi contemporaneizzato da Arendt, su ciò che è giusto, su ciò che è un dovere, o, dall'altro lato, sulla disobbedienza civile alla Thoreau. Da questo punto di vista, però, gli ottimi spunti restano tali, il film indugia sulla superficie, affidandosi forse troppo all'espressività di Borghi: nella sequenza che quasi chiude il film, al centro del campo lungo, in montagna, mentre è rincorso da Anna, con lo sguardo spaesato sotto gli occhiali (in copertina); e al suo sorriso ristoratore che ci accompagna dall'inizio alla fine, rassegnato e malinconico, che riporta alla psicologia frammentata de "La tenerezza".
cast:
Alessandro Borghi, Gabriel Montesi, Federica Rosellini, Giovanni Scotti, Vince Vivenzio, Alberto Cracco
regia:
Gianni Amelio
distribuzione:
01 Distribution
durata:
103'
produzione:
Kavac Film; Ibc Movie; One Art Film
sceneggiatura:
Gianni Amelio, Alberto Taraglio
fotografia:
Luan Amelio Ujkaj
scenografie:
Beatrice Scarpato
montaggio:
Simona Paggi
costumi:
Luca Costigliolo
musiche:
Franco Piersanti