"Ah, gioventù, gioventù!"
"Quando non sanno più cosa dire dicono: gioventù, gioventù…"
Da "Il gabbiano" di Anton Pavlovič Čechov
"Terrorizers" è un film del 1986 scritto e diretto da Edward Yang che racconta i cambiamenti della società urbana taiwanese in anni di rampante modernizzazione e democratizzazione, quelli che hanno contribuito a fare del paese asiatico ciò che è adesso, dedicandosi in particolar modo alla gioventù come principale partecipante (e vittima) del cambiamento sociale, culturale e tecnologico. "Terrorizers" è un film del 2021 scritto e diretto da Ho Wi-ding che racconta i cambiamenti della società urbana taiwanese in anni di rampante modernizzazione e democratizzazione, quelli del conflittuale presente di Taiwan, dedicandosi in particolar modo alla gioventù come principale partecipante (e vittima) del cambiamento sociale, culturale e tecnologico.
No, l’autore di questo pezzo non ha premuto per sbaglio ctrl+c e ctrl+v e non l’ha fatto neppure Ho Wi-ding, il quale, data la difficoltà di adattare la pietra miliare di Yang al presente tramite un remake, ha optato per il completo aggiornamento del presupposto del film del 1986, realizzando un film saldamente (forse pure troppo) legato alla contemporaneità di Taipei e dell’umanità che la popola in questi anni di crescente indefinitezza e conflittualità. Ambedue i "Terrorizers" condividono la tri-partizione delle linee narrative le quali si intrecciano in maniera casuale, arricchendosi e risignificandosi l’un l’altra (seppur in questo caso vi sia una regia occulta dietro alcuni di questi causali intrecci), così come l’uso di una regia elegante e compassata, che punta a immergere gli spettatori nella realtà dei protagonisti e quindi nella loro confusione, fornendo raramente coordinate spazio-temporali tramite enstablishing shot. Il mondo però è cambiato e se la realtà in cui i personaggi del film di Yang si perdevano era in primis quella materiale dell’opulenta ricchezza, della carne pulsante, della carta, della fotografia, ora i personaggi di Ho si immergono in una realtà sempre più virtuale, inafferrabile non perché opaca o troppo ricca di elementi ma perché si trova su un altro piano.
La virtualità, nella sua accezione più ampia, è difatti il nucleo centrale del quarto film del regista malaysiano di nascita e taiwanese d’adozione (ma di origini cinesi), insinuandosi, seppur su più livelli, nelle vite dei suoi protagonisti: è, ad esempio, nella realtà virtuale in cui si immerge costantemente Ming-liang, il quale ha già abdicato alla vita nel mondo concreto (ha sostanzialmente abbandonato la scuola e pare privo di quasi ogni interesse nel mondo fuori da sé per la maggior parte della vicenda) e si dedica principalmente a videogiochi di vario tipo, fuoriuscendone solo per creare un mondo composto dalle proprie bugie così da poter conformare la realtà circostante ai suoi desideri. Ma è prigioniera della virtualità anche Monica, persa nel sogno di una carriera da attrice cinematografica e perseguitata dal "fantasma" di Missy, il suo alter ego digitale da cam-girl che in passato l’ha resa celebre all’interno di certi circoli, ed eternata come parte di una fantasia (sessuale e non solo) durata fin troppo a lungo e con troppe conseguenze. In maniera simile anche la giovanissima Kiki, apparentemente priva di carattere e interessi, coltiva un sogno irrealizzabile che appartiene a sua volta alla sfera del virtuale e dell’attorialità, ovvero diventare una cosplayer professionista a Tokyo, dovendo interpretare vari personaggi per poter esprimere al meglio sé stessa, i propri sentimenti e le proprie pulsioni.
Appartengono al reame del virtuale anche gli altri due protagonisti di "Terrorizers", Yu-fang e Xiao Zhang, rispettivamente un’attrice teatrale e un cuoco giramondo che costantemente afferma di voler aprire un locale facendolo forse solo nel finale, ma soprattutto nell’accezione di "virtuale" in quanto "potenziale", dal momento che la loro storia d’amore sta a rappresentare la possibilità di un avvenire libero e affermato nel mondo concreto, al di fuori dalla circolarità in cui le vicende degli altri protagonisti sembrano intrappolate (Monica deve espatriare per poter, forse, imprimere un cambio di passo alla propria vita). Il primo degli atti in cui è diviso il film di Ho si concentra infatti sulla love story fra i due, il cui percorso lineare di maturazione reciproca fino allo stabilimento di una consolidata relazione eteronormativa è destinato a collassare appena si esce dai confortanti (nonostante il finale violento) confini del primo atto, tanto per ribadire l’impossibilità, o quantomeno la difficoltà, di ottenere la stabilità in un mondo in costante mutamento. La convenzionale storia d’amore (due compagni di classe del liceo si reincontrano dopo anni e, cambiati, imparano a comprendersi fino a decidere di essere fatti l’una per l’altro) pare perciò destinata a sgretolarsi in una serie di rivoli narrativi nel corso degli atti seguenti, dando così spazio alla più manifesta esplorazione della società taiwanese contemporanea e in particolar modo della sua gioventù.
Riproponendo la (circa) tripartizione narrativa a ritroso che aveva caratterizza il precedente film di Ho Wi-ding, "Cities of Last Things", "Terrorizers" si rifà in modo piuttosto scoperto alla lezione di "Rashōmon" di Kurosawa Akira e quindi alla moltiplicazione dei punti di vista su un evento come tramite per esibire l’inconsistenza di tutti i racconti e l’indefinitezza del reale, un tema che viene reso ancora più significativo dal focus sul virtuale della pellicola. Ognuno dei capitoli del film espande il punto di vista di uno dei protagonisti, andando non a ricostruire la "verità" (come avviene invece nel recente "The Last Duel" di Ridley Scott) ma a complicare il quadro già labirintico e mesmerizzante della Taipei del presente e della sua framentata gioventù. La libertà con cui fa ciò è forse una delle caratteristiche più notevoli della pellicola, a dimostrazione della libertà e varietà della società taiwanese e della sua cinematografia, una stratificazione di realtà concreta e virtuale, di raffinata eleganza e pacchiana volgarità, di desideri, sogni, umori e passioni (le scene di sesso e amoreggiamenti vari infatti abbondano, arrivando quasi a stuccare). Da questo punto di vista "Terrorizers" del 2021 è un degno erede del capolavoro omonimo, un attraversamento di una società in continua trasformazione, dedicandosi qualche spazio anche a fenomeni squisitamente contemporanei come l’uso della realtà virtuale e aumentata e la nuova misoginia degli incel e dell'ideologia redpill, di cui Ming-liang è un perspicace esempio, un vero e proprio nice guy nella sua interpretazione della realtà che si trasforma in un manipolatorio (aspirante) omicida/vendicatore, con echi degni del supreme gentleman Elliot Rodger.
Al netto dell’interesse di certe tematiche e del loro trattamento, e di una regia solida e precisa, il film di Ho Wi-ding sconta una marcata irresolutezza, forse conseguenza dei suoi protagonisti e delle loro vicende aperte, troppo aperte, e una conseguenza fatale, per sfuggire alla quale al regista è mancato il talento o l’inventiva. "Terrorizers" è, come il suo esimio precursore, un film che vive di momenti e di interpreti (soprattutto la notevole Moon Lee) che a volte riescono a caricare sulle proprie spalle la riuscita di intere sequenze, ma manca dell’opera di armonizzazione fra le varie componenti che faceva del film di Edward Yang un, instabile, capolavoro. La pellicola di Ho è invece un’opera impressionista, come d’altronde lo è il "Notturno op. 9 n. 2" di Chopin che è stato non a caso scelto per accompagnare tutti i momenti più significativi della narrazione, la cui qualità sta appunto non nella precisione del gesto (il mancato controllo sul racconto che viene solo parzialmente ridimensionato dalla scomposizione narrativa à la "Rashōmon") ma nella sfaccettatezza dei colori e dei toni che il gesto riesce a riprodurre. Da questo punto di vista l’ambizioso e irresoluto "Terrorizers" può definirsi un riuscito film dei nostri tempi e non si sa mai che un giorno sarà ritenuto un capolavoro mancato. Per il momento non resta che perdersi nello sguardo di Yu-fang alla ricerca di qualcuno che, forse, per una volta, non l’abbia abbandonata e ritrovare, solo per un attimo, un barlume di senso.
cast:
Austin Lin, Moon Lee, JC Lin, Annie Chen, Yao Ai-ling, Ding Ning, Huang Shang-ho, Shin
regia:
Ho Wi-ding
titolo originale:
Qing Chun Shi Lian
durata:
127'
produzione:
Changhe Films, Rumble Fish Productions
sceneggiatura:
Ho Wi-ding, Natasha Sung
fotografia:
Jean-Louis Vialard
scenografie:
Hsiao Jen-hsieh
montaggio:
Lee Huey, Ho Wi-ding
costumi:
Alice Hsiao
musiche:
Cheer