Ferzan Ozpetek, classe 1959, dopo avere omaggiato la sua
Istanbul, ora si dedica a Napoli, città che nel corso degli anni non ha mai mancato di ispirare il cinema italiano d'autore, visto che registi come
Rossellini, Rosi, Cavani, Martone,
Garrone e tanti altri hanno voluto raccontare il capoluogo campano. I fantasmi del cinema di questi registi, insieme ad altri, popolano "Napoli velata", il nuovo lavoro del prolifico ex-aiuto regista di Troisi, che ci descrive una città al tempo stesso seducente e pericolosa, teatro ideale per le storie a base di ineffabili presenze-assenze che l'autore di "
Cuore sacro" predilige.
È sicuramente positivo che un cinema italiano non appartenente al genere comico goda della fiducia dei produttori e venga fatto uscire in un periodo dell'anno importante dal punto di vista degli incassi, segno che si sa di poter contare su una buona fetta di pubblico. Ma se da una parte fa piacere notare che quello di Ozpetek è ormai un nome di forte richiamo (e lo si vede anche dall'attenzione che la stampa dedica alla vita privata del regista), dall'altra non si può fare a meno di rilevare come, al di là della popolarità, i risultati raggiunti stiano progressivamente peggiorando. Ormai infatti le storie di amanti scomparsi e mai rimossi, sensi sopiti risvegliati e segreti famigliari faticosamente (si fa per dire) rivelati vengono presentate in una forma sempre più farraginosa che ha poco di mistero e molto di pastrocchio. Finché il pubblico mostrerà di gradire, Ozpetek sarà libero di declinare le sue storie come meglio crede, ma non sarebbe male se i suoi promotori di fiducia, Gianni Romoli e Tilde Corsi (anche se nel frattempo alcuni lavori sono stati realizzati insieme ad altri), si decidessero ad affiancargli qualche sceneggiatore abbastanza abile da aggiustare il tiro quel tanto che bastasse per portare a casa il risultato (in verità, in sede di sceneggiature si sono alternati vari scrittori negli anni, ma evidentemente nessuno è più in grado di imporre, anche comprensibilmente, una visione diversa all'autore).
L'inizio, in effetti, con quella visione della tromba di una scala è anche suggestivo, ma il flashback che segue, con un "omicidio in famiglia" memore di "
Profondo rosso", ci fa intuire immediatamente che ci si trova di fronte a un film che non lavora certo di finezza.
Dario Argento sembra un altro regista che Ozpetek e il suo team hanno tenuto presente, visto che le "Fate ignoranti", a lui tanto care, stavolta sembrano lasciare il posto alle streghe, parenti neanche troppo lontane di quelle di "Suspiria", figure inquietanti i cui cammini incrociano quello di Adriana, medico legale, che a una festa dalle immancabili (siamo pur sempre in un film del regista di "
Mine vaganti") zie, oltre ad assistere a una messa in scena della "figliata dei femminielli" (molto si è detto di questa sequenza, ma in verità l'effetto è piuttosto incolore se si pensa a come la Cavani l'aveva rappresentata nel suo "La pelle", da Malaparte, a inizio anni Ottanta), incontra un giovanotto, Andrea, col quale trascorrerà una notte bollente. Sembra l'inizio di una storia, ma l'uomo scompare il giorno stesso e sarà ritrovato cadavere di lì a poco. Per Adriana scoprire cosa è successo ad Andrea è solo un modo per nutrire questa magnifica ossessione. Non si può scendere troppo nei dettagli, ma le indagini porteranno a cercare i colpevoli nel mondo dei trafficanti di opere d'arte e non in quello della camorra che evidentemente non trova posto in queste suggestioni esoteriche e barocche, accompagnate dalle musiche del bravo Pasquale Catalano.
Giovanna Mezzogiorno torna dopo quattordici anni a lavorare col regista de "La finestra di fronte", e si ha ancora l'idea che l'ex-allieva di Peter Brook sia, per sensibilità ed energia, un'attrice adatta a questo cinema, dove è chiamata a interpretare una sorta di mesto alter ego al femminile dell'autore (e in effetti nel rapporto fugace ma intenso fra Adriana e Andrea c'è un'indubbia connotazione queer, come si evince anche dalla scena erotica fra i due). Al "madrino" veneziano Alessandro Borghi, attore sempre più richiesto, anche se qui decisamente mal diretto (cosa curiosa se si pensa alla fama del regista turco nel valorizzare gli interpreti), spetta il compito di incarnare la figura maschile che tanto colpisce l'immaginario di Adriana/Giovanna/Ferzan, al punto da evocarne una sorta di doppio.
Sfortunatamente queste figure maschili, così ricorrenti nei film di Ozpetek, sono a conti fatti prive di vero fascino e quindi contribuiscono tutto sommato poco alla riuscita di lavori che avrebbero bisogno di presenze, appunto, più unanimemente seduttive. Il cast di contorno è, come al solito composito, ma l'unico a spiccare veramente è la new entry Biagio Forestieri, che incarna un'alternativa più terrena all'inarrivabile (solo in teoria) Andrea.
Il lavoro di Gian Filippo Corticelli alla fotografia contribuisce a rendere il film visivamente ricco e a far sembrare ingiustificate le accuse di chi trova "Napoli velata" un lavoro televisivo. Al di là dell'affetto del pubblico e dei risultati al botteghino, sarebbe auspicabile che ai pregi visivi di questi prodotti corrispondesse anche una certa bontà di scrittura che purtroppo sembra sempre più latitante.
29/12/2017