Ci doveva essere James Gray al timone di "The Gray Man", almeno stando alle prime intenzioni, quando ormai un decennio fa un primo abbozzo di sceneggiatura tratta dal romanzo di Mark Greaney girava per gli studios. Poi non se ne fece nulla e, come spesso accade, il copione rimase in qualche cassetto per diversi anni, fino a che Netflix, nel post-pandemia, ha riesumato il progetto affidandolo ai fratelli Russo. Non sapremo mai che cosa avrebbe combinato il geniale regista newyorkese di pellicole indimenticabili come "Two Lovers" o "I padroni della notte", ma possiamo dire che l'esito finale di quanto realizzato dai registi che hanno seguito praticamente tutta la saga degli Avengers è quanto di più prevedibile potesse essere concepito.
"The Gray Man" è, innanzi tutto, la perfetta ideazione da piattaforma streaming: spettacolare a dismisura, gargantuesca quanto a coefficiente di esplosività, assolutamente basica sul profilo della costruzione narrativa; tutti elementi perfetti per quella visione stop and go che si addice perfettamente alla fruizione online. Insomma, siamo di fronte a un lungometraggio che può essere interrotto e ripreso quante volte si vuole, proprio per la sua abilità (sempre che di abilità si possa parlare) nel tenere totalmente separati la sospensione dell'incredulità da una parte e la coerenza di un racconto realistico dall'altra.
La vicenda è fondamentalmente elementare: agente segreto e letale al soldo della Cia incastrato da capi corrotti perché ha visto o sentito troppo costretto a fuggire dai suoi ex-datori di lavoro ora intenti a eliminarlo. Alla testa del gruppo di uomini che gli danno la caccia un altro agente sua nemesi, immorale, sadico, incapace di ragionare. Da qui ai titoli di coda, "The Gray Man" punta tutto sul carisma dei due interpreti, da una parte Ryan Gosling che quasi fa il verso ai suoi "eroi loro malgrado" di refniana memoria e dall'altra parte Chris Evans che, lavorando d'intesa con i registi che conosce benissimo, si limita a virare sul fronte villain quell'approccio ironico e scanzonato che i Russo gli chiedevano ai tempi dei kolossal Marvel.
Nonostante lo scarso appeal dell'intera operazione filmica, siamo di fronte in realtà a una pellicola che suggerisce diverse riflessioni sull'evoluzione e lo stato di salute del genere action ai tempi di Netflix. L'azione declinata dai fratelli Russo è pura estetica del movimento di macchina, del montaggio frenetico, della scenografia che non bada a spese. Insomma, è solo puro dinamismo fisico. Tutto, in altre parole, accade davanti alla macchina da presa senza alcun ragionamento alla base; è cinema elementare allo stato puro, senza che questo voglia significare un insulto o un attacco a questo modo di concepire un film di genere.
Non sappiamo quanto si tratti di una scelta pianificata o quanto di limiti autoriali alla radice del tutto, fatto sta che "The Gray Man" è l'emblema di come questo tipo di cinematografia si è spogliata di ogni ancoraggio all'idea di coerenza narrativa che arricchiva le già godibili visioni di film d'azione degli ultimi trent'anni. Si prendano come paradigma i due "Die Hard" diretti da John McTiernan, "Trappola di cristallo" e "Duri a morire", titoli chiaramente d'ispirazione per i Russo. Ebbene, in quei frangenti, la pur assurda messa in scena adrenalinica manteneva sempre e comunque un appiglio al reale, al possibile, al mondo del vero. Era questo che rendeva quelle opere a loro modo speciali. Adesso questa adesione viene vista con fastidio, quasi come una zavorra. E allora via, didascalie in bella mostra sullo schermo, passaggi inverosimili da un luogo all'altro del globo, dialoghi che diventano un modo per riempire lo spazio tra uno scontro a fuoco e una scazzottata e il gioco è fatto.
In questo notiamo anche una certa simmetria proprio con l'approccio che già si era notato nell'universo dei comic movies. Anche lì, partendo dai modelli "alti", da Sam Raimi a Tim Burton, i fratelli Russo compivano un'operazione di consapevole spoliazione della struttura, fino a lasciarne un modello iper-muscolare fatto solo e soltanto di sensazioni immediate e visivamente potenti; fino ad arrivare ai due capitoli finali, "Infinity War" ed "Endgame", che addirittura presentavano un cortocircuito inverso. Infatti, tanti erano i momenti di pura foga cinetica che diventava difficile seguire un filo diretto del narrato.
La sceneggiatura di "The Gray Man" non ha alcun motivo di profondità: non l'intreccio generale, non l'intrigo del fronte mystery, né la costruzione dei personaggi principali che, in realtà, si muovono come pedine di un videogioco, con una consequenzialità di causa-effetto esasperatamente banale. Forse, però, sbagliamo a vedere tutto ciò come occasioni perse, forse siamo davanti, anche sul fronte film come sul versante serial, a una rivoluzione silenziosa, a una trasformazione del cinema di genere che, come una creatura camaleontica, si adatta ai nuovi supporti distributivi per non soccombere e autori come i fratelli Russo, allora, diventano i pionieri di un nuovo mondo, di una presa di coscienza ulteriore sulle esigenze di un pubblico diverso rispetto a quello della grande sala. Resta, indubbiamente, del buono in questo spettacolo scaccia-stress, in questa scatenata follia di riprese assemblate con grande professionalità, con una maestria indiscutibile nel riproporre inseguimenti automobilistici, scene di assalto armato, esplosioni e sfide corpo a corpo in una veste rinnovata e ulteriormente spettacolarizzata rispetto al passato.
cast:
Ryan Gosling, Chris Evans, Ana de Armas, Jessica Henwick, Regé-Jean Page
regia:
Anthony e Joe Russo
distribuzione:
Lucky Red, Netflix
durata:
129'
produzione:
AGBO, Roth/Kirschenbaum Films
sceneggiatura:
Joe Russo, Christopher Markus e Stephen McFeely
fotografia:
Stephen F. Windon
scenografie:
Nancy Haigh
montaggio:
Pietro Scalia, Jeff Groth
costumi:
Judianna Makovsky
musiche:
Henry Jackman