Iniziamo chiarendo un punto: qualsiasi recensione, qualsiasi
boutade, qualsiasi appunto che leggerete o ascolterete in merito a questo film, sarà influenzato da considerazioni politiche. Non vi ingannino smentite e rassicurazioni. Se
"La banda Baader Meinhof" poteva trascinare col suo incedere fluviale, "Buongiorno, Notte" ammaliare coi suoi sinuosi squarci onirici, un documentario sul collettivo reggiano conosciuto come "L'appartamento" (niente a che vedere col film di Wilder), culla del ramo emiliano delle Brigate Rosse, proiettato in Italia e per giunta raccontato da alcuni degli artefici di quel progetto, non può che suscitare una ridda di polemiche, per altro già inaugurata da Sandro Bondi alcuni mesi or sono, quando il film fu presentato al Festival di Locarno.
La presente recensione non pretende di esserne immune, ma cercherà di indicare una della tante angolazioni da cui questo film si può osservare; nello specifico, quella che consente di reputare "Il sol dell'avvenire" un tassello a suo modo prezioso per ricostruire e analizzare l'epoca e l'esperienza di cui si occupa.
I protagonisti, dicevamo. Chi non entrò in clandestinità, chi non rinnega nulla, chi uscì di carcere per effetto della legge sui collaboratori di giustizia: sembrerebbe un campionario esaustivo, ma non è così. I nomi di peso sono infatti quelli di Alberto Franceschini e Roberto Ognibene, due tra i dissociati storici del brigatismo italiano. La prospettiva con cui gli eventi vengono ricordati è fortemente influenzata dal loro punto di vista.
Tutti insieme, li vediamo pranzare nella storica trattoria in cui già allora si riunivano. Scherzare, lasciarsi andare a ricordi nostalgici e battute di dubbio gusto ("Se avessimo preso il potere, con la testa di cazzo che avevamo, Pol Pot ci avrebbe fatto un baffo"). Ce ne è abbastanza per fare inorridire non solo i parenti delle vittime, ma anche tutti quei militanti che, rifiutandosi di fare i nomi dei loro compagni o di prendere le distanze dal proprio passato, stanno ancora scontando la pena in prigione (e che, interpellati, hanno rifiutato di rilasciare dichiarazioni agli autori).
Anche il ricondurre alla somma di poche testimonianze individuali, facilmente strumentalizzabili, quella che fu a tutti gli effetti un'esperienza collettiva, non appare una scelta del tutto corretta, malgrado sia forse l'unica possibile.
Ma i punti di forza di questo documentario sono altri. Anzitutto, il restituire l'immagine del brigatista come persona lucida che ha scelto scientemente la propria strada e non come un pazzo in preda a deliri, quale comunemente viene considerato (per restare al mondo del cinema, si leggano alcune interviste rilasciate anche di recente da Marco Bellocchio). Ma più che l'individuo conta il contesto: la lotta armata, così come gli eccidi del triangolo della morte, appaiono qui come la reazione, giusta o sbagliata che fosse, al fascismo guerrafondaio e al tradimento dei valori della resistenza (c'è anche un'intervista al figlio di uno dei fratelli Cervi, a rievocare quell'epoca).
Niente di particolarmente nuovo, ma un salutare ritorno alla Storia e alla sua (possibile) logica a fronte di alcune derive odierne, come le spiegazioni che riconducono a una presunta irrazionalità dei militanti cui si è già accennato. Come la volontà di rimozione del passato: il nicchiare imbarazzato di fronte alla richiesta di collaborare al documentario da parte delle autorità cittadine, che evidentemente preferirebbero depennare L'appartamento dalla storia di Reggio Emilia, è in questo senso emblematico. Infine, come le teorie complottistiche che dilagano tra la sinistra, impedendole di fare i conti con un'esperienza nata nel proprio grembo (uno dei protagonisti attualmente simpatizza per il PD).
Il tutto è mostrato senza il facile espediente del narratore; in generale, l'intervento del regista è davvero ridotto ai minimi termini. Anche le didascalie, in sostanza, hanno l'unica funzione di affiancare e sottolineare i toccanti versi de I morti di Reggio Emilia, filo conduttore del racconto, spesso a sottolinearne, a mo' di ballata funebre, i capitoli più drammatici. Gli interventi ironici degli Offlaga Disco Pax, che inizialmente sembrano fuori luogo, ne divengono invece un'efficace contrappunto: nel complesso, il film funziona anche da un lato meramente cinematografico. Piaccia o no a Sandro Bondi e a chiunque intenda montare ulteriori polemiche.