Potremmo, ingannandoci involontariamente, trovare nei primi minuti di questo "The Woman In Black" un respiro quasi dickensiano: l'orfanello triste e il focolare spento senza il suo angelo a custodirlo nella fredda e grigia Londra ottocentesca. Potremmo quasi sentirci trasportati in quei luoghi tanto siamo avvezzi a queste rievocazioni e tanto la stereotipazione messa in scena è avvolgente. Col procedere del film potremmo poi, ingannandoci oramai quasi per frustrazione, iniziare a pensare che "la parte
cool" del film stia per arrivare e rinviare l'attesa ancora ed ancora rimandando le nostre brame quantomeno a quel
dénouement per il quale smaniamo, a quel capovolgimento repentino degli equilibrii cui le storie di fantasmi ci hanno oramai abituati da "Il sesto senso" a "The Others", da "
The Orphanage" fino al più recente "
1921 - Il mistero di Rookford".
Saremmo infatti fin dall'inizio portati ad affidare le nostre aspettative a qualche trovata del regista Watkins perché sin dall'inizio della pellicola sembra palese che la profondità dello
script si perda negli abissi di un bicchier d'acqua e che il protagonista Daniel Radcliffe, ex
enfant prodige nella cappa di Harry Potter, non sia -quantomeno ancora- capace di reggere sulle sue sole spalle il peso di un intero film che vaga tra le pieghe del già visto. Saremmo anche giustificati perché James Watkins ci aveva ben fatto sperare con la sua opera d'esordio ("
Eden Lake" 2008) quando svezzandosi alla regia cinematografica ci regalava un intenso
survival horror, teso e riuscitissimo, ma dove poteva contare anche sul supporto di un Fassbender -"
chetelodicoafare?"- in forma smagliate (parliamo del periodo in cui l'attore tedesco naturalizzato irlandese iniziava il suo sodalizio col regista McQueen "
Hunger" [2008] seguito poi da "
Shame" [2011]).
Oggi, invece, con questo "The Woman In Black" Watkins non riesce a bissare la brillante prova dell'esordio invitandoci ad entrare in un mondo opaco e poco convincente, stereotipato e mal inscenato dove al di là di pochi attimi di spavento, parentesi facili da sfruttare e non sufficienti per decidere le positive sorti di una pellicola, poco altro ci offre. Di veramente memorabile restano solamente un paio di inquadrature panoramiche che piombando dall'alto dei cieli mostrano lo scenario d'una desolata palude che si perde nell'oscuro abbraccio di una nebbia brontëiana. Troppo poco e troppo casuale perché le suggestioni si interrompono rapidamente scivolando nei profondi meandri del
cliché e noi spettatori ci troviamo a cercare di mandar giù questa sanguinosa zuppa gotica, in vero poco invitante.
02/03/2012