Tertuliano Maximo Afonso, il protagonista di “L’uomo duplicato” di José Saramago, è un professore di storia che scopre un suo clone vedendo un film. Sconvolto, inizia un’indagine visionando una serie di pellicole alla ricerca del suo sosia. Nasconde agli altri la sua ossessione spacciandola per una ricerca sociologica, adducendo la tesi che ci sono significative rappresentazioni ideologiche nella settima arte, ma soprattutto nelle produzioni di serie b, “quelle che in genere non si presta nessuna attenzione, ma che sono le più efficaci perché colgono alla sprovvista lo spettatore (Saramago, 2005, p.125).
Questa introduzione per dire che “The Hunt” di Craig Zobel, ultima produzione di Jason Blum (che, ormai, con la sua Blumhouse ha creato una factory importante e determinante per i film di genere a basso costo, e non solo) può rientrare a buon diritto in questa definizione, anche se con necessari distinguo.
“The Hunt” è l’ennesima riduzione sullo schermo del racconto “La partita più pericolosa” di Richard Connell: la caccia all’uomo da parte di ricchi privilegiati. “Partita pericolosa” di Irving Pichel ed Ernest B. Schoedsack è stato il capostipite nel 1932 e ha avuto altri quattro remake nel corso dei decenni da parte di diversi registi. Quella di Craig Zobel è la sesta versione in ordine di tempo. In questo caso abbiamo un aggiornamento tematico alla contemporaneità, riducendo lo scontro alle due visioni politiche negli Stati Uniti tra quella progressista e quella trumpiana. Tanto evidenti che “The Hunt” ha scatenato feroci polemiche in patria da far intervenire contro anche il Presidente in persona alla sua uscita lo scorso anno.
Detto ciò, è comunque interessante vedere un gruppo di liberal ricchissimi che scherzano sull’ottusità dell’elettorato sottoproletario di Trump e sul dare loro la caccia in una fantomatica riserva. Lo scherzo però viene preso sul serio sui social proprio da quel pubblico, creando una bufera mediatica che porta al licenziamento o alle dimissioni di queste persone. Ecco che allora, la finzione diventa realtà nel momento in cui Athena Stone (Hilary Swank) per pura vendetta organizza veramente una caccia all’uomo (e alla donna) in un maniero in un paese straniero, rapendo dodici persone che sono state tra le più attive nella calunnia e nell’operazione di hating.
All’interno di una manichea divisione politica, furbescamente sfruttata, un po’ datata, così come l’ennesima condanna dei social come veicolo di notizie false e di leggende metropolitane, “The Hunt” innesta però degli elementi di un certo interesse.
Il primo è che diventa difficile per lo spettatore identificarsi con chi caccia e con chi è cacciato, con un annullamento dei confini etici: i cosiddetti liberal, che partecipano a campagne sanitarie, finanziano progetti per i più poveri, sono impegnati per rendere il mondo un posto più pulito e vivibile, in realtà si trasformano in assassini spietati appena il loro status quo viene messo in discussione. Così come le povere vittime, in realtà sono omofobi, antiabortisti, razzisti, violenti. Abbiamo una rappresentazione del caos sociale, dove le norme comportamentali sono sovvertite e messe in continua discussione. All’interno di queste fazioni, però, abbiamo la variabile indipendente nel personaggio di Crystal Creasey (Betty Gilpin) che per un errore di omonimia viene scambiata per uno degli odiatori di Athena. E in effetti Crystal non appartiene né all’una né all’altra parte: non è ricca, ma è intelligente e culturalmente preparata; non è una violenta, ma è un ex soldato che ha combattuto in Afghanistan. È l’unica delle dodici “prede” che ha un nome proprio, è l’unica che non segue le regole imposte ma fin dalle prime inquadrature si comporta e pensa come individuo e non come massa. Crystal rappresenta l’elemento nuovo, e sovvertitore, che ideologicamente supera entrambi i blocchi contrapposti.
Un secondo elemento d’interesse è l’esplicito richiamo al femminismo contemporaneo americano in cui le due figure forti e dominanti siano due donne. La descrizione però è ricalcata su cliché e modelli maschili: sia Athena sia Crystal non si differenziano molto nella loro rappresentazione di una cultura paternalistica e dove i comportamenti e le azioni messe in scena dalle due protagoniste sono intercambiabili con altrettanti personaggi maschili.
“The Hunt” è il quarto lungometraggio di Craig Zobel e dal punto di vista stilistico non si discosta molto da altre produzioni a basso budget della Blumhouse: mezzi produttivi ridotti all’osso, una o due star di richiamo e poi una pletora di attori un po’ decaduti o di terza fila, scene monodimensionali, sceneggiature rielaborate su storie note. Condito il tutto con una corretta quantità di azione e una manciata di scene splatter distribuite lungo il film.
Uscito in Italia direttamente in Video On Demand a causa della pandemia, Zobel dirige il lavoro senza infamia e senza lode, con però in aggiunta una forte dose di ironia che dona la giusta dimensione di spettacolarità.
cast:
Betty Gilpin, Hilary Swank, Amy Madigan, Ike Barinholtz, Glenn Howerton
regia:
Craig Zobel
titolo originale:
The Hunt
distribuzione:
Universal, VOD
durata:
90'
produzione:
Blumhouse Productions, White Rabbit Productions
sceneggiatura:
Nick Cuse, Damon Lindelof
fotografia:
Darran Tiernan
scenografie:
Matthew Munn
montaggio:
Jane Rizzo
costumi:
David Tabbert
musiche:
Nathan Barr