Era solo questione di tempo prima che Mamoru Hosoda arrivasse stabilmente nelle sale italiane, anche grazie all'oculato lavoro della Lucky Red nella distribuzione di anime (anche se l'uscita evento per questo tipo di film non può che lasciare delusi). Dopo "Wolf Children" del 2012, giunge questo lavoro dello scorso anno che riprende l'idea della mescolanza tra uomini e animali in un mondo fantastico. Sebbene stavolta, Hosoda ritorni all'idea del mondo parallelo che aveva fatto capolino nella realtà virtuale del visionario "Summer Wars" e che è probabilmente la grande eredità dell'anime miyazakiano.
Hosoda, attraverso un character design ormai codificato dalla linea nitida e pulita, continua nel solco dello Studio Ghibli, con cui flirta da lontano, esplorando un mondo autoriale ormai riconoscibile. Parlandone qualche anno fa come uno degli autori su cui scommettere per il prossimo futuro, chiudevamo dicendo di attenderci ancora il colpo del K.O. Forse quel film non è ancora arrivato: nonostante i suoi "La ragazza che saltava nel tempo" e "Summer Wars" siano a tutti gli effetti dei cult tra gli appassionati e il suo un nome di richiamo, il passaggio da "Wolf Children" a "The Boy and The Beast", costituenti quasi un dittico sul rapporto genitore-figlio e sull'approdo alla maturità, rappresenta una battuta d'arresto nel percorso del regista quarantottenne. Qui più che l'azzardo visivo, latita la complessità di scrittura e forse anche l'ambizione che sostiene i lavori sopracitati.
"The Boy and The Beast" inizia con l'immagine, cara a Satoshi Kon, di una Tokyo pullulante di persone che non si accorge di un bambino che vaga da solo, trasformando la propria tristezza in rabbia: Ren sta scappando dai suoi tutori dopo la morte della madre, che poco prima aveva divorziato dal marito (che pare ora irrintracciabile); in un vicolo trova una strana creaturina e poco dopo viene avvicinato da due loschi figuri, uno dei quali gli si avvicina mostrandosi quale una sorta di orso antropomorfo che lo invita a seguirlo. Spaventato da quella bestia mostruosa, il ragazzino li segue a distanza e infine li nota scomparire in una minuscola via laterale. Si accorge quindi di non essere più a Shibuya ma di essere capitato in un altro mondo popolato da strane creature mostruose. Hosoda comincia quindi il suo coming of age con il più classico smarrimento in un universo parallelo: la differenza sostanziale è che Ren vuole perdersi, vuole scappare e ritrovandosi in questo mondo casualmente decide di risiedervi diventando discepolo di Kumatetsu che, insieme, al più prestigioso maestro di kendo Iōzen, è il candidato a succedere al "Beast Lord" (un grande bianconiglio che con ironia e saggezza segue le vicende dei protagonisti). La crescita del protagonista che assume l'identità alternativa di Kyūta va in direzione di un allenamento marziale, di uno sviluppo fisico che aiuta anche l'irascibile, testardo ed egoista Kumatetsu che, grazie al bambino, trova la maturità e anche il prestigio di avere finalmente un apprendista che non lo abbandona. Il loro rapporto approssima il rapporto padre-figlio che Kyūta non ha mai vissuto. Trovato uno sbocco per i protagonisti, Hosoda si avvia a un sequenza a montaggio che fa da sommario, riassumendo l'infanzia e l'addestramento di Kyūta che dai nove anni di partenza passa rapidamente ad averne diciassette e ad essere anche un temibile lottatore. Il secondo tempo del film rappresenta il ritorno del protagonista nel mondo degli umani, l'amicizia con una ragazza che lo aiuta a studiare e gli fa venire voglia di un ritorno a una realtà che aveva rigettato: in questa seconda fase, il personaggio di Kumatetsu passa in secondo piano e tutta l'attenzione si focalizza sui dubbi del ragazzo, scisso da un lutto non elaborato e il rancore per l'assenza del padre umano.
Al terzo atto si arriva attraverso un altro montage e a questo punto non si può non rilevare un certo schematismo nella sceneggiatura di Hosoda che imposta un racconto che con pigrizia si dirige verso i consueti binari del coming of age, con intervalli di fantasmagoria visiva e di combattimenti che rappresentano le parti nelle quali il talento visivo del regista può esprimersi liberamente. Peccato anche per alcune intuizioni come il doppio di Kyūta, ossia Ichirōhiko, che appare all'inizio e, rimanendo sempre ai margini della narrazione fino all'exploit finale, assume i connotati di un didascalico doppelganger. L'impostazione pedagogica tipica del genere non è qua coperta da circonvoluzioni narrative degne di note e lo stile di Hosoda rischia di essere a tratti l'unico vero motivo di interesse della pellicola. Infatti, è evidente come, oltre al cammino di crescita (che non vale solo per il ragazzo ma anche per Kumatetsu), Hosoda sia interessato a sbozzare quanti più scenari possibile e a disegnare pirotecniche coreografie di combattimenti che culminano nello scontro tra Kumatetsu e Iōzen e quello per le strade di Shibuya di Ichirōhiko e Kyūta.
A Hosoda è cara la metafora del buco nero che consuma dall'interno l'essere umano, l'oscurità che ci portiamo dentro e con la quale bisogna convivere ma, al contrario di Kumatetsu con Kyūta, non riesce a colmare, se non a a tratti, una certa distanza emotiva che si viene a creare col trascorrere del minutaggio. Un film che rilascia un tepore ma che, forse, voleva riscaldare il cuore.
regia:
Mamoru Hosoda
titolo originale:
Bakemono no ko
distribuzione:
Lucky Red
durata:
119'
produzione:
Studio Chizu
sceneggiatura:
Mamoru Hosoda
montaggio:
Shigeru Nishiyama
costumi:
Daisuke Iga
musiche:
Takagi Masakatsu