È stato un vero piacere assistere durante la scorsa Mostra del Cinema di Venezia al ritorno al successo, con tanto di Leone d'Oro, di Darren Aronofsky, tornato al Lido a tre anni di distanza dall'ingiusto massacro subito dal suo precedente lavoro, "L'Albero della Vita" ("The Fountain"), che critica e pubblico avevano frettolosamente liquidato come opera pretenziosa e confusa, non tenendo conto dei meriti di un film che aveva dalla sua un fascino visionario e dei passaggi molto intensi.
A sorprendere non è tanto l'entusiasmo che la pellicola ha suscitato, quanto piuttosto notare come il regista di "Requiem For A Dream" sappia variare registro; sarebbe poi un errore sottovalutare il suo eclettismo per il semplice fatto che "The Wrestler" appare come una pellicola più convenzionale rispetto ai lavori precedenti.
Come suggerisce il titolo, il film si svolge nel mondo del wrestling americano, una delle forme di intrattenimento più amate negli States. Misto di acrobazia e pantomima, in qualche modo discendente dei giochi del circo di epoche passate, il wrestling vede nerboruti ragazzoni sfidarsi sul ring in incontri caratterizzati da balzi, scontri, colpi (accennati), accompagnati da tutta una serie di scene di provocazioni e litigi che rendono il tutto estremamente teatrale e contribuiscono non poco al divertimento del pubblico, che ha eletto i campioni della specialità a vere e proprie star (non a caso molti di loro hanno poi tentato la carriera nel mondo dello spettacolo, pur se con alterne fortune...). Film che raccontavano le vicende di lottatori sono stati in passato estremamente popolari (si pensi ai
b-movie hollywoodiani del periodo classico o alle pellicole messicane dedicate alla figura del Santo), ma non è a loro che Aronofsky intende rifarsi, bensì all'ancor più prestigiosa tradizione dei film sul pugilato.
Sostituendo, infatti, la nobile arte al
wrestling, ci rendiamo conto che nella trama del film non ci sono molte differenze con quella, ad esempio, di "
Rocky Balboa", dignitoso ultimo capitolo della saga del pugile italo-americano che ha permesso qualche stagione fa a Stallone di fare ammenda per tanti precedenti capitoli non propriamente ispirati.
"The Wrestler" ci racconta la vicenda di Randy "The Ram" Robinson, un campione anni 80 che ora non se la passa troppo bene. Ha problemi di salute, vive in una roulotte, fa il commesso in un supermarket e ha qualche vizietto di troppo. Lo incarna, in una
performance che ha suscitato giusti clamori, Mickey Rourke, che neanche troppo velatamente è la maggior ragione di successo del film; in una di quelle occasioni rare e preziose dove personaggio e attore si completano l'uno con l'altro, l'ex
bad boy,
sex symbol, probabilmente non a caso, dell'epoca in cui il suo
alter ego lottatore conosceva il momento di gloria, trova quella che molti hanno definito
la performance di una vita. In realtà fra i due c'è una bella differenza: mentre Rourke è cambiato moltissimo a causa di una vita di eccessi rispetto all'interprete che si vedeva nei film di Coppola o Cimino, così come in titoli di culto quali "9 Settimane ½" o "Angel Heart", Randy "The Ram" sembra pervicacemente non volersi distaccare dal passato e nonostante gli anni, continua a portare un look ormai alquanto eccentrico e a raccogliere la (magra) soddisfazione che può dare partecipare coi vecchi colleghi alle
convention per appassionati del genere.
L'occasione inattesa per svoltare gli sembra la proposta di un incontro con un altro ex campione, sorta di rivincita tardiva di un vecchio match; il protagonista vede in questo "ritorno al passato" non solo la possibilità di riassaporare soddisfazioni ormai lontane ma anche lo stimolo per rimettere in carreggiata la sua esistenza, compreso il recuperare il rapporto con la figlia che non vuole più saperne di lui (Evan Rachel Wood, struggente) e fare in modo che il suo legame con la spogliarellista Pam, in arte Cassidy (Marisa Tomei, qui nella sua migliore interpretazione), possa fare qualche passo avanti. La donna, che lavora nel
night club dove Randy si reca spesso, in realtà è molto più posata del protagonista, ma ne incarna un ideale complemento perché anche lei professionalmente non se la cava troppo bene, perché, come lui, è legata a un lavoro che non è facilitato dal tempo che passa (anche se, in effetti, il
sex appeal dell'attrice con gli anni tutto sembra tranne che sfiorito, vedere per credere anche il precedente "
Onora il Padre e la Madre").
Per essere una figura che non si capacita che il passato non c'è più e che trova appagamento solo in qualcosa che ora non dovrebbe più fare, il protagonista del titolo incredibilmente non risulta mai patetico. Anzi, nel suo improbabile tentativo di riacciuffare il successo si riconoscono una grinta e uno spirito cui difficilmente non si può guardare con simpatia.
Il carisma di Rourke e la sua duttilità di interprete (oltre alla credibilità cui abbiamo accennato sopra) contribuiscono a farne uno dei personaggi più indimenticabili del recente cinema americano e se da una parte sembra fuori luogo parlare di gran ritorno, perché l'attore era già stato, ad esempio, memorabile come barbarico Marv nel "Sin City" di Rodriguez e Miller, dall'altra non possono che far piacere i numerosi riconoscimenti che si è meritato: Bafta, Golden Globe, Independent Spirit Award e molti altri... con due importanti trofei mancati come la Coppa Volpi (non assegnata per questioni di regolamento un po' discutibili, in effetti) e l'Oscar (l'Academy come si sa è sempre stata refrattaria a consacrare i ribelli, anche quelli ripuliti... a meno che non facciano Brando di cognome) che avrebbero sicuramente reso il successo dell'attore ancora più completo e probabilmente lo avrebbero ripagato di molti periodi bui.
Leggendo quanto sopra, forse si potrebbe pensare a "The Wrestler" come a un film d'attori o a una regia di servizio, ma sarebbe limitante considerarlo solo in questo senso; perché quello di Aronofsky si conferma come uno sguardo vivace e insolito e si vede soprattutto nelle scene dei combattimenti e in quelle che documentano i preparativi. Se una delle critiche mosse al wrestling è di essere uno spettacolo finto e combinato, la macchina da presa, attraverso una serie di efficaci dettagli ben studiati, ci mostra qual è il prezzo di questa
finzione, cosa questi moderni gladiatori devono sopportare per rendere le loro
performance quanto mai credibili e come l'esibizione sul ring sia forse sì
finta su un piano agonistico ma frutto, tuttavia, di un lavoro attentamente calibrato, nonché di una collaborazione fra i contendenti che se sul ring incarnano il ruolo di moderni gladiatori pronti a sfidarsi all'ultimo sangue, nella realtà sono atleti pronti a mettere al servizio di un buono spettacolo la loro professionalità.
In questo sguardo documentarista che rivela i meccanismi di un dispositivo sconosciuto ai più (la stessa Cassidy notando una ferita in fronte a Randy si dichiara stupita poiché riteneva che nel wrestling tutto fosse falso, appunto...) si delinea la personalità particolare di Aronofsky, regista che non ha mai amato le banalità e poco importa se la trama che gli ha messo a disposizione Robert D. Siegel, pur con un ammirevole disegno dei personaggi, non è proprio originalissima; tutto in "The Wresltler" suona come autentico e quindi ne sei conquistato.
Quando ci si avvicina al
climax tenere a freno l'entusiasmo è difficile, per quanto il regista si guardi bene di dare un epilogo smaccatamente lacrimoso alla vicenda: Randy "The Ram" riesce a tornare sul ring coi suoi pantaloni sgargianti e i
Guns ‘n Roses in sottofondo (ma nei titoli di coda Axl Rose & soci lasciano il posto alla gloriosa
title track del boss
Bruce Springsteen, altro
rocker doc che però negli anni non ha subito scossoni a differenza degli antieroi di cui canta...), eppure molti degli scopi che si era prefissato restano nelle intenzioni; nonostante questo non si può definirlo un perdente, perché un risultato fondamentale se lo aggiudica, quello di tornare a essere "The Wrestler", quello di tornare a essere ciò che gli ha dato maggior soddisfazione, converrete che non è una cosa da poco...
04/03/2009