Nata a Kiev nel 1903, trasferitasi a Parigi negli anni venti, Irène Némirovsky divenne, non ancora trentenne, una delle voci più interessanti della letteratura francese. Solo le leggi razziali introdotte dagli occupanti nazisti fermarono l'ascesa di questa autrice di religione ebraica. Continuò a pubblicare solo grazie a uno pseudonimo, aiutata in questo dall'editore Gringoire, tra l'altro apertamente antisemita, e non smise mai di scrivere. Quando fu deportata nel lager di Auschwitz portò con sé il manoscritto di quella che sarebbe dovuta essere la sua opera più ambiziosa, una vera "tragedia umana" in cui veniva raccontata, in cinque sezioni, la vita della Francia all'epoca di Petain, dove emergevano le contraddizioni, le ipocrisie e i sotterfugi di un paese dal quale La scrittrice si sentiva tradita. Di "Suite francese" saranno completate (almeno per quanto riguarda la prima stesura) giusto le prime due parti ("Temporale di giugno" e "Dolce"), visto che Irène Némirovsky e il marito Michel Epstein non faranno mai ritorno dai campi di concentramento. Miracolosamente le figlie riuscirono a recuperare una valigia di effetti personali appartenuta alla madre e, dopo un'elaborazione del lutto evidentemente molto lunga e dolorosa, decisero di contattare un editore per pubblicare l'ultimo lavoro dell'autrice che nel frattempo era stata quasi completamente dimenticata. Denoël pubblica il libro nel 2004, più di sessant'anni dopo la morte della Némirovsky, e diventa subito un caso internazionale, ridando alla scrittrice il meritato posto fra gli autori del novecento francese. Come si può vedere, una vicenda umana che in epoca di biopic sarebbe il soggetto perfetto per un film; intanto però è arrivata la trasposizione di quella che nel frattempo è diventata l'opera più conosciuta della sfortunata autrice.
Prodotto, tra gli altri, dalla BBC e dai fratelli Weinstein, "Suite Francese" è stato affidato alle mani dell'inglese Saul Dibb, famoso soprattutto per il film d'ambientazione settecentesca "La Duchessa" con Keira Knightley e per la miniserie a tematica lgbt "The Line of Beauty" (dal libro di Alan Hollinghurst), prodotta anch'essa dalla BBC. Meno piatto della maggior parte dei registi di provenienza televisiva (anche se immagino che in molti non saranno d'accordo, considerata la stima di cui godono alcune produzioni da piccolo schermo negli ultimi tempi), ma non dotato di una spiccata personalità, Dibb si avvale dell'abile direttore della fotografia spagnolo Eduard Grau ("
A Single Man") per rendere il film visivamente più interessante e i risultati sono particolarmente felici nelle scene in campo aperto o nella scelta dei macro per scrutare meglio le sfumature attoriali. Per quanto riguarda la sceneggiatura, Dibb e il suo collaboratore Matt Charman, invece, accantonano il corale "Temporale di giugno" per concentrarsi su "Dolce", evidentemente attratti dalla "relazione proibita" tra un ufficiale della Wehrmacht e la moglie francese di un prigioniero di guerra al centro della trama. Nonostante la vicenda sia ambientata a Bussy (campagna parigina), gli attori sono in prevalenza anglofoni e il doppiaggio in questi casi si rivela utile se non altro nel mascherare questa incongruenza. D'altronde quando hai l'occasione di ammirare un'attrice come Michelle Williams all'opera, passi volentieri su tutto. La protagonista di "
Blue Valentine" interpreta Lucille, la giovane moglie che vive con la suocera dispotica (Kristin Scott Thomas, attrice di cui non si dirà mai abbastanza bene ma che qui, anche a causa di un ruolo piuttosto convenzionale, fa rimpiangere la madre diabolica di "Solo Dio perdona") e che si scopre attratta dall'ufficiale tedesco Bruno Von Falk (il belga Matthias Schoenaerts sempre più interessato a imitare la sua partner in "
Un sapore di ruggine e ossa" Marion Cotillard nel portare avanti una carriera internazionale) che le due donne sono costrette ad ospitare in casa. Anche se in teoria dovrebbero detestarsi, Lucia e Bruno hanno molte cose in comune: sono due persone gentili, amano la musica e, cosa che più conta, hanno un bisogno fortissimo di mettere fine alla loro solitudine. I rispettivi coniugi sono lontani e in nessuno dei due casi ci troviamo di fronte a matrimoni particolarmente felici. Nonostante le resistenze da parte di lei, "l'attrazione fatale" fra i due cresce e Lucille, a rischio di perdere la reputazione da parte dei suoi concittadini (neanche loro comunque dei santi), decide di viverla; ma gli eventi cominciano presto a precipitare. I due protagonisti sono stati senza dubbio la scelta più felice di "Suite Francese"; la Williams è ammirevole nel far trasparire le emozioni del suo personaggio, giocando sempre sui mezzi toni e sottraendo. Il risultato è una performance per niente inferiore rispetto a quelle premiate nei grandi festival o acclamate durante la stagione dei premi (spiace in effetti che la decisione di rimandare l'uscita del film le abbia impedito di partecipare ai giochi di quest'anno). La sua abilità nel costruire il personaggio è tale da rendere praticamente inutili gli interventi saltuari della stessa attrice in voce over. Schoenaerts nonostante la sua figura imponente si è già dimostrato in passato capace di rendere credibili personaggi rudi e fragili al tempo stesso, quindi è perfetto per interpretare un ruolo apparentemente minaccioso ma in fondo dolce; inoltre è inaspettatamente elegante nella sua uniforme tanto da rendere comprensibili accostamenti con attori del cinema classico come Fredric March, Anton Wallbrook e Robert Donat.
Coi due amanti in primo piano e avendo a disposizione giusto 107 minuti (e forse qualcuno in più stavolta non avrebbe guastato), gli altri attori hanno poco spazio per emergere, con l'eccezione della già citata Scott Thomas e Ruth Wilson, nei panni di Madeleine, una moglie preoccupata per le sorti del marito Benoit (Sam Riley), personaggio che doveva essere protagonista della successiva sezione del libro, della quale però sono pervenuti solo alcuni appunti. A spiccare in compenso è il cast tecnico che Dibb ha assemblato: oltre al già citato Grau, vanno ricordati i contributi del costumista Michael O'Connor (che per "La Duchessa" vinse l'Oscar), della truccatrice Jenny Shircore e dello scenografo Michael Carlin. La galeotta ed eponima suite francese è opera di Alexandre Desplat, mentre il resto della colonna sonora porta la firma di Rael Jones.
Film medio che non finirà negli annali e che forse non susciterà gli entusiasmi di chi ha amato il libro, anche per via delle numerose libertà che sono state prese rispetto alla fonte (rischio sempre comune con gli adattamenti letterari), "Suite francese" risulta comunque avvincente, oltre che realizzato con cura, e l'amplesso interrotto fra Michelle e Matthias vale da solo più di tutte le scene propinateci da un recentissimo campione d'incassi.
14/03/2015