Ondacinema

recensione di Mirko Salvini
7.0/10
Dopo appena diciotto mesi dall'uscita nelle sale americane, arriva da noi "The Way Back", il più recente lavoro di Peter Weir. Distribuito in pochissime copie dalla 01, come il più classico dei fondi di magazzino. Sappiamo come funzionano le cose per quanto riguarda i film al cinema in questi mesi da noi, però va detto che neanche in patria questa opera ha avuto grande fortuna: la Newsmarket lo ha fatto uscire strategicamente a Los Angeles a fine dicembre 2010, nella speranza di avere qualche chances agli Oscar, mossa che ha fruttato al film una candidatura per il miglior make up, quindi non sufficiente per attirare più spettatori in sala quando le copie sono aumentate.
Eppure l'australiano Weir è un regista importante i cui film sono sempre degni di attenzione. Coi suoi lavori degli anni settanta e primi ottanta (penso a "Picnic a Hanging Rock", "Gli anni spezzati" o "Un anno vissuto pericolosamente) ha dato un contributo fondamentale alla conoscenza in occidente del cinema australiano e una volta trasferitosi a Hollywood ha continuato a realizzare pellicole ottime e care al pubblico come "The Truman Show", "Witness" o "L'attimo fuggente". Anche le opere meno fortunate (penso a "Mosquito Coast o al bellissimo "Fearless") hanno dimostrato che si ha a che fare con un regista al di sopra della media. Possibile sia bastata una pausa di sette anni, la distanza che separa "The Way Back dal precedente "Master & Commander" (buoni incassi, critiche positive e diversi riconoscimenti), per mettere Weir nella lista dei registi passati di moda? Mi auguro proprio di no, anche perché questo sessantottenne ha ancora voglia di lavorare (si dice stia preparando un adattamento del libro della scrittrice premio Pulitzer Jennifer Egan "The Keep"), nonostante diversi progetti carezzati non abbiano trovato i finanziamenti necessari.

"The Way Back" è ispirato al libro del polacco Sławomir Rawicz "Tra noi e la libertà", dove l'autore racconta la sua fuga da un gulag siberiano assieme ad altri prigionieri e del loro lunghissimo e faticosissimo viaggio a piedi per raggiungere l'India e, di conseguenza, la salvezza. Un'opera pubblicata negli anni cinquanta (in Italia edita da Corbaccio), in verità frutto del ghost writer Ronald Downing, che ha avuto molto successo, poiché toccava corde sensibili (il nemico rosso e le temutissime prigioni sovietiche) la cui veridicità, però, è stata negli anni oggetto di molte riserve.
Rawicz nel film si chiama Janusz e ha il volto di Jim Sturgess. Negli anni quaranta finisce in carcere anche per colpa della moglie che, evidentemente sotto minaccia, testimonia contro di lui. Il gulag prevedibilmente è un crogiolo di tipi e nazionalità, dove curiosamente la lingua più parlata è l'inglese (per una volta vedere il film doppiato potrà essere utile, visto che risparmierà questa incongruenza). Si va dal dispensatore di buoni consigli Mark Strong al temibile criminale Colin Farrell (qui in uno di quei ruoli over the top cari al generoso attore irlandese), c'è persino un americano che ha il volto granitico di Ed Harris. Janusz e i suoi eterogenei compagni scappano e intraprendono una lunga marcia dal sapore picaresco, allietata dall'incontro con Irena, una ragazza polacca anche lei desiderosa di lasciare la Russia madre/matrigna, interpretata da Saoirse Ronan che per questo film ha ricevuto uno dei suoi cinque Ifta (l'Oscar del cinema irlandese, praticamente ne vince uno ogni volta che alza un dito, meno male che è brava!). L'inverno siberiano, il deserto del Gobi, le distanze macroscopiche, la stanchezza, la mancanza di cibo e di acqua, le micidiali zanzare si rivelano nemici temibili quasi quanto i sovietici ma l'Himalaya è sempre più vicina e tanta fatica e tanti sacrifici alla fine verranno premiati, anche se con un ritorno a casa che sa un po' di appiccicaticcio (e che in effetti si discosta dal materiale di partenza).

Impreziosito dalla fotografia di Russell Boyd, da sempre occhio fedele di Weir, che da il meglio di sé nel riprendere la grandiosità dei paesaggi (non stupisce affatto che la National Geographic figuri tra i produttori del film) e commentato dalle musiche suggestive di Burkhard von Dallwitz, il film probabilmente avrebbe richiesto una sceneggiatura meno didascalica e meno parlata ma resta uno spettacolo di tutto rispetto, forse un po' troppo lungo e un po' troppo "vecchio stile" per generare grandi entusiasmi ma il tocco di Weir si nota, specie quando riprende gli scorci naturali, gli animali e la morte, con economia ammirevole e senza fronzoli.
Alla fine il problema di "The Way Back" è stato perfettamente sintetizzato dal David Hughes che su Empire ha scritto: "è un buon film da un regista che ci ha abituato a grandi film".

07/07/2012

Cast e credits

cast:
Jim Sturgess, Ed Harris, Colin Farell, Saoirse Ronan, Mark Strong, Gustaf Skarsgård


regia:
Peter Weir


distribuzione:
01 Distribution


durata:
133'


produzione:
National Geographic Films


sceneggiatura:
Peter Weir, Keith R. Clarke


fotografia:
Russell Boyd


scenografie:
John Stoddart


montaggio:
Lee Smith


costumi:
Wendy Stites


musiche:
Burkhard von Dallwitz


Trama
Un gruppo di prigionieri evadono da un gulag siberiano e affrontano un viaggio a piedi fino in India che li condurrà alla libertà
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