Julia Hart, regista e co-sceneggiatrice insieme al sodale Jordan Horowitz, ha alle spalle una schiera di protagonisti femminili: che siano insegnanti ("Miss Stevens", 2016), dotate di superpoteri ("Fast Color", 2018) o casalinghe rassegnate come in "I'm Your Woman", il loro punto di vista muove la prospettiva del racconto verso un’angolazione fragile, inaspettata, indesiderata.
La frase-diario di Jean in apertura, femme fragile etichetta pendente dal vestito nuovo, rivela l’impossibilità di avere figli viene ma viene immediatamente messa in discussione dall’arrivo di Eddie con in braccio un neonato, presentato dal marito alla moglie come il loro bambino. Ecco la situazione indiscreta che Jean deve affrontare, forse anche maggiore dell’improvvisa sparizione di Eddie collegata al suo lavoro criminale.
Hart registra una situazione prima che un genere, e difatti il mondo malavitoso rimane costantemente sullo sfondo oppure fortemente strumentale, come la figura salvifica di Cal ad esempio. A emergere è la condizione della donna negli Stati Uniti piombati nei Seventies, ricostruiti secondo parametri artistici non unicamente evocativi ma anche, in parte, realistici: lenti moderne al posto di quelle vintage, canzoni e automobili provengono dagli anni Sessanta (quindi accompagnano l’entrata di un decennio in un altro), trucco e parrucco decisamente contemporanei.
"Sono la tua donna" rimane, nonostante i termini artistici prescelti dalla regista, un noir che omaggia il film di genere degli anni Settanta, con un occhio all’ottantino "Strade violente" (qualche affinità col personaggio di Tuesday Weld), e di quegli anni traccia un parallelo lungo il punto di vista della figura della madre: Jean porta i segni di un’indipendenza da ristabilire, tanto monetaria quanto famigliare; mentre Teri rispecchia la crescita e l’esempio, pur con le sue ombre. Jean dunque dovrà affrancarsi dalla sua condizione dipendente (parla da sé la ripresa a piombo sul letto che accomuna la donna e il bambino dormienti) e agire da sé.
Il film preferisce il dialogo al movimento, racchiuso in un quadri prevalentemente fissi, primi piani frontali. E anche laddove i personaggi si muovono in questi ambienti (interni ed esterni), la camera si posiziona sempre a precedere come a voler sospendere il futuro di Jean nell’incertezza. Questa scelta di regia interroga i personaggi e sottrae definizione agli ambienti in cui si muovono (importante come il focus riduca la forza della profondità di campo, dunque della loro certezza spaziale); lo spostamento di Jean in questa indefinita geografia on the road suggerisce la sua impotenza rispetto alla sua nuova posizione materna.
Di tale indefinitezza partecipa anche una trama intrecciata tra i rapporti coniugali dei personaggi e scandita da una progressione attendista dello svolgersi degli eventi. Questo è l’aspetto sicuramente di maggior debolezza di "Sono la tua donna" che accennare la struttura noir senza aderirvi completamente, lasciando in primo piano i temi portanti mentre gli eventi sullo sfondo si deformano invece che assestarsi.
Quest’ultimo elemento è chiaramente lodevole, partecipando della inconsapevolezza della protagonista. Il problema principale sta nella difficoltà a incollare i due livelli, plot e tematiche, in un unico corpo. La lentezza narrativa vorrebbe essere un tentativo di ragionamento graduale sull’evoluzione di Jean, arrivando ad un climax finale decisivo per la sua maturazione. Eppure rinnovare lo stordimento di Jean per spaesare lo spettatore rischia di generare un disinteresse sostanziale di entrambi i livelli di lettura.
Hart è abile a sottrarre dal punto di vista visivo ma non altrettanto da quello dialogico, risultandone un accumulo poco prolifico e oltremodo esasperante di agnizioni, bugie e ritornelli ridondanti (ad esempio, la domanda che viene rivolta a Jean "Dov’è Eddie?" è chiaramente ripetuta per sottolineare il suo graduale distacco dalla figura maschile del marito).
In questo girotondo noir, "Sono la tua donna" fa roteare le illimitate possibilità di costituire una famiglia, pur per approssimazione o necessità è in questi legami sui generis che si instaura un valore. Julia Hart confeziona un film notevole per i suddetti motivi ma afflitto da una struttura debole, tanto che lo stesso messaggio diventa flebile nel ripetersi pedissequamente.
cast:
Rachel Brosnahan, Arinzé Kene, Marsha Stephanie Blake, Bill Heck, Frankie Faison, Marceline Hugot
regia:
Julia Hart
titolo originale:
I'm Your Woman
distribuzione:
Prime Video
durata:
120'
produzione:
Original Headquarters, Big Indie Pictures Scrap Paper Pictures
sceneggiatura:
Julia Hart, Jordan Horowitz
fotografia:
Bryce Fortner
scenografie:
Patrick Cassidy
montaggio:
Tracey Wadmore, Smith Shayar Bansali
costumi:
Natalie O'Brien
musiche:
Aska Matsumiya