Chi di remake ferisce, di remake rischia anche di perire. Dovrebbe essere questo l'insegnamento che il regista Massimo Venier, i suoi sodali alla sceneggiatura Ugo Chiti e Massimo Pellegrini e i due protagonisti Fabio De Luigi e Luciana Littizzetto possono trarre dalla loro ultima fatica cinematografica. "Aspirante vedovo", infatti, non è un'opera "liberamente ispirata" da un altro film, bensì è un rifacimento molto fedele, nella scrittura e nella sequenza di snodi narrativi, de "Il vedovo", bellissimo e misconosciuto film del 1959 diretto dal padre della commedia all'italiana Dino Risi.
Una sorta di volontà di attualizzazione deve aver mosso questa armata Brancaleone che si è adoperata alla realizzazione della pellicola. Tralasciando qui la solita e annosa questione sul vuoto di creatività che colpisce non solo i commedianti di Hollywood, ma anche quelli di Cinecittà, e li spinge a cercare nel cassetto dei ricordi storie da riplasmare per il nuovo pubblico delle sale, stroncare "Aspirante vedovo" è esercizio doveroso, motivato proprio dalla misera figura che esso fa di fronte al titolo originario. Laddove, infatti, Risi lavorava su un registro satirico affinché il Nardi interpretato da un gigantesco Alberto Sordi risultasse essere chiunque, qualsiasi italiano seduto al cinema, con la sua cattiva sorte strettamente legata al suo essere così fallibile nel lavoro e nella vita privata, Venier riduce la portata della sceneggiatura a un accumulo di stanchi sketch, per niente aiutati, fra l'altro, da un montaggio sfilacciato e da una messa in scena pigramente televisiva. Ecco, primo appunto inappellabile: la risata non arriva mai, un po' per una scrittura stanca, un po' per una scelta tutta sballata di tempi comici.
La storia è sempre quella: l'inetto imprenditore, che vive alle spalle della moglie ben più carismatica, si illude per un mancato incidente che la consorte sia morta; ecco dunque l'occasione della vita, vivere di rendita con il patrimonio ereditato. Poi la donna torna, più acida e severa di prima, ma l'idea di restare vedovo continua a ronzare nella testa del protagonista, che comincia a pensare a come poter realizzare il suo grottesco piano di successo. Risi giocava tutto sul piano dell'affresco sociale nazionale: Sordi, il romano, era il veniale, immorale e infedele che conviveva con la sua condizione di perdente, celandola dietro una finta spavalderia. Franca Valeri, la milanese altezzosa e intransigente, liquidava le inezie del marito con poche e infastidite smorfie. La tragicommedia procedeva per situazioni esilaranti brillantemente messe in scena, nel pieno rispetto della sacralità dei tempi comici.
Il remake del 2013 è invece un fallimento totale. Se della regia fin troppo appiattita sullo script si è già detto, sorprende, anche per l'esperienza consolidata degli sceneggiatori, una così superficiale semplificazione del soggetto originario: lungi dal voler fare satira, il copione abbandona a pochi e stereotipati luoghi comuni (dal religioso molto incline agli affari alla crisi economica foriera di espedienti divertenti per la sopravvivenza) il compito di guardare fuori dall'ambito domestico. Ma è nel registro interpretativo, al limite della macchietta televisiva, scelto dai due interpreti principali che la pellicola trova il suo punto più basso.
Con un De Luigi identico a decine di suoi precedenti personaggi e la Littizzetto petulante come quando si siede in un salotto tv, i due attori privano i due caratteri di quella sottile contrapposizione che, oltre cinquant'anni fa, li rendeva, insieme, ritratto e riflesso di un'Italia che, già allora, procedeva indifferente a due velocità. E visti i tempi attuali, lasciar cadere nel vuoto uno spunto simile è un'aggravante nel bilancio finale.
cast:
Fabio De Luigi, Luciana Littizzetto, Alessandro Besentini, Francesco Brandi, Roberto Citran
regia:
Massimo Venier
durata:
84'
sceneggiatura:
Massimo Venier, Ugo Chiti, Michele Pellegrini