Fai il film con il divo, fai una commedia, e ti ritrovi "fuori concorso". Così è successo a "The Informant!", opera ultima del prolifico Soderbergh (ancora attendiamo in Italia l'uscita del discusso "
The Girlfriend Experience"), probabilmente considerato un lavoro di minor impegno nel curriculum del regista, tenuto fuori dalla competizione ufficiale all'ultima
Mostra del cinema veneziana. A torto. Perché quello che in apparenza è il solito "
j'accuse" contro le multinazionali statunitensi, benché rivestito da una patina d'ilarità e
black humour (ultimamente se ne vedono parecchi, prendete "Duplicity", che non a caso è firmato da un altro membro del clan Clooney/Soderbergh, Tony Gilroy), è innanzitutto una riflessione a freddo sull'evoluzione della cultura Usa, ancora più raggelante se posta all'ombra dell'ex amministrazione Bush.
"The Informant!" si distacca così dagli altri film "politici" di Soderbergh, come il brioso "Erin Brokovich" o il più cupo "Traffic", entrambi però incapaci di scavare a fondo e trovare una propria cifra stilistica, ma si differenzia pure dai film più "commerciali" del regista, come quelli della
franchise sul ladro Danny Ocean (‘s 11, 12 e 13), perché l'umorismo che attraversa "The Informant" non è di facile presa, ma si basa piuttosto su un certo senso di
understatement tipicamente americano, che l'ingrassato e buffissimo Matt Damon (sempre perfetto nel ruolo del grigio funzionario statale, vedi "The Good Sheperd" o "Syriana") rende con encomiabile perizia. La pellicola di Soderbergh, benché ambientata in una realtà ben definita (i cartelli dicono inizio anni novanta) è situata in un continuum spazio temporale incerto, in cui la musica decisamente
seventies di Marvin Hamlish e la fotografia egualmente retrò di Peter Andrews (aka Soderbergh stesso) contribuiscono ad aumentare lo spaesamento. Potrebbe essere ieri, come anche oggi. E partendo dal presupposto classico, da spy story, in cui Damon, il bravo ragazzo americano, collabora con l'FBI per smascherare un imponente giro di corruzione all'interno della propria azienda, Soderbergh ha il coraggio necessario per cambiare le carte in tavola, trasformando la vicenda in una bizzarra commedia umana, dove il personaggio di Whitacre/Damon assume pian piano sempre nuove sfaccettature, rimanendo costantemente un enigma.
Chi è Mark Whitacre non lo sappiamo e non lo sapremo mai. Un "Forrest Gump" ancora più fortunato che agisce a casaccio, facendosi influenzare dai libri di Crichton ("Sol levante") e dai film con Tom Cruise ("Il socio") e James Bond ("chiamami 0014, sono due volte più furbo di 007"), o magari una volpe in mezzo alle serpi, che ha capito alla perfezione le regole che governano il sistema, decidendo di fregarlo in anticipo? Più che gli snodi narrativi della sin troppo complessa sceneggiatura di Scott Z. Burns, Soderbergh è interessato ad analizzare il suo protagonista, degno mostro partorito dalla cultura popolare Usa, corollario di ambiguità e contraddizioni (fedele alla bandiera, ma ladro lui stesso).
Sì, "The Informant!" è un film che cuoce a fuoco lento, non è perfetto, ma il personaggio di Damon/Whitacre non lo dimenticheremo facilmente, perché quell'idiota siamo noi.