In schermo nero appare una piccola luce che lentamente si ingrandisce. In sottofondo, ascoltiamo una musica straniante, tagliente, e un verso di sofferenza. Nello spazio nero sembra che un pianeta collida con una stella, un avvicinamento di un corpo non identificato verso una fonte di luce, intorno il buio, in uno spazio indefinito. In primissimo piano una pupilla prende forma, viene costruita letteralmente, finché su schermo intero abbiamo un occhio umano che ci guarda.
Questo è l'inizio affascinante di "Under the Skin", terzo film di Jonathan Glazer, tratto dal romanzo "Sotto la pelle" (Einaudi, 2000), opera prima dello scrittore olandese Michel Faber (famoso per il bestseller "Il petalo cremisi e il bianco"). La storia parla di un'aliena sotto spoglie umane che gira per le strade e la campagna scozzese in cerca di uomini da catturare. Glazer prende solo l'esile soggetto fantascientifico del romanzo tralasciando tutti i temi affrontati dallo scrittore e lavorando di sottrazione e riduzione sulla sintassi narrativa.
L'occhio iniziale è lo sguardo alieno, lo sguardo altro, una visione dimensionale alternativa della realtà che ci circonda. Glazer sceglie di ridurre al minimo i dialoghi e usa la soggettiva dell'aliena che osserva in modo asettico la società degli uomini, visti solo come cibo da predare, con una messa in quadro che fonde visioni reali a dimensioni astratte. La ragazza si aggira in ambienti urbani prevalentemente notturni, freddi, umidi, periferici alternati a scene dove la natura diventa un secondo personaggio - come ad esempio la spiaggia, dove si assiste all'affogamento di un uomo e una donna in un mare livido in tempesta, oppure il bosco nel finale, dove le chiome degli alberi sembrano respirare attraverso lo schermo.
Il comportamento meccanico, senza alcuna empatia, rende perfettamente la diversità della ragazza, la sua totale mancanza di umanità. E gli uomini che cattura sono sempre portati in una casa dove all'interno di una stanza regna l'oscurità e dove vengono fagocitati: come un coccodrillo che porta in fondo a un fiume le proprie prede per farle macerare prima di divorarle. Gli uomini scompaiono in un liquido amniotico, primordiale, in un profondo nulla che porta alla totale dissoluzione di ogni umanità.
"Sotto la pelle", dietro la maschera, l'aliena si muove sempre in caccia, e Glazer amplifica questo senso di straniamento e minaccia costante puntando anche sullo sviluppo del suono diegetico ed extradiegetico: il primo con l'amplificazione e il missaggio dei rumori e delle voci che la ragazza percepisce (si presume per una capacità uditiva più potente rispetto a quella degli umani); il secondo, grazie a un'efficace e riuscita colonna sonora composta appositamente da Mica Levi.
Glazer mette in scena a tutti gli effetti un film concept, dove la narrazione è al grado zero e l'importante è ciò che lo spettatore vede e percepisce attraverso i sensi dell'aliena. La sceneggiatura non spiega fino in fondo volutamente la vera ragione della cattura degli uomini (nel romanzo è esplicitato che gli umani sono cibo prelibato, catturati, mutilati e messi all'ingrasso), né chi sono gli uomini in motocicletta che assistono fin dall'inizio l'aliena (anch'essi altri alieni?). Non concede nessuna spiegazione logica né digressioni drammaturgiche della vicenda, lasciando lo spettatore sospeso nel vuoto delle immagini.
Questo si sposa con la scelta della protagonista Scarlett Johannson che diviene corpo filmico attraverso cui lo spettatore osserva il mondo e dove la macchina da presa si sofferma nella scoperta superficiale dell'involucro attoriale. Quando l'aliena inizia lentamente a essere "infettata" dalle emozioni del mondo - il cibo, il contatto fisico, i volti, i suoni, le parole, i paesaggi - perde lo scopo della missione e il suo corpo, da strumento di predazione primaria, si trasforma in scarto secondario fino all'eliminazione finale.
Se "Under the Skin" rimanesse in questo ambito si potrebbe gridare al capolavoro, ma i tanti pregi sono offuscati da molti difetti. Non siamo di fronte a una versione al femminile di "L'uomo caduto sulla Terra" di Nicolas Roeg (con un David Bowie perfetto nell'alieno in cerca di acqua per il suo pianeta morente), ma a un ulteriore prosciugamento cinematografico: la scelta di rendere la sceneggiatura ai minimi termini da un lato potenzia la messa in quadro, dall'altro rende fin troppo evanescente qualsiasi appiglio narrativo, rendendo molte volte incomprensibile il perché di certi passaggi nodali di una storia che non esiste più (o non è mai esistita). Anche la Johansson (solo voce senza corpo in "Her" di Spike Jonze e qui corpo senza voce né emozione) che è strumento di visione senza empatia da un lato è interessante, ma alla fine stanca e impedisce allo spettatore qualsiasi identificazione emotiva: non si prova né odio o paura, né amore o simpatia, né vicinanza o lontananza con il personaggio.
Glazer resta indeciso, impigliato nella stessa materia visiva che vuole plasmare. Se avesse spinto ancora di più sulla messa in scena astratta, così ben delineata nella prima parte della pellicola, il film ne avrebbe guadagnato invece di provocare una certa indifferenza in ciò che si guarda.
cast:
Scarlett Johansson
regia:
Jonathan Glazer
titolo originale:
Under the Skin
distribuzione:
BIM
durata:
107'
produzione:
Film4, British Film Institute, FilmNation Entertainment
sceneggiatura:
Walter Campbell, Jonathan Glazer
fotografia:
Daniel Landin
scenografie:
Chris Oddy
montaggio:
Paul Watts
costumi:
Steven Noble
musiche:
Mica Levi
Una aliena sotto forma di una giovane e bella ragazza, gira per le strade della Scozia in cerca di uomini da catturare.