La commedia, tra i generi cinematografici, è quello più esigente. Non solo per l'autore che deve incanalare il guizzo comico in una narrazione sensata, sovrappiù per quegli addetti ai lavori che ne restituiscono l'analisi sulla carta stampata (o digitalizzata). Ormai è cosa nota che pagare il dazio della scarsa lungimiranza avuta negli anni 70 verso il nostro cinema più ruspante equivale a lodare e imbrodare qualsiasi lavoro presente, passato, e futuro che si intesti velleità comiche. Cosicché è una corsa allo sdoganamento generalista: la commedia buonista è quella dalla risata garbata che ci riconcilia da anni di cinepanettoni ("Benvenuti al nord"); quella volgare ("I soliti idioti") ha la beata irriverenza giovanilista e quella "impegnata" ("Qualunquemente") vuole far riflettere come faceva Risi. Ed è in questo marasma auto-assolutorio che saltano i cardini, le definizioni e le possibilità di discernimento.
Luca Medici, fin dall'esordio in tv, attraverso il personaggio di "Checco Zalone" ha interpretato l'uomo medio del Sud: scurrile, sessista e dalla fittissima parentela. I tre film realizzati, oltreché campioni di incassi, sono stati al servizio di questo tipo umano, intorno al quale è stata costruita, di volta in volta, una storia più o meno convincente. Nell'ultimo caso, Checco è un papà scorretto - si preoccupa della salute del figlio non sentendogli pronunciare parolacce - e venditore di aspirapolvere in crisi che sa reinventarsi da imprenditore naif con pseudo-accento milanese a sindacalista impegnato.
Nell'ansia di dover arrivare al pubblico più vasto possibile che i nostri autori hanno, il film comincia e sembra essere destinato ai bambini, sennonché nella parte centrale si coagulano le risate sulle battute di Checco, comico mattatore del tutto-esaurito e del pienone in sala, in barba a qualsiasi crisi economica che sembra vivere solo sullo schermo, tra una gag e l'altra, a dimostrazione che la gente ha solo bisogno di un motivo per andare al cinema. Ed è qui che si storcono i nasi.
Sì, perché a salire sul piedistallo si impiega un attimo: il film di Zalone è il "basso", non edifica il cinema - tantomeno la realtà - ma lo deturpa con i suoi congiuntivi sconnessi e il gusto per la parola laida; dicono. I suoi spettatori, poi, sono l'emblema della mediocrità dell'italiano che ha decretato la morte della Settima Arte; dicono ancora.
Checco Zalone, in realtà, ha due meriti: l'uno è quello di essersi posto come unico obiettivo - raggiunto, considerato il box office - far ridere. Non ha tentato disinvolte riscritture di classici del passato ("Aspirante vedovo") pensando così di ammantare di una luce diversa - culturalmente orientata - film e interpreti; e non ha pensato di ascriversi a depositario del nuovo corso della commedia all'italiana come, invero, tenta la quantità elefantiaca di commediole innocue che si affollano in sala, con il suggello della risata intelligente intrisa di contemporaneità. In secondo luogo, ha proposto un tipo di comicità, sinceramente irriverente nelle imitazioni (Nichi Vendola, Roberto Saviano), e demenziale su un personaggio, "Checco", di stampo sordiano.
Quello che, invece, non funziona nell'ultimo film - e nel precedente, "Cado dalle nubi" ha il vantaggio di essere più spontaneo - è che "Checco Zalone" è un brand, messo lì come richiamo per uccelli, un prodotto commerciale usato in quanto tale, da autore e produzioni, per far soldi. Non importa la narrazione, la funzione del cinema o anche solo accendere la cinepresa; quello che conta è intercettare la massificazione del gusto collettivo. Che per i nostri autori - ma accade anche in altri ambiti - coincide con l'interpretazione del pubblico cui ci si rivolge come un agglomerato disfunzionale di inetti con sguardo inebetito e bava alla bocca, che possono sì intrattenersi con i film, ma previa semplificazione estrema ed edulcorazione dei contenuti, cosicché, nelle battute finali, "eutanaZia" si stempera sul sorriso di Matilde Caterina. A perdere di naturalezza e potenziale eversivo immerse in un contesto così ovattato sono proprio le gag.
L'unica cosa che, poi, si ricordi.
cast:
Checco Zalone, Aurore Erguy, Miriam Dalmazio, Robert Dancs, Valeria Cavalli, Orsetta De Rossi, Marco Paolini, Ruben Aprea, Matilde Caterina, Stefano Sabelli
regia:
Gennaro Nunziante
distribuzione:
Medusa Film
durata:
90'
produzione:
Taodue
sceneggiatura:
Checco Zalone, Gennaro Nunziante
fotografia:
Agostino Castiglioni
montaggio:
Pietro Morana
musiche:
Luca Medici