Ondacinema

recensione di Emanuele Richetti
8.0/10
Inizia come un war movie ambientato nel 1966, "The Post", con l'esercito americano impegnato nella guerra del Vietnam. A ben vedere poi, "The Post" continua sempre come un war movie, sì, ma ambientato nel 1971, con i giornalisti del Washington Post impegnati a lottare affinché il contenuto dei Pentagon Papers - documenti che rivelano agghiaccianti retroscena circa quella stessa guerra vietnamita - possa essere diffuso. Se infatti "la stampa deve essere al servizio dei governati e non dei governanti", ecco che quei coraggiosi giornalisti non sono altro che i diretti rappresentanti degli altri, coraggiosi uomini in Vietnam. Ed entrambi questi gruppi combattono la propria guerra, difendono i propri valori, perseguono i propri obiettivi. "The Post", come tutti i grandi film di inchiesta giornalistica - e come tutti i grandi film di finissima scrittura - è un war movie dove ai proiettili si sostituiscono le parole, dove le varie fazioni combattono a colpi di dialoghi fulminanti e battute beffarde. Ed è un film, "The Post", dove ogni minimo dettaglio è orchestrato dalla magistrale direzione di uno dei più grandi registi viventi: Steven Spielberg.

"The Post", ovvero il terzo atto - dopo "Lincoln" e "Il ponte delle spie" - di quella che sembra essere un'analisi dei fondamenti della democrazia americana e, insieme, un'indagine all'interno dei meccanismi di potere statunitensi. La vicenda è quella immediatamente precedente a "Tutti gli uomini del presidente", di cui l'ultima fatica di Spielberg rappresenta in pratica un prequel (basti osservare l'inquadratura finale, che si allaccia evidentemente all'inizio dell'opera di Alan J. Pakula): nel 1971 il New York Times e il Washington Post incominciano a pubblicare sulle loro pagine i Pentagon Papers, documenti top-secret che rivelano i rapporti tra il governo degli Usa con quello del Vietnam. La diffusione del contenuto di quei documenti innescherà una strenua lotta tra la carta stampata - in particolare Katherine Graham (Meryl Streep), prima donna alla guida del Washington Post, e Ben Bradlee (Tom Hanks), direttore di quello stesso giornale - e le istituzioni americane.

Come già accennato, "The Post" rappresenta la terza tappa di un discorso che, partendo dal racconto di una precisa vicenda storica con protagonista, volente o nolente, una parte delle istituzioni statunitensi, mira a impartire una lezione di straordinaria attualità politica. Perché al di là del classicismo spielberghiano, al di là del legame indissolubile con il classico di Pakula, al di là di qualsiasi altra cosa, l'opera di Spielberg è un film che parla dell'America contemporanea: la battaglia portata avanti dal Washington Post - la tenacia e la decisione dei suoi giornalisti nel far valere i propri inviolabili diritti, nel difendere la libertà di stampa e nel cercare di riportare a galla la verità - acquista un valore ancora maggiore alla luce delle recenti politiche statunitensi. E se questa lotta in difesa della libertà di stampa è il tema più evidente e immediato della pellicola, il vero cuore della stessa risiede però nella figura di Katherine Graham. Il film è infatti l'elogio della sua forza, della sua determinazione e del suo coraggio: Katherine è una donna indipendente, forte e intelligente (seppure a volte sbadata, ingenua, umana) e questo lungometraggio è in fondo soprattutto la storia della sua audacia nel momento cruciale.

C'è una scena magnifica, in "The Post", ed è proprio il racconto di quel momento decisivo. Meryl Streep (da quanto tempo non si vedeva così intensa, commossa e commovente) è impegnata nella telefonata più importante: deve definitivamente decidere se pubblicare o meno, l'indomani, i Pentagon Papers sul proprio giornale. Spielberg circonda l'attrice con la sua macchina da presa, si muove attorno a lei guardandola dall'alto verso il basso, poi inquadra il suo viso, che si volta improvvisamente verso destra, scavalca il campo e inquadra il movimento improvviso del viso dalla parte opposta, verso sinistra, per suggerire lo smarrimento del personaggio. Dopo averla ripresa in figura intera e in mezzo busto, Spielberg passa, con una lenta e inesorabile carrellata in avanti, a un primissimo piano. È il punto di non ritorno: Katherine, in lacrime, ha appena deciso che, sì, le informazioni contenute nei Pentagon Papers verranno diffuse.

Ma "The Post", che è pellicola incredibilmente stratificata, è anche un atto d'amore verso l'informazione analogica, verso la carta stampata e, in un certo senso, un grande atto d'amore verso il cinema. Nell'era del digitale, Spielberg dichiara il proprio amore verso il complesso processo che porta alla nascita dei giornali, alla loro stampa e alla loro scrittura: un amore fuori tempo massimo verso tutto ciò che sta dietro (o dentro) quel lavoro. E forse, ancora una volta, attraverso la ripresa insistita e compiaciuta di quelle macchine, di quei meccanismi, Spielberg dichiara il suo amore verso l'arte cinematografica, verso la lenta costruzione dell'immagine, verso un modo di fare cinema, anche questo, fuori tempo massimo. Con quest'opera, poi, il regista afferma anche la propria fiducia nella parola e nella scrittura, mettendosi al servizio di una sceneggiatura - di Liz Hannah e Josh Singer - piena di dati, nozioni, avvenimenti. E lo fa, però, con una messinscena che trasuda classe ed eleganza da ogni fotogramma.

Ha dell'incredibile la semplicità con cui Spielberg riesce a muovere la macchina da presa, la fluidità dei long take con cui descrive gli stretti ambienti all'interno della redazione giornalistica, la capacità di creare sequenze di grande tensione con un montaggio serratissimo. La sua classe è lì, in ogni inquadratura, a testimoniarci un talento fuori dal comune, valorizzato ancora una volta dalla fotografia di Janusz Kaminski (guardate, ad esempio, la splendida scena dell'entrata di Meryl Streep nella borsa degli Stati Uniti, in montaggio alternato con la ricerca di Dan Ellsberg). Peccato, allora, per qualche piccola caduta (come l'avversaria in tribunale con il fratello in Vietnam) e per le musiche un po' troppo smielate di John Williams. Perché "The Post" ci riconsegna uno Spielberg in grandissima forma attraverso un J'accuse che - come un altro grande film politico di poco tempo fa, "Detroit" di Kathryn Bigelow - parte da un fatto storico per guardare dritto al presente.
"The Post" è un ritratto politico retorico, democratico e di grande potenza visiva; il lavoro di un autore che combatte nel presente, raccontando la Storia, con l'unica arma che ha a disposizione: il Cinema.

01/02/2018

Cast e credits

cast:
Tom Hanks, Zach Woods, David Cross, Jesse Plemons, Carrie Coon, Alison Brie, Matthew Rhys, Bruce Greenwood, Bradley Whitford, Tracy Letts, Bob Odenkirk, Sarah Paulson, Meryl Streep, Michael Stuhlbarg


regia:
Steven Spielberg


distribuzione:
01 Distribution


durata:
116'


produzione:
Amblin Entertainment, DreamWorks, Participant Media, Pascal Pictures, Star Thrower Entertainment


sceneggiatura:
Liz Hannah, Josh Singer


fotografia:
Janusz Kaminski


scenografie:
Rick Carter


montaggio:
Sarah Broshar, Michael Kahn


costumi:
Ann Roth


musiche:
John Williams


Trama
1971: Katharine Graham (Streep) è la prima donna alla guida del The Washington Post in una società dove il potere è di norma maschile, Ben Bradlee (Hanks) è il duro e testardo direttore del suo giornale. Nonostante Kaye e Ben siano molto diversi, l’indagine che intraprendono e il loro coraggio provocheranno la prima grande scossa nella storia dell’informazione con una fuga di notizie senza precedenti, svelando al mondo intero la massiccia copertura di segreti governativi riguardanti la Guerra in Vietnam durata per decenni. La lotta contro le istituzioni per garantire la libertà di informazione e di stampa è il cuore del film, dove la scelta morale, l’etica professionale e il rischio di perdere tutto si alternano in un potente thriller politico. I due metteranno a rischio la loro carriera e la loro stessa libertà nell’intento di portare pubblicamente alla luce ciò che quattro Presidenti hanno nascosto e insabbiato per anni.