Cronenberg tesse la tela di "Spider" e vi rimane impigliato: sembra far di tutto per rendere suo questo film fortissimamente voluto da Ralph Fiennes, ma debole è l'assunto, debole l'idea e debole (presumo, non l'ho letto ma ho letto altro dello stesso sopravvalutato scrittore) il romanzo di quel Patrick Mc Grath che, elevato alla notorietà italiana grazie a due mediocri opere ("Follia" e "Il morbo di Haggard"), assai incensate, mette soggetto e sceneggiatura a disposizione del regista canadese. Il tormento del protagonista, figura ferita dentro e biascicante dall'inizio alla fine, viene a galla per flashback mentre questi ricostruisce il suo passato scrivendo incomprensibili geroglifici nel suo taccuino: si capirà ben presto che quello che stiamo vedendo è solo il risultato del distorcente filtrare operato dalla mente malata di Dennis.
La storia è quella banalotta e convenzionalissima di un complesso d'Edipo non superato: il bimbo, soprannominato Spider (ha l'abitudine di costruire complicate tele fatte di spago nella sua cameretta), scopre che alla mamma piace far l'amore col papà e il disturbo e la gelosia sono perturbanti al punto da fargli immaginare l'assassinio dell'angelica figura materna da parte del padre in combutta con la matrigna-puttana che prenderà il posto della genitrice virtuosa e amorevole. A quel punto il ragazzino decide di togliere di mezzo quella che si rivelerà (?) essere solo una sua immagine mentale laddove la sua schizofrenia lo conduce, invece, a un effettivo matricidio. Il meccanismo traspositivo si mette in moto anche a distanza di tempo quando, uscito dal manicomio e albergato in un ricovero per diasadattati, Spider un bel giorno scopre che anche l'istitutrice non ha più la faccia di Lynn Redgrave ma quella dell'onnipresente (e molto brava) madre\matrigna Miranda Richardson: apriti cielo, è ora di far fuori anche lei...
Delude l'esiguo spessore e la superficialità nella trattazione di temi che, al di là dello script, sembravano avere in potenza spunti interessanti: il rigore della messinscena, per niente effettata e molto essenziale e che ingloba in sé sapientemente realtà e fantasia paranoica, non basta a dissipare la sensazione di un impressionante vuoto meramente illustrativo, per quanto velatamente allucinato, che accompagna la visione di un film che si affida ciecamente e quasi esclusivamente all'esilissima idea centrale. E' chiaro l'intento di un approccio minimalista da parte del regista e raffinate sono alcune soluzioni da lui adottate per rendere credibile la fragile psiche del protagonista, soprattutto nella confusione dei piani effettivi e mentali, ma il tentativo di renderne la schizofrenia abbassando il tono visionario, costringendolo nell'ambito di una quotidianità grigia e opprimente e senza sottolinearlo pedissequamente, per quanto lodevole, non riesce a fare della storia di questa ossessione imprigionante un film realmente ossessivo, trattenendosi a stento alle larghe maglie di una sceneggiatura dilatata a dismisura e con nessun
appeal, affidandosi a un tono sospeso che, lungi dall'inquietare, ha un curioso effetto ottundente.
Come ormai gli capita sempre più spesso Cronenberg varia rispetto alle costanti del corpus (in verità piuttosto compatto) della sua opera: rinuncia alle sue visioni terrificanti (nel romanzo ce ne sono ed il regista ha voluto farne a meno per evitare l'horror e insistere in maniera più pregnante sul tema dell'identità perduta) in favore di un registro austero ma pedante ben lontano dalla sublime ambiguità di un "M. Butterfly" o dagli effetti devastanti di un "Crash": manca a "Spider" il coraggio dell'indefinito, confondendo l'autore le piste ma risultando troppo sollecito e puntuale nel ricomporle e decrittarle. Rimangono i bei titoli di testa, che spesso Cronenberg concepisce come affascinante oggetto a parte, e che qui esplorano le macchie di Rorschach, e le splendide, efficaci musiche di Howard Shore, fedele collaboratore del regista.
(in collaborazione con
Gli Spietati)
07/06/2008