Non ce ne vogliano i lettori se non la ricordiamo in maniera testuale, ma la frase impressa in calce ai titoli di testa del nuovo film di Cristina Comencini la dice lunga sulla materia del film, alludendo alla volatilità del tempo e del suo divenire nel corso della nostra esistenza. Il richiamo all’inconsistenza materica della frase trova riscontro nell’immagine d’apertura in cui il personaggio di Alice/Giovanna Mezzogiorno vi appare riflessa sul finestrino della macchina che la sta riportando a Napoli per sgomberare la casa di famiglia dopo la morte del padre. Non solo perché “Tornare” di lì a breve si sviluppa alimentando la matrice fantasmatica della frase in premessa, ma poiché al centro della narrazione il più delle volte non troviamo il personaggio di Alice in carne e ossa quanto piuttosto la versione che deriva dalle rimembranze più nascoste della donna, i cui ricordi - messinscena come fossero il presente del film - serviranno a lei (e allo spettatore) per fare chiarezza e dare un ordine al puzzle narrativo proposto dalla sceneggiatura firmata della stessa regista e soprattutto per chiarire le (drammatiche) ragioni che spinsero il padre ad allontanare dalla città l’irrequieta adolescente.
In questo senso sono ancora una volta le immagini ad anticipare, e in parte a fissare, le coordinate del “viaggio” nel momento in cui l’arrivo a casa di Alice è accompagnato dal dettaglio sull’apertura di una matrioska dalla quale escono altre due versioni della celebre bambola a suggerire non solo la struttura a scatole cinesi della narrazione, in cui a un certo punto è Alice a diventare oggetto della sua versione giovanile, ma anche numero e relazione tra i personaggi femminili che vedono concorre al racconto madre e sorella della protagonista (tre come i tempi cronologici citati dalla frase iniziale).
Detto che alla stregua de “La Bestia nel cuore” anche “Tornare” prevede nel copione una violenza originale che pesa sulla vita della protagonista e che, come già al tempo, anche qui i ricordi sono fondamentali per svelare “l’arcano”: non è casuale che a interpretare Alice sia proprio la Mezzogiorno, già protagonista del lungometraggio candidato all’Oscar per la migliore opera straniera. Lo diciamo perché se il film insiste a sottolinearlo esplicitamente - attraverso le affermazioni dei personaggi - e indirettamente - attraverso il confronto delle due “Giovanna”, la seconda delle quali vi appare dall’alto di una bellezza “senza trucco”, e dunque anche sotto questo profilo, la scelta della Comencini appare coerente con i significati sottesi al testo della storia.
Da sempre interessata alle tematiche femminili e con il suo lavoro cinematografico impegnata a sostenerne diritti e battaglie, la Comencini non si smentisce allestendo uno spettacolo in cui la donna è ancora al centro della violenza maschile. E questa volta più di altre a entrare in gioco non è solo l’atto più sacrilego di tutti, quello la cui violenza si manifesta in senso materiale, ma anche gli altri, quelli che derivano da forme di amore sbagliato, come lo sono quelle dei genitori di Alice, assenti e/o coercitivi, o quello di Mark/Vincenzo Amato, dannoso nella sua esagerata ossessione. Purtroppo il problema di “Tornare” non è dato dalla classicità della proposta, né dalla similitudine con il fatto di fare di Napoli il centro dell’ennesimo thriller esistenziale di fantasmi che s'inseguono e si perdono (vedi, tra gli altri, “L’amore molesto” o “Napoli velata”), quanto piuttosto la decisione di articolare questo “Volver" italiano, quasi fosse in contatto diretto con la lezione almodovariana, sortendo dubbi effetti sia per ciò che riguarda la messinscena, elementare ai limiti dell’inverosimiglianza, sia per il trasporto emotivo che una vicenda del genere dovrebbe quantomeno ingenerare.
cast:
Giovanna Mezzogiorno, Vincenzo Amato, Beatrice Granno
regia:
Cristina Comencini
distribuzione:
Vision Distribution
durata:
107'
produzione:
Lumière & Co, Rai Cinema
sceneggiatura:
Cristina Comencini, Giulia Calenda, Ilaria Macchia
fotografia:
Daria D'Antonio
scenografie:
Carmine Guarino
montaggio:
Patrizio Marone
costumi:
Alessandro Lai
musiche:
Gabriele Coen, Mario Rivera