Dopo i successi di “Parasite” a Cannes e agli Oscar, il cinema sudcoreano incassa una nuova affermazione con l’Orso d’argento alla regia per Hong Sangsoo, autore di questo “Domangchin yeoja” (“The Woman Who Ran”). Il suo stile minimalista, fatto di lunghe inquadrature fisse e di zoomate improvvise, in cui la scena è riempita da dialoghi accorati, è sicuramente la gemma di questa pellicola, che si muove dentro la cornice limitata della durata, solo 77 minuti, dell’ambientazione quasi completamente in interni, ma che appunto grazie al lavoro di sottrazione di Hong Sangsoo espande per così dire la sua portata ben oltre il campo della visione.
Mentre suo marito è in viaggio d’affari, Gamhee (interpretata da Kim Minhee, compagna e musa del regista) approfitta per far visita a due amiche che non vede da tempo, appena fuori Seoul. Con la prima, Youngsoon, che vive in campagna, si intrattiene per un barbecue, chiacchierando di cibo, di uomini, della loro amicizia. Durante la seconda visita, a casa della vivace Suyoung, i discorsi sembrano ripetersi; però, in entrambi i casi, compariranno per motivi completamente differenti due uomini a rompere l’armonia tra le amiche. Non ci riusciranno, sembra suggerirci il regista. Per Hong Sangsoo l’uomo è dunque un elemento di disturbo nella vita di queste donne, che sono rivelate nella piena maturità femminile, da vicino, con tono sommesso. Succederà anche nel terzo incontro, stavolta non pianificato, con la direttrice di un centro culturale, una vecchia amica da cui Gamhee si era allontanata. Eppure, anche con quest’altra donna arriva un momento intimo, familiare, che sembra voler riportare il sereno. Puntualmente sbucherà il terzo uomo come elemento disturbante.
Le tematiche del cinema di Hong Sangsoo si ripetono in parecchie sue opere: gli incontri, i dialoghi, il cibo, gli animali, la netta separazione tra mondo femminile e maschile. Il prolifico autore coreano, grande frequentatore dei festival e giunto al suo ventiquattresimo film, aveva già firmato l’ottimo “Right Now, Wrong Then” che nel 2015 aveva trionfato a Locarno. La struttura divisa in tre momenti differenti ricorda invece le vicissitudini di Anne di “In Another Country”, in concorso a Cannes nel 2012, anche se lì Isabelle Huppert dava corpo a tre “versioni” della stessa donna. Qui invece la protagonista Gamhee è seguita in un momento solo apparentemente banale nella sua vita, perché invece, come ripete lei stessa, è la prima volta da cinque anni, cioè da quando si è sposata, che passa un giorno da sola senza il marito. Ma non è lei “la donna che scappò”. Si tratta di una madre che ha abbandonato una ragazza, vicina di casa di Youngsoon, che si è data all’alcool, un altro elemento che ritorna nelle opere del cineasta asiatico. Eppure Hong Sangsoo gioca anche sull’illusione che la fuga riguardi anche la sua protagonista Gamhee. Una fuga fuori città, nella natura, via dal caos dei sentimenti, alla ricerca del vero sé? Forse. Difatti, la natura è presente in questo film come un mondo parallelo, ma non distante. Come la montagna che domina Seoul a cui le donne lanciano i propri sguardi. E come il mare, placido, che Gamhee si troverà a osservare.
cast:
Kim Minhee, Seo Younghwa, Song Seonmi, Kim Saebyuk, Lee Eunmi
regia:
Hong Sangsoo
titolo originale:
Domangchin Yeoja
durata:
77'
produzione:
Jeonwonsa Film Co. Production
sceneggiatura:
Hong Sangsoo
fotografia:
Kim Sumin
montaggio:
Hong Sangsoo
musiche:
Hong Sangsoo