Alzino la mano tutti quelli che hanno storto il naso quando si è saputo che il noto stilista Tom Ford avrebbe esordito alla regia. E che, per di più, il suo film sarebbe finito in concorso all'ultima Mostra del cinema di Venezia. Eppure, sorprendentemente, quello che vediamo sullo schermo è un lavoro controllato e maturo, tutto ciò che non ti aspetteresti da un regista alle prime armi. Partendo dal romanzo (difficile da adattare) "Un uomo solo" di Christopher Isherwood, Tom Ford vuole parlarci di alcuni dei temi più vecchi di questo mondo: amore, perdita, dolore, resurrezione. Per farlo adotta uno stile dalle molte sfaccettature, sorprendente e raffinato.
La rassegnazione e il lutto del protagonista George Falconer (Colin Firth), impeccabile docente universitario, sono come un'onta che, ogni faticoso mattino, deve essere mascherata, sotto una patina di buone maniere e vestiti firmati. Ma il dolore lacerante per la scomparsa dell'amato compagno Jim, è pronto a riaffiorare nei momenti più inaspettati, attraverso una serie di reminiscenze emozionali, scatenate dagli elementi più improbabili (la visione di un cagnolino, la musica proveniente da un giradischi), in un andirivieni temporale scollegato narrativamente (solo nelle ultime sequenze assistiamo al primo incontro tra George e Jim) che ricorda i meccanismi schizofrenici del sottovalutato "
Spider" di Cronenberg (altro film incentrato sul ricordo e la perdita). Il film è ambientato nel 1962, quando gli Usa erano sull'orlo della crisi con Cuba, ma la Storia passa in secondo piano rispetto alla vicenda umana di George, e sembra piuttosto sottolineare la follia della civiltà contrapposta al puro e semplice amore tra due persone. Nonostante ciò Tom Ford non pare particolarmente interessato alla ricostruzione filologica, tant'è che i "suoi" anni sessanta sono consciamente cartolineschi e macchiettistici (le colorate villette a schiera di Los Angeles, gli studenti dai lineamenti perfetti come in un
book fotografico, il poster gigantesco di "Psyco", la radio che suona "Green Onions" di Booker T. & The Mg's): una visione nostalgica, quasi visionaria alla Lynch, filtrata attraverso il ricordo di "Peyton Place" e tante altre pellicole di quell'epoca. Anni '60 o 2010, la sostanza resta la stessa: George è un personaggio fuori dal tempo, universale, non è in grado di rapportarsi con la società che lo circonda (si rammarica che "le buone maniere" stiano sparendo), ed è incapace di trovare la forza di proseguire il proprio cammino dopo la morte della persona amata (meditando il suicidio).
Non troverà la forza di tornare a vivere nell'affetto di una vecchia amica (Julianne Moore, che interpreta una scrittrice alcolizzata e depressa), ma forse ci riuscirà grazie alla vicinanza e al calore di un suo studente (Nicholas Hoult). Tutto nello stesso giorno. Il
plot di "A Single Man" sta tutto qui, ma Ford, aiutato da un eccellente e mimetico Colin Firth (meritatissima Coppa Volpi, ma una nomination all'Oscar sarebbe dovuta), sa essere autentico e intimo senza scivolare nel sentimentalismo o nell'accademismo "da camera" comune a tanto cinema
indie statunitense. Certo, alcuni vezzi "autoriali" sono sin troppo facili e scontati (quando George è da solo la fotografia è grigia e slavata, quando incontra altri personaggi -come il ragazzo spagnolo nel parcheggio- l'immagine è invasa da colori caldi), e il controllo delle inquadrature, maniacale (d'altronde Tom Ford è noto per riserbare la stessa cura certosina pure nei suoi capi di vestiario, si dice che supervisioni pure la creazione del
packaging) rischia sempre di sfociare in un freddo manierismo (grave pecca per un'opera prima).
Distinguo a parte, "A Single Man" è un melodramma coraggioso, che quando prende il volo sa emozionare, fino alle lacrime.