Ondacinema

recensione di Diego Testa
6.0/10

tyler rake

Avete presente quando per parlare di "Atomica Bionda" si faceva riferimento a "John Wick" e poi si finiva per ringraziare "The Raid" per averci concesso di vedere l'action di Hong Kong anni Ottanta e Novanta anche dalle parti di Hollywood? Ecco, ora alla fine di questo giro di rimandi e tasselli, potreste tranquillamente inserirci "Tyler Rake" di Sam Hargrave. Il regista americano, proprio come i colleghi Stahelski e Leitch, svolgeva principalmente il ruolo di  stunt director prima di esordire alla regia. Nel curriculum si legge della sua carriera da stunt double e stunt coordinator per produzioni come "The Warrior" ma anche per i film Marvel dei fratelli Russo, e sui set di questi ultimi si occupò anche delle scene di seconda unità. Sam Hargrave comincia prioprio da questa formula già sperimentata e di successo: l'action girato da chi lo coordina e lo esegue.

È proprio Joe Russo a scrivergli la sceneggiatura, basata sulla graphic novel "Ciudad"; testo scritto in cui probabilmente c'era veramente poco da leggere, per amore dell'action s'intende: un mercenario, ex specialista del corpo militare australiano, viene assoldato per liberare il figlio di un signore della droga, sequestrato da un potente rivale in Bangladesh.
Tyler Rake, armi da fuoco in spalla, si lancia in questa missione uno contro cento, affrontando scagnozzi armati e militari corrotti. Palazzi, strette vie inondate dal sole, strade sterrate: Dhaka diventa il palcoscenico dell'action urbano per una guerriglia continua e (quasi) senza tregua. L'azione performativa di Chris Hemswoth (e relativi stuntmen) è chirurgicamente seguita dalla telecamera che si ancora alle armi per registrarne ogni singola procedura. L'atto non è suggerito dal cinema in questo caso ma perfettamente mostrato, senza occultamenti: il montaggio a quattro mani lavora primariamente sull'editing interno in un millimetrico lavoro di messa a fuoco, delegando allo stacco un altro tipo di importanza e segnalando l'urgenza di catalogare la performance in tutta la sua durata, nel qui e ora della sua esposizione sullo schermo. Se in "John Wick" la concitazione del montaggio seguiva ogni acrobazia spezzandola in parti, Sam Hargrave piazza la camera sul soggetto e non la fa staccare finché la giostra non smette di girare.

"Tyler Rake" dunque estremizza la volontà performativa dell'action moderno, riposizionando l'atto performativo al centro della ripresa. Ecco perché, improvvisamente, nella prima parte del film Sam Hargrave innesta un piano sequenza (digitale) di dodici minuti spostandosi tra inseguimenti in auto e palazzine accidentate. Pur rintracciando nei limiti di budget una scelta così ardita[1], sembra sempre più evidente come episodi di  piani sequenza associabili per l'uso del digitale e fino a ora satellitari, come si nota in film quali "Atomica Bionda" e "Kingsman" ma anche "La La Land" o "Life", scoprano nella sequenzialità ininterrotta un modello espressivo prioritario. Lo stesso cinema avventuroso si riscopre immersivo-esperienziale prima che espressivo-narrativo, pensando a "Gravity", "Revenant" e "1917".
Certamente "Tyler Rake" vede questi 12 minuti di assolo come un mezzo che costruisce il film e non l'obiettivo finale a cui tendere, altrimenti si sarebbero consumati al termine del minutaggio quale picco ritmico desiderato. La sequenza però rimane il momento di maggiore interesse di tutto il resto: un'impressionante tour de force produttivo che alza il livello generale e fa gioire lo spettatore voyeristico.
La trama tremendamente seriosa[2], da cui si fatica a far emergere del contenuto, castra la progressione ritmica dell'azione; nonostante questo convivono nello stesso film trovate di buon gusto come la gang di ragazzini presa a pugni, sidekicks da fumettone e un body counter che scorre come vino ai baccanali.

Il lavoro grosso di "Tyler Rake" si evince in questa sua ebbrezza ricorsiva e smisurata che detesta l'asciuttezza di un "Triple Frontier" e scansa l'ipercinetismo di un Bay o un Berg a caso. Anche la qualità dei comparti sonoro e visivo in ambienti, per la maggior parte esterni, partecipano a questa eccitazione audiovisiva: fotografia accesa, lens flare, accento sui suoni di armi e colluttazioni. Hargrave conduce una nave che viaggia a vele spiegate e la sua professionalità registica stessa diviene stunt[3], partecipando come operatore nelle scene d'azione.
Distribuito da Netflix, "Tyler Rake" non inventa nulla di nuovo, limitandosi a riprodurre per eccesso quanto visto nelle iterazioni citate in apertura e soprattutto si paralizza nel compendio narrativo che non appare necessario, anzi affanna la visione. Tuttavia porta a casa la missione e il risultato soddisfa nei limiti del genere di riferimento.


[1] Sam Hargrave ha dovuto fondamentalmente concentrare una serie di scelte di regia in una sola macro-sequenza per contenere il budget.
[2] Menzione d'onore però alla gag di dell'uccisione di Tyler col rastrello, in inglese garden rake.
[3] Se volete sapere perché il film è stato girato con armi di gomma al suono di "bang-bang" dell'operatore, di questo e altre storie interessanti qui.


15/05/2020

Cast e credits

cast:
Sam Hargrave, David Harbour, Golshifteh Farahani, Randeep Hooda, Rudhraksh Jaiswal, Chris Hemsworth


regia:
Sam Hargrave


titolo originale:
The Extraction


distribuzione:
Netflix


durata:
116'


produzione:
AGBO, India Take One Productions, T.G.I.M Films, Thematic Entertainment


sceneggiatura:
Joe Russo


fotografia:
Newton Thomas Sigel


scenografie:
Philip Ivey


montaggio:
Ruthie Aslan, Peter B. Ellis


costumi:
Bojana Nikitovic


musiche:
Alex Belcher, Henry Jackman


Trama
Il mercenario Tyler Rake viene assoldato per effettuare l'estrazione del figlio di un boss della droga, ritrovandosi a combattere contro l'esercito del Bangladesh per le strade di Dhaka.
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